Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°8 - 1995 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
GIORGIO ZOCCOLETTO

GLI STATUTI DI TARZO NELLA EDIZONE DEL 1775


La contea di Tarzo nella relazione del vice gerente Gaiotti

Con il decreto del 16 luglio 1768, i! Senato Veneto diede inizio ad una complessa operazione volta ad integrare nel Dominio di San Marco i territori di Ceneda e di Tarzo, ponendo fine alla secolare vertenza con i! potere ecclesiastico che vi esercitava anche la giurisdizione temporale. La prima fase dell'operazione fu rappresentata dalla nomina di un Vice Gerente (nella persona dell'assessore Giovanni Gaiotti), cui furono demandate provvisoriamente le competenze del governo civile. Assunta la responsabilità dell'incarico, il Vice Gerente effettuò un controllo generale dell' amministrazione e fornì a Venezia una relazione complessiva, dove esaminò fra l'altro la gestione della Contea di Tarzo, che unitamente a quella di Ceneda costituiva l'area del feudo vescovile.
La Contea di Tarzo, anche detta di Caste! Nuovo, comprendeva !e Ville,
o Regolati, di Tarzo, Corbanese, Arfanta, Colmaor unito a Fratta. Era pervenuta nel possesso vescovile in forza d'un atto di permuta del 1307, quando il vescovo Francesco Ramponi aveva in concambio ceduto a Tolberto da Camino il territorio di Porto Buffolè. I Vescovi vi esercitavano la giurisdizione di mero e misto impero, ossia civile e criminale, attraverso la rappresentanza di un Vice Conte, che giudicava in prima istanza, essendo la seconda riservata alla corte vescovile, ed operava in maniera del tutto autonoma rispetto agli altri funzionari di Ceneda. Gli abitanti riconoscevano al rappresentante 200 lire annue e gli fornivano altre poche onoranze. Il Vice


GIORGIO ZOCCOLETTO. Laureato in legge, già funzionario di banca. Ricercatore attento soprattutto in tema di storia di Venezia e del Veneto. Autore di numerosi saggi, pubblicazioni e apprezzati interventi, anche relativi alla storia del vittoriese.

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Conte era assistito da un proprio Cancelliere, pagato dai locali.
La Contea, oltre ad avere un proprio statuto diverso da quello di Ceneda, aveva anche un proprio governo strutturato in forme autonome.
I problemi locali interni erano trattati da un Corpo detto Regola di Quaranta, costituita da dieci rappresentanti eletti annualmente da una assemblea popolare in ognuno dei quattro Regolati. Nel rinnovo periodico restavano in carica due componenti (sempre per ogni Villa) della vecchia Regola; ne venivano eletti due di nuovi; ne venivano pure eletti altri quattro di nuovi con la qualifica di Deputati alle Strade; a questi otto spettava l'elezione di ulteriori due colleghi. Ogni Regolato nominava pure un Deputato per la costituzione dell'Ufficio di Sanità. La sede della Regola era collocata in un palazzo di Tarzo, chiamato la Casa Grande.
Fiscalmente la Contea contribuiva per le rendite del Vescovado, ma aveva anche degli obblighi verso la Camera Fiscale di Treviso per i dazi macina, pestrino, grassa e doveva conferire agli ammassi veneziani le pelli dei bovini macellati.
I contratti eseguiti nella Contea dovevano essere redatti da Notai riconosciuti ed abilitati d'autorità veneta, ma però residenti e contribuenti all 'interno della Giurisdizione episcopale.
La popolazione godeva consortivamente di propri beni comunali, rappresentati da quattro molini a coppedello e da una sega. Era inoltre partecipativa in numerose Confraternite funzionanti nelle parrocchie di Santa Maria di Tarzo, dei Santi Gervasio e Protasio di Corbanese e di San Bortolomio di Arfanta. Tali associazioni, animate da finalità assistenziali oltre che religiose, erano gestite da Gastaldi, o Massari, assistiti da altri Bancali

La presentazione degli statuti vescovili

Appena delineatosi l'orientamento della politica veneziana, che intendeva annettere al dominio diretto i territori, la Regola di Quaranta di Tarzo rivolse al Serenissimo Principe una supplica perchè nelle future decisioni fosse mantenuta la separazione da Ceneda e perchè fossero rivisti in tal senso gli Statuti in vigore, di cui si provvide all'invio in quanto non erano mai stati riconosciuti in precedenza dal governo ducale.
Gli Statuti inviati erano quelli stampati nel 1620 dal tipografo Marco Classeri di Conegliano, redatti in latino con versione italiana a fronte curata dal gentiluomo cenedese Giorgio Graziani. Tale edizione era stata autorizzata dal vescovo Leonardo Mocenigo e riprendeva sostanzialmente una precedente edizione del 1468 autorizzata dal viceconte Luca Delfino, con varie aggiunte di vescovi successivi.
Nella edizione spedita al governo veneziano, dopo gli indici iniziali, vi era stampato un proemio, e le successive norme erano divise in due tomi e

