Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°7 - 1994 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

Rassegna Bibliografica

MARIO ULLIANA. Almanacco di Giulio Clovio, Dario De Bastiani Editore, Vittorio Veneto 1993, pagg. 348.


Era dall' ultimo libro di Guareschi che non mi divertivo tanto.
Dopo aver letto le prime pagine dell'Almanacco di Giulio Clovio affiora spontaneo sulle labbra del lettore un sorriso che, in certi punti e grazie all'ironia più pungente dello scrittore, sfocia in aperta risata.
Godibilissime certe espressioni dialettali che, fulminee, inquadrano un personaggio, indicano un modo di essere (fantastico quel santificetur) interpretano un squarcio di vita quotidiana.
Graffiante e, per certi versi, presaga la satira del "politichese", quel mondo astruso e lontano che i "non addetti ai lavori" trovano sempre incomprensibile, ma sul quale, opportunamente illuminati, si divertono moltissimo.
Chi di noi non ha mai fatto le stesse considerazioni dell'autore sull'eterno problema delle acque minerali, sulla circonvallazione, sul degrado della città o sulla passione sospetta dei tecnici comunali per gli edifici color rosa mutanda?
Giulio Clovio alias Mario Ulliana si fa interprete dei problemi e degli
interrogativi della cittadinanza, delle loro rimostranze e perplessità e le presenta via, via ora ai personaggi del passato, ora a quelli del presente e nel proporli li riveste di umorismo e sottile ironia, ingredienti scarsissimi nei libri dei nostri giorni.
Almanacco non è solo divertente, è scritto bene, scorrevolissimo ed è, in alcune parti, delicatamente poetico, vedi la descrizione di Tito Spagnol.
Ogni racconto è una miniatura e il libro un caleidoscopio di situazioni e personaggi che si muovono sullo sfondo della città.
Da ogni riga traspare l'amore dell'autore per la sua Vittorio Veneto.
Forse, a mio giudizio, un unico neo: considero un appesantimento le spiegazioni poste prima di ogni racconto.
Inutili per i vittoriesi che, con veli o senza veli, riconoscono lo stesso i loro concittadini; altrettanto inutili per gli altri che trovano il loro divertimento nelle descrizioni e nella maestria del proporre le situazioni, pur non conoscendone i protagonisti.
Bravo Clovio! a quando il prossimo?

Loredana Imperio


CAROLYN J. MACKAY, Il dialetto Veneto di Segusino e Chipilo, Grafiche Antiga, Comuda 1993.

Nel 1882 da Segusino partirono circa cinquecento abitanti alla ricerca di fortuna in Messico e per fondare un paese, Chipilo.
A distanza di tanti anni, gli eredi di questa colonia italiana hanno conservato ancora il dialetto e le tradizioni del comune di origine. E sono a tutt'oggi in più di duemila.
Ed allora perchè non dare alle stampe quel loro lessico che ormai ha forti contaminazioni con lo spagnolo e che tenderà piano piano ad estinguersi con il tempo? L'iniziativa, partita da un gruppo di imprenditori di Segusino, è stata accolta da Carolyn Mac Kay, nativa di Detroit e docente presso la Ball State University a Muncie, Indiana.
E ne è uscito questo prezioso volume il quale cerca di assolvere a tre obiettivi fondamentali:
i - documentare il dialetto in termini generali;
2 - conservare la terminologia d'uso della vita quotidiana delle ultime generazioni;
3 - evidenziare le varietà e le divergenze più significative nell'uso del dialetto veneto a Chipilo ed a Segusino.
E così oltre alle nozioni grammaticali, dall'indagine è uscito in appendice anche un vocabolario veneto-spagnolo-italiano, utile per entrambe le comunità.
E stato uno sforzo notevole sia nella raccolta che nella rielaborazione dei dati provenienti dai questionari raccolti in loco a Chipilo e Segusino.
Scrive nella prefazione l'autrice:
"Il presente lavoro deve essere considerato come "intento" preliminare ad una futura e più aggiornata compilazione di un lessico".
Fra quattro anni è prevista l'edizione del testo anche in spagnolo, certamente con tutti gli aggiornamenti del caso.

Giancarlo Follador


CLAUDIO BEVILACQUA,
Fra Francesco Dal Bosco da Valdobbiadene, detto ilCastagnaro (1564-1 640) e la Pratica dell' infermiero, Stabilimento tipografico Kuhar, Trieste 1992, pp. 352.

