Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°5 - 1990 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

ANTONIO DELLA LIBERA

ATTIVITÀ SISMICA NELLE PREALPI NORD-ORIENTALI

Come si originano i terremoti

L'Italia è un Paese dove i terremoti si ripetono con una certa frequenza; ciò avviene ogni volta che onde sismiche cariche di energia si sprigionano dagli ipocentri, dentro la crosta, e giungono con elevata velocità in superficie.
Tra le regioni italiane, il settore orientale delle Alpi Meridionali comprendente le Prealpi venete e friulane è sede di accentuata sismicità, che perdura da tempo, come testimoniano molteplici documenti storici.
L'origine prima e principale dei terremoti italiani è dovuta al fatto che la Placca africana e quella euroasiatica sono in fase di reciproco avvicinamento.
Il fenomeno è cominciato durante il periodo Cretaceo, circa 100 milioni di anni fa, e continua ancor oggi.
In tutto questo tempo il bacino del Mediterraneo si è progressivamente ridotto, e i suoi bordi, sollecitati da lenta e poderosa azione compressiva, si sono andati ripiegando e accavallando fino a formare quelle imponenti "rughe" della crosta terrestre che sono le Alpi, gli Appennini, l'Atlante e gli altri sistemi montuosi che circondano il Mediterraneo.
Quelle stesse forze, che nei tempi geologici sono capaci di formare i corrugamenti, sono anche la causa dei terremoti.
I terremoti avvengono quando le masse rocciose, compresse come in una morsa e quindi cariche di tensione, una volta raggiunto il punto di massima resistenza, improvvisamente cedono liberando gran


ANTONIO DELLA LIBERA, di anni 51, geologo, insegna scienze presso l ' ITIS di Vittorio Veneto. Studioso di problemi geologici interessanti in particolare il Trevigiano, il Friuli e l'Alpago, è l'autore di varie pubblicazioni su tale materia.


95

parte dell'energia accumulata, che si propaga sotto forma di onde sismiche.
E compito dei geologi fare la radiografia della crosta terrestre ed individuare i meccanismi che fanno scattare i terremoti.
Perché il settore orientale delle Alpi Meridionali è caratterizzato da una certa vivacità sismica? Indubbiamente perché continuano qui ad accumularsi enormi sforzi compressivi, gli stessi che in passato hanno arricciato gli strati della crosta terrestre, formando pieghe, faglie e falde di ricoprimento.

Modelli sismogenetici

Un modello sismogenetico viene illustrato nella figura 1, che riporta una sezione geologica condotta dalla zona Dolomitica alla pianura trevigiana, passando attraverso le Prealpi bellunesi e il Montello.
Si può osservare come il raccorciamento crostale abbia qui determinato una serie di sovrascorrimenti di falde del basamento cristallino verso la pianura, mentre le più recenti rocce di copertura hanno subito notevoli ripiegamenti e dislocazioni.
È significativo il fatto che gli ipocentri sismici dei terremoti (relativi al periodo compreso tra il 1966 e il 1984), sono tutti localizzati in corrispondenza dei fronti di accavallamento delle falde subalpine.
Che il settore nord-orientale dell'Italia sia sismicamente piuttosto attivo lo testimonia la frequenza con cui si sono qui ripetuti, nei tempi passati, terremoti di elevata intensità.
A partire dall'anno mille, lungo la fascia prealpina che dal Garda giunge fino ai confini orientali del Friuli, sono documentati almeno 54 terremoti di intensità pari o superiore all'ottavo grado.
Dati maggiormente attendibili, relativi ai tempi più recenti, informano che nel 18° secolo si sono avuti 7 terremoti molto forti ed altrettanti nel 19° secolo, mentre dal 1900 al 1980 sono stati registrati ben otto eventi sismici di grande intensità.
Con i documenti storici sui terremoti del passato vengono costruite le Mappe sismiche, come quella riportata nella figura 2, nella quale sono indicate le massime intensità, espresse in scala Mercalli-Calcani-Sieberg (MCS), dei terremoti registrati nell'Italia Nord
-orientale durante il periodo 1691 - 1984.
La carta mostra come i valori più elevati dell'intensità sismica siano distribuiti lungo il margine prealpino, secondo l'allineamento Nord-est sud-ovest. Si osserva inoltre un valore massimo per l'Alpago, pari al 10° grado (terremoto del 1873) ed un nono grado in Cansiglio, relativo al terremoto del 1936.

Neotettonica e fenomeni sismici recenti

Per tentare di capire quello che succede dentro la Terra non basta però fermarsi allo studio dei terremoti, siano essi devastanti o sola

96

mente strumentali: occorre anche cogliere tutti i possibili segnali dei dinamismo della crosta, tra cui molto significativi sono i lentissimi fenomeni di innalzamento e di abbassamento del suolo.
Anche sotto questo aspetto l'area prealpina veneto-friulana dà segni di una certa vivacità, come dimostra la carta neotettonica di un tratto di questo territorio (fig. 3).
Recenti studi di neotettonica hanno rilevato che dal Pleistocene medio ad oggi, vale a dire nel corso degli ultimi settecentomila anni, la zona comprendente il Montello, le colline vittoriesi e coneglianesi, il Cansiglio, le Prealpi bellunesi e quelle friulane è soggetta a "forte e articolata deformazione con conseguente aumento dell'energia di rilievo".
Viceversa, il tratto dell'Alta pianura posta a ridosso delle colline, dopo una prima fase di abbassamento, sembra si stia ora sollevando. Infine, l'area della Bassa pianura, tra Treviso e Venezia, in questi ultimi 700.000 anni ha subito un prevalente fenomeno di abbassamento. Conferma diretta di un simile comportamento è venuta dalle livellazioni di precisione eseguite negli anni 1952 - 1985 lungo la linea Cortina - Venezia.
Questo impercettibile insieme di movimenti differenziali produce a lungo andare delle crisi sismiche lungo le linee di faglia che, come si può osservare nelle figure 3, sono disposte secondo due principali direzioni, pressoché ortogonali tra di loro.
Le faglie attive sono strutture sismogenetiche, cioè capaci di generare terremoti nel momento in cui le tensioni accumulate al loro interno provocano la rottura degli equilibri dinamici. È questo il momento in cui, come un arco teso, le faglie scattano liberando enormi quantità di energia, capace di produrre notevoli distruzioni su vasti territori.

Terremoti preistorici e storici in zona

Sui grandi terremoti riferibili all'età preistorica ben poco si conosce. Ad essi può essere collegata la caduta di alcune grandi frane dalle pendici montuose. In questo senso sembra possano essere collegate ad importanti eventi sismici le Masere di Vedana, i Lavini di Marco in Val Lagarina, le Marocche in Vai di Sarca e probabilmente anche l'enorme frana che ha formato Sella di Fadalto.
Passando all'epoca storica, numerosi documenti propongono testimonianze, per la verità