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concluse da un allegato.
L'allegato finale, strettamente unito per contenuto al proemio, rappresenta il fondamento giuridico delle oltre centoventi statuizioni, o articoli, particolari. Vi sono riportati gli accadimenti storici che sostenevano la legittimazione del potere vescovile.


I fondamenti giuridici degli statuti vescovili

Dopo aver recuperato i territori di Terraferma già occupati da Sigismondo re degli Ungari, nel 1418 Venezia riconfermò al vescovo Antonio Corraro la supremazia su Ceneda e Tarzo. Peri! Vescovo il possesso non si mantenne però nella tranquillità a causa di mai sopiti dissidi con il Consiglio della Comunità, specialmente per le riforme introdotte autonomamente dai sudditi nell'amministrazione comunale.
Un solenne intervento della stessa Repubblica, volto a ristabilire l'ordine antico, si effettuò nel 1429, quando in palazzo ducale (nella sala soprastante agli appartamenti del Doge) i Savi del Serenissimo Dominio Marco Bragadin ed Andrea Morosini convocarono alla loro presenza entrambe le parti contendenti.
Al convegno parteciparono sia il vescovo Corraro che i Delegati eletti dalla Comunità, cioè Oliviero Filomena, Martino figlio di Pietro, Giovanni Curtarello figlio di mastro Francesco il pellicciaio, Guidotto del fu Antonio Vendramo. I Delegati cenedesi, postisi in ginocchio davanti a Monsignor Corraro, giurarono di mantenere in futuro l'assoluto rispetto dei doveri già codificati nei libri del 1348 e riconfermati nel 1408. In particolare si dichiararono pronti a revocare tutte le riforme introdotte abusivamente nel governo cittadino e contrarie alla supremazia del Vescovo. Il Prelato, da parte sua, si dichiarò disposto a perdonare ogni colpa e, per dare subito una prova della sua disponibilità, assolse coloro che avevano ammazzato un certo prete Fabiano. Entrambe le parti convennero inoltre di non riconoscere le convenzioni stabilite in precedenza da un Collettore Apostolico.
Nel testo della composizione furono integralmente inserite le clausole che stabilivano gli antichi doveri del popolo verso l'amministrazione episcopale, basate sul principio che al Vescovo spettava l'assoluto dominio sia temporale che spirituale.
La riconciliazione sancita così a Venezia trovò conferma solenne in una cerimonia svoltasi il 4 dicembre successivo nella cattedrale di Ceneda, durante la quale gli uomini e le donne domandarono perdono ed il Vescovo impartì l'assoluzione generale per il peccato di ribellione.
Una immediata conseguenza dell'accordo raggiunto fu l'approvazione dei primi statuti di Tarzo da parte di Monsignor Corraro.

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La prima edizione degli statuti di Tarzo

Il decreto vescovile di conferma dei primi Statuti di Tarzo fu emesso dalla residenza del vescovo Corraro nella contrada di San Simon Piccolo a Venezia il giorno 6maggio 1444. Furono presenti in quell'occasione solenne il vice conte Antonio de Carni ed i rappresentanti delle Ville. Per Tarzo:
Lorenzo de Pilla, Zanantonio de Col, Massimo de Summo, Mino de Rudo, Pietro de Silano, Antonio de Soler. Per Arfanta: Pietro e Cristoforo da Pecol, Giacomo da Corte, Tiziano de Parè, Zanlorenzo de Resera, Antonio del Pupo, Domenego de Costa. Per Corbanese: Zanfrancesco da Manzana, Francesco Girardo, Antonio Rizardo, Nicolò de Bortolomio Beton, Nicolò dall'Asta. Per Fratta: Domenego de Foltran, Gasparo Milardo, Zuanne della Bella, Tiziano de Liena, Giacomo dal Pesce. Per Colmaor: Franceschino de Zuanne e Bortolo del Pizolo.
Le norme statutarie furono sancite sotto l'invocazione di tutti i Santi protettori della Diocesi e di quelli titolari delle parrocchie della Contea di Tarzo. Sopra le norme veniva estesa inoltre l'autorità della Sede Apostolica Romana.