Claudio Bevilacqua, medico e storico della medicina, direttore della Rivista "Il Lanternino", trimestrale di storia della medicina e studi sociali, edita a Trieste, autore di numerosissime pubblicazioni e saggi sul tema, questa volta ha scelto la
Pedemontana per le sue ricerche. Infatti ha riesumato un manuale di medicina dato alle stampe in una prima edizione a Verona nel i664 (ultima a Venezia nel i702) il cui autore è un certo Francesco Dal Bosco detto il Castagnaro, nato nel 1564 da Benedetto Bertuolo e da madonna Franceschina, a Guia di Valdobbiadene.
Oltre l'edizione critica del testo, il Bevilacqua cerca di ricostruire la vita di questo personaggio, frate dal 21 ottobre 1588 dell 'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, morto a Venezia nel i640 dopo una vita spesa come aiutante di speziaria ed infermeria, divenendo poi provetto infermiere speziale.
I cronisti parlano di lui come un frate di "specchiate virtù francescane, tanto da eccellere nello spirito di orazione, nella mortificazione e nell'umiltà, amando essere disprezzato".
E così fra la preghiera, il lavoro e lo studio, fra Francesco licenzia il suo libro "La Prattica dell'Infermiero. Nella quale con osservazioni fondate nell'uso di moltissimi anni s'indottrina l'assistente e caritativo infermiere per ben conoscere e, ne' casi repentini, applicar li rimedi proportionati a' mali dei suo infermi".
Il testo, reso di scorrevole lettura
da parte del Bevilacqua, merita di essere letto non solo per l'aspetto folcloristico, come a prima vista può apparire, ma per consocere la pratica della medicina nel XVII secolo. Interessante è pure l'indice delle cose notabili. Si spazia dai medicamenti ai rimedi, al sano vivere, alle intemperie atmosferiche e loro cause.

Giancarlo Follador


A. SACCON e M. INNOCENTI, Fauna e ambiente del Trevigiano, Provincia di Treviso, 1990.

M. INNOCENTI e A. SACCON,
Gli impianti di aucupio nella Marca trevigiana, Provincia di Treviso, 1990.

Due pubblicazioni che fanno davvero onore agli Autori e a chi le ha volute e commissionate - l'Amministrazione provinciale, Assessorato alla caccia - sia per il contenuto che per la veste tipografica, dignitosa e allettante. Gli autori sono due professori-ricercatori trevigiani, esperti e appassionati di Scienze Naturali, che hanno dedicato una decina d'anni ad una indagine minuziosa e assai dettagliata sulle due tematiche indicate dai titoli.

Nel primo volume (228 pagine) viene preso in esame il territorio della Provincia, suddiviso in tre zone (pianura, collina e montagna, fiumi) con approfondimenti specifici relativi alla vita nelle lame montane e nelle acque delle cave in pianura. Viene così descritta l'evoluzione cui sono andati incontro i parametri ambientali della Marca ed esaminate alcune cause che hanno contribuito ad alterare, talvolta in modo irreversibile, l'aspetto e le funzioni che il territorio aveva fino a qualche decennio fa appena.
La semplice esposizione dei dati e delle osservazioni è già di per sè assai eloquente. Appare evidente poi l'elevata complessità dei fenomeni, in cui interagiscono fattori molteplici e non sempre identificabili; essa è tale da rendere difficoltoso non solo prevedere la futura evoluzione dei sistemi biologici, ma spesso anche riconoscere il meccanismo d'azione dei fattori stessi. Emergono così chiaramente, e senza indulgere a sterili ecologismi, le esigenze di una giusta difesa dell'ambiente, della flora e della fauna, la necessità di un corretto svolgimento delle attività agricola e venatoria, la segnalazione di particolari località da salvaguardare. Preziose le indicazioni operative che vengono suggerite e delle quali gli amministratori pubblici dovrebbero fare tesoro.
"E necessario in ogni caso che la protezione non venga concepita soltanto come delimitazione di zone interdette e sorvegliate. La vigilanza da sola non può certamente risolvere il problema. Questo va affrontato e risolto mediante il contributo di tutte le categorie interessate. È soprattutto chi opera direttamente in territorio agricolo e forestale, utilizzandolo come fonte di reddito, chi lo percorre e ne conosce ambiente, flora e fauna, l'agricoltore, l'escursionista, il cacciatore, che devono concordemente assicurare la salvaguardia. E non si consideri scontato il richiamo a una più estesa opera educativa".