L'investitura di Antonio Dalla Corte

Gli Statuti vescovili di Tarzo, spediti dalla Regola di Quaranta con la supplica di approvazione, furono sottoposti all'esame del Magistrato dei Conservatori ed Esecutori delle Leggi, ma la revisione restò in sospeso, essendo ancora condizionata dalle scelte che si stavano studiando per la riforma istituzionale da applicare al territorio.
Con decreto del 14 dicembre 1769, il Senato Veneto decise di assegnare il potere temporale ad una figura laica e pertanto fu autorizzato l'ingresso del nuovo vescovo Gianagostino Gradenigo, fregiato solamente delle prerogative ecclesiastiche. Lo stesso decreto stabilì che la Contea di Tarzo fosse tenuta separata da quella di Ceneda e richiese a tutte le Magistrature governative di elaborare delle proposte per stabilire quale successione dovesse esser data all'incarico provvisorio del vice gerente Gaiotti. Tale disposizione interessò anche la Magistratura dei Deputati ed Aggiunti alla Provision del Danaro, per le specifiche competenze in materia fiscale e finanziaria.
Durante questa fase interlocutoria, il cenedese Antonio dalla Corte (che durante l'amministrazione vescovile aveva già ricoperto la carica di Vice Conte di Tarzo) presentò in data 23 maggio 1770 una supplica in Collegio perchè gli fosse concessa in feudo quella Contea, con l'attribuzione delle prerogative giurisdizionali, sia civili che criminali, fatta esclusione per ogni competenza economica e politica. Il richiedente offrì di vincolare al patrimo

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nio del feudo una quantità di propri beni immobili per il valore di 4.000 ducati: i capitali sarebbero stati conglobati definitivamente nel bilancio del feudo, qualora il dalla Corte non avesse avuta discendenza mascolina.
Ottenuto il parere favorevole dei Provveditori sopra Feudi, il Senato accolse in linea di principio la richiesta e demandò agli stessi Provveditori il compito di espletare le incombenze successive della pratica. Il dalla Corte fece identificare e valutare da un collegio di periti una massa di propri beni fino al valore pattuito, accettò su di essi l'ipoteca statale ed ottenne quindi l'investitura feudale con il titolo di Conte e Signore di Tarzo, di Corbanese e suo Distretto. Un rilevante atto amministrativo del nuovo Feudatario èrappresentato dal proclama emesso il 17 dicembre 1770. Trattasi sostanzialmente di una bozza di statuto (sostitutivo di quello vescovile) articolata in dieci punti: si stabiliscono, per esempio, il divieto e le condanne delle bestemmie, dei giochi e divertimenti durante le funzioni religiose; si precisano gli orari delle osterie e gli obblighi di segnalazione delle presenze alberghiere; si vieta l'uso delle armi; si impone le denuncia dei delitti e si condannano le connivenze con i delinquenti; si normalizzano il commercio e l'apertura di attività commerciali; si stabiliscono i pesi e le misure ufficiali.
La scelta di assegnare in feudo la Contea di Tarzo venne però contestata dai Deputati ed Aggiunti alla Provision del Danaro, in quanto discorde dalla primitiva scelta di avocare sotto l'esclusiva competenza dello Stato i territori già amministrati dai Vescovi. La decisione di creare una amministrazione feudale aveva infatti scardinato il progetto concettuale che si andava elaborando per la nuova amministrazione.
Il Senato riconobbe la validità delle obiezioni ed in data 16 marzo 1771 revocò l'investitura, fece estinguere l'ipoteca iscritta sui beni, lasciando però ad Antonio dalla Corte, a titolo di scusa, il diritto di mantenere il titolo onorifico di conte.


L'invio del primo Podestà

Lo studio delle varie soluzioni possibili si concluse il 29agosto 1771 con il decreto del Senato in base al quale il territorio di Ceneda e quello di Tarzo(sempre da considerarsi del tutto separati), venivano sottoposti al governo di un nobile veneziano che, con il titolo e le mansioni di Podestà, sarebbe rimasto in carica per la durata di sedici mesi. Al rappresentante sarebbe spettato il diritto di eleggersi un Cancelliere. Fra gli obblighi, il Podestà aveva quello di portarsi ogni mercoledì a Tarzo per svolgere le funzioni della carica. Primo Podestà eletto risultò il nobiluomo Emanuel Michiel Venier, che assunse la rappresentanza il successivo 5febbraio 1772.
Si ripresero allora in esame gli statuti municipali di Tarzo per adattarli alla nuova impostazione e per l'esecuzione dell'opera si formò una conferenza,

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o commissione paritetica, composta dalle Magistrature dei Conservatori ed Esecutori delle Leggi e della Deputazione Estraordinaria ad Pias Causas.
Mentre si effettuava il riesame del testo statutario, la Regola di Quaranta di Tarzo produsse in data 10 marzo 1772 un memoriale con tre richieste: si chiedeva di sopprimere la Regola Generale della Contea, di costituire un catasto autonomo e di confermare il diritto di nomina di un proprio Cancelliere di pari grado a quello in funzione a Ceneda.
La Regola Generale era una assemblea legislativa aperta a tutta la popolazione. Si trattava di un istituto antichissimo, ma di ben limitata convocazione, perchè aveva sempre dato occasione a liti e disordini. Era consigliabile quindi riservare alla sola Regola di Quaranta ogni attività legislativa e ricorrere alla consultazione universale della popolazione per il solo rinnovo annuale delle cariche comunali.
La creazione di un archivio immobiliare proprio, di un ufficio municipale e di un Cancelliere del tutto indipendenti da Ceneda erano diritti goduti dalla Contea già durante il dominio dei Vescovi.
Il podestà Venier confermò la fondatezza delle richieste, per cui il Senato le approvò in data 7 maggio 1772, non decidendo però per la nomina del Cancelliere in attesa della revisione degli Statuti.

L'approvazione dei nuovi statuti

Mentre la revisione degli Statuti di Ceneda fu completata prima dell'invio del podestà Venier, per quelli di Tarzo la conferenza delle Magistrature completò la revisione verso la fine di settembre del 1772. Intanto nel territorio di Tarzo trovarono applicazione le norme vigenti a Venezia e sulle vertenze interne legiferarono i giudici della Dominante.
I Conservatori ed Esecutori delle Leggi e la Deputazione Estraordinaria ad Pias Causas lavorarono sulla edizione degli Statuti del 1620 che era stata depositata nella Secreta ducale. I Magistrati intervennero sul testo in tre distinte maniere: eliminando, correggendo ed aggiungendo.
Eliminarono, per esempio, l'allegato, il proemio ed i primi due capitoli (che sostanzialmente ribadivano gli stessi concetti), in quanto quelle parti stabilivano l'assoluto dominio spettante ai Vescovi. Cassarono tutte le norme relative alla disciplina notarile, perchè argomento specifico in corso di completa revisione. Soppressero alcuni decreti ritenuti superflui e ripetitivi. Tolsero le norme sulle appellazioni perchè i ricorsi dovevano esser fatti in corti diverse da quelle vescovili. Eliminarono molte disposizioni di oscuro significato e comunque contrarie alle norme del diritto veneto. Nella applicazione delle pene tolsero le norme che stabilivano la condanna a morte, o comunque eccessivi castighi per colpe minori. Di conseguenza eliminarono gli indici, le rubriche e la divisione in due tomi.

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Corressero, per esempio, sostituendo ogni riferimento al nome del Vescovo e dei suoi funzionari con il nome del Podestà e dei suoi funzionari. Modificarono alcuni termini di scadenza nelle rescissioni dei contratti e comunque tutte quelle norme che presupponevano l'esistenza di un confine di stato fra il territorio di Tarzo ed i paesi contermini. Conessero alcune formalità relative alla nomina del Cancelliere.
Aggiunsero l'atto di dedizione a Venezia espressa dai Cenedesi nel 1388 ed i decreti emessi recentemente relativi alla Contea di Tarzo.
Il testo dei nuovi Statuti venne approvato dal Senato l'il febbraio 1773 e fu consegnato in tipografia.
Il podestà Venier si trovò quindi autorizzato a convalidare la nomina del Cancelliere, fatta dalla Regola di Quaranta nella persona di Giovanni Rossi figlio del notaio Girolamo Andrea. Giovanni Rossi s'era meritata la stima universale per il lavoro già svolto di Cancelliere, anche se non riconosciuto ufficialmente. Egli sarebbe rimasto in carica per quattro anni, avrebbe ricevuto annualmente uno stipendio di 58 ducati, due carri di legna e l'uso di un orto gratis.
Prima incombenza che gli fu assegnata dal Podestà fu quella di riordinare l'archivio della Comunità, con l'ordine (tanto era stato autorizzato dal Senato anche per Ceneda) di eliminare tutte le carte ritenute inutili e comunque riferibili al passato governo vescovile.
Il Consiglio dei Dieci autorizzò poi l'elezione di un Basso Ministro stipendiato dalla Comunità, confermando così un antico diritto concesso dai Vescovi.