Il secondo volume (156 pagine) costituisce un censimento di tutti i "roccoli" e le "bresciane" di cui si ha notizia, anche di quelli dei quali rimane solo il ricordo. Si tratta di 202 schede distribuite per comune in ordine alfabetico; gli impianti di cattura accertati, però, risultano 227.
Un lavoro di ricerca meticolosa, che abbonda nella documentazione, con foto e disegni, riportando per ogni impianto, oltre alla località e ai caratteri morfologici e topografici, notizie relative alla struttura, alla vegetazione e all'uso.
Il lavoro costituisce un omaggio
alla cultura popolare di un tempo, una finestra aperta su un aspetto della nostra storia.
Espressioni della necessità di sopravvivenza ma anche di arte popolare, quei pochi roccoli rimasti possono essere ritenuti dei veri "monumenti arborei". Si "roccolava" certamente per passione e con non poco disagio, ma specialmente per integrare il magro compenso che davano le colture agricole in epoche di scarsi apporti proteici alla dieta, oppure per ricavare denaro dalla vendita dei volatili.
Di qui l'auspicio che qualcuno degli impianti più meritevoli dal punto di vista paesaggistico, per forma e disposizione, vetustà e pregio degli alberi, valore storico e felice inserimento nell'ambiente, venga adeguatamente conservato e tutelato.

Antonio De Nardi


GIORGIO MIES, Arte del '700 nel Veneto Orientale, Edizione a cura della Cassa Rurale ed Artigiana delle Prealpi, Pordenone, 1992, pp. 144.

Incredibilmente ricca di opere è ancor oggi la provincia italiana, e quella veneta in particolare. Chiese,case e palazzi custodiscono ancora spesso neppure tanto gelosamente pitture, sculture, intagli, oreficerie, segni del nobile passato di una terra che la memoria collettiva a torto quasi sempre identifica solo nel suo capoluogo.
Un patrimonio artistico di prim'ordine, tolto in questi ultimi anni dall'oblio da una schiera di giovani studiosi che lo hanno indagato con amore, tenacia e competenza, recuperando opere di noti o meno noti artisti degne di entrare in quel variegato mondo di esperienze culturali che è il motivo della grandezza dell'arte veneta.
Giorgio Mies si è dedicato allo studio dell'arte del territorio situato tra Piave e Livenza e i risultati sono stati entusiasmanti: pittori di gran nome accanto ai minori locali, opere spesso di alta qualità rintracciate non solo nei luoghi deputati dell'arte, ma anche nelle più sperdute località.
Dopo un primo saggio su "L'arte del '500 nel Vittoriese" (1987),dopo un volume di carattere complessivo, "Santi nell'arte fra Piave e Livenza" (1989), dopo il catalogo delle opere di Francesco da Milano (1983) e la monografia su Egidio Dall'Oglio (1984), ecco un volume sulle pitture (e sulle sculture) dei secoli XVII e XVIII, nel quale si maturano rifles85
sioni già avanzate nei tanti saggi apparsi in questi ultimi anni sulle riviste locali e si portano a compimento le indagini effettuate nell'ultimo decennio sull'arte del territorio.
Scoperte, ritrovamenti, attribuzioni, conferme rendono quanto mai interessante ed avvincente la lettura dell'opera: nella quale non solo si tratta del De Lorenzi o di Agostino Ridolfi, pittori tutto sommato piacevoli ma pur sempre provinciali, o di Antonio Lazzarini, del Dall' Oglio o del Novelli, che ebbero qualche peso nell'evoluzione dell'arte veneta; ma anche di Antonio Bellucci, Sebastiano Ricci e Gaspare Diziani che furono artisti di prima grandezza.
Molte le notizie di prima mano (talvolta con attribuzioni che valgono come proposte di lavoro) ma il pregio maggiore del libro è costituito dall'aver recuperato il tessuto culturale del Veneto Orientale proposto al largo pubblico e riconsegnato alla storia.

Giuseppe Bergamini


GUARISE P. SERAFINO o.f.m. conventuali, Ancora tra noi trevigiani. S. Antonio di Padova a S.

Pietro, S. Stefano, Gaia, Bigolino, 5. Giovanni e Valdobbiadene Pieve, Quaderno III, Lito Tipografia Bertato, Padova 1994, pp. 156.

Padre Serafino Guarise è già noto per alcune pubblicazioni relative a temi della famiglia. Da anni si sta occupando della storia del convento Madonna di Lourdes in San Pietro di Barbozza e del culto antoniano nel territorio. In progetto ci sono ben il volumi dai più svariati temi. Uno studio ambizioso. Poi si vedrà.
Attualmente esce con il terzo quaderno dedicato al culto di 5. Antonio attraverso l'iconografia dei capitelli.
È un'opera pregevole da un lato, perché, per la prima volta, abbiamo la schedatura completa delle edicole, sacelli, oratori dedicati a questo santo.
L'autore ha preferito affrontare il materiale in modo discorsivo, lasciando da parte gli ultimi studi in merito a questo tema.
Ultimo lavoro in zona è quello di Martino Durighello nei quattro volumi della storia di Alano di Piave.
Salva è la documentazione, soprattutto quella orale, ben si sa che è assai difficoltoso in questa materia trovare documenti scritti, in quanto tutto è affidato alla pietà popolare.
Poco fortunate sono invece le
pagine dedicate alla figura di sant'Antonio; non meritavano di essere inserite. Era sufficiente un rinvio bibliografico.
Guarise ha fatto uno sforzo e, ciò che ha raccolto, è segno di passione per la storiografia antoniana, ma un libro di questo genere avrebbe avuto bisogno di più scientificità nella schedatura.
Comunque, bella è l'idea, e tale rimane, anche perché è il primo esempio nella Valdobbiadene di tentativo di affrontare questo tema.

Giancarlo Follador


A.V., Venanzio Fortunato tra Italia e Francia, Provincia di Treviso, Grafiche Zoppelli, Treviso 1993, pp. 276.

Il libro raccoglie gli atti del convegno internazionale di studi tenutosi a Valdobbiadene e Treviso nel maggio del 1990, il quale ha richiamato nella Marca i maggiori docenti delle Università italiane ed europee in materia.
Le relazioni sono di Massimiliano
Pavan, Venanzio Fortunato tra
Venetia, Danubio e Gallia
Merovingia; Guido Rosada, Il via ggio di Venanzio Fortunato ad
Turones. il tratto da Ravenna ai
Breonum Loca e la strada per Sumontana Castella; Wolfang Czysz,Augusta Vindehiucm nell' itinerario di Venanzio Fortunato; Ubaldo Pizzani, La cultura in Italia e in Gallia nel sesto secolo; Marcc Reydellet, Tradition et nouveauté dans les Carmina de Fortunat; Antonio V. Nazzaro, Intertestuahità bibhico-patristica e classica in testi poetici di Venanzio Fortunato; Francesco Della Corte, Venanzio Fortunato, il poeta dei fiumi; Michel Rouche, Autocensure et diplomatie chez Fortunat a propos de l'elegie sur Galeswinthe; Robert Favreau, Fortunat et l'epigraphi; Salvatore Pricoco, Gli scritti agiografici in prosa di Venanzio Fortunato. Inoltre le comunicazioni di Mauro Donnini ed Ivano Sartor, quest'ultimo sul tema: Venanzio Fortunato nell'erudizione, nella tradizione e nel culto in area veneta.
Comunicazione molto vicina a noi per aver sviluppato la ricerca su quanti trevigiani e valdobbiadenesi, in particolare, hanno scritto sul santo.
E un testo, a dir il vero, per gli addetti ai lavori, ma stimolante per la ricchissima bibliografia.
Non è mai apparso in libreria e neppure nel valdobbiadenese.

Giancarlo Follador


San Vito negli scritti di don Giovanni Turra a cura di MARIA ROSA
SERNAGLIA, Parrocchia di San Vito di Valdobbiadene, Grafiche Antiga, Cornuda 1994, pp. 216.

Spesso gli archivi parrocchiali riservano delle sorprese. E il caso di quello di san Vito di Valdobbiadene nel quale da anni sono conservati gli scritti storici di don Giovanni Turra.
Due grossi volumi manoscritti, redatti da questo prete che è stato parroco dal 1908 al 1960. Una "summa summarum" difatti, episodi, note inerenti alla chiesa, agli oratori, al paese.
Maria Rosa Sernaglia, procedendo ad una cernita sistematica del materiale, ha costruito una storia fruibile, certe volte appetibile, pur nelle sue lacune, cioè della mancanza di tanti dati relativi alla comunità.
Infatti il Turra, nel suo lavoro, ha dimenticato sistematicamente qualsiasi cenno bibliografico, a parte il Bonifacio. Ha riportato tanti documenti senza citarne la fonte, destando così dei sospetti sulla veridicità
dell'informazione.
Certamente, la parte migliore del libro è quella dedicata al diario dell'invasione durante il primo conflitto mondiale. In quella occasione il parroco è stato il diretto attore della storia.
Per il resto la curatrice doveva, in questo caso, fornire una edizione critica o almeno avvalersi di qualche consiglio esterno, visto il suo primo lavoro in questo settore. I consigli non sono mai troppi in questi casi.
A questo punto per avere la storia del paese di san Vito c'è tanto cammino da fare, soprattutto lavoro di archivio.
Per il momento è un inizio, ma sempre un inizio sulla linea della vecchia storiografia anche se alla luce dei nuovi studi locali, superata.
Ma va comunque alla Sernaglia il merito di non aver lasciato ammuffire nell'armadio questo documento, che è pur sempre affascinante.

Giancarlo Follador

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