Le contestazioni del secondo Podestà

Nel luglio del 1773 il podestà Emanuel Michiel Venier, terminati i sedici mesi d'incarico, passò le consegne al successore Piero Orio. Uno dei primi atti del nuovo rappresentante fu di scrivere una lettera al Governo per contestare la struttura organizzativa data alla Comunità di Tarzo.
Rilevò che la nomina del Cancelliere non trovava fondamento nelle norme; era ingiustificata per il poco lavoro ed era inoltre assurdo che coesistessero due Cancellieri di pari grado, uno di nomina podestarile ed uno di nomina popolare. Inoltre l'autorizzazione, ottenuta dal Consiglio dei Dieci, per la nomina di un Basso Ministro era stata, a suo giudizio, carpita con inganno, perchè tale mansione non era affatto esistente durante il governo vescovile. Gli amministratori comunali di Tarzo avevano insomma mirato a ritagliarsi una loro autonomia per impedire l'efficace intervento del rappresentante statale.
A seguito della lettera, i Conservatori ed Esecutori delle Leggi bloccarono subito la stampa dei nuovi Statuti, in attesa che venissero impartite nuove

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disposizioni. Fu interpellato quindi il Podestà uscito che giustificò il suo operato, dopo essersi documentato per qualche mese.
Venier giudicò regolare l'elezione del Cancelliere, in quanto gli era giunta notizia della approvazione degli Statuti che prevedevano quella figura. Eventuali equivoci potevano esser sorti nelle opinioni del successore per il fatto che il testo non era ancora stampato e consegnato. Il vecchio Podestà confermò che la carica di Basso Ministro esisteva già da tempo immemorabile, seppure sotto la diversa denominazione di Saltano. Garantì infine, in base all'esperienza, sulla correttezza e fedeltà alla Repubblica dei sudditi di Tarzo.
I Conservatori ed Esecutori delle Leggi condivisero le osservazioni del Venier. Giudicarono però utile di chiarire gli argomenti aggiungendo otto articoli al testo già approvato degli Statuti.
Fu confermato il dovere del Podestà di recarsi ogni settimana a dar udienza a Tarzo. Se fosse stato impedito da cause di forza maggiore, avrebbe dovuto far le convocazioni dei sudditi a Ceneda, sempre servendosi degli uffici di Tarzo. Il Cancelliere di Tarzo doveva essere un notaio di autorità veneta. Le comunicazioni, provenienti dal governo centrale e riguardanti Tarzo, dovevano essere depositate in originale nella cancelleria di Tarzo. I sudditi di Tarzo potevano rivolgersi direttamente al Podestà solo in casi di provata urgenza. L'esecuzione delle condanne doveva essere demandata alla cancelleria di Tarzo ed i prigionieri dovevano essere mantenuti a spese di quella Comunità. La nomina del Basso Ministro doveva essere approvata dal Podestà. I processi dovevano essere istruiti in loco ed i relativi atti dovevano ivi essere custoditi.


L'edizione degli statuti del 1775

Per superare formalmente le incomprensioni, la Comunità di Tarzo dovette riformulare la supplica per essere autorizzata alla nomina del Cancelliere. I Conservatori ed Esecutori alle Leggi ribadirono il loro parere tecnico favorevole e quindi il Senato concesse finalmente, il 10 dicembre 1774, L' imprimatur della riedizione.
Gli Statuti uscirono in trecento esemplari nel 1775 dalla tipografia ducale dei Fratelli Pinelli, stampati in pregevole veste con testo latino ed italiano a fronte.
In premessa vi è posta la terminazione della Conferenza della Magistrature per l'invio al Senato della prima edizione in forma corretta. Di seguito è riportato il giuramento di fedeltà a Venezia del 1388, da considerarsi il fondamento di diritto per tutte le rivendicazioni veneziane su Ceneda e Tarzo.
Gli Statuti veri e propri consistono in novantacinque disposizioni, che

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abbracciano una vastissima casistica del vivere civile di una comunità.
Vi sono riportati poi i principali decreti che segnarono dal 1767 al 1774 la trasformazione istituzionale da feudo ecclesiastico a podesteria. Il codice resta concluso dalla terminazione degli otto articoli aggiuntivi, che ribadivano l'autonomia amministrativa di Tarzo: quell'autonomia che, mantenutasi inalterata per il corso di molti secoli, verrà a cessare con la caduta dello Stato Veneto una ventina d'anni dopo.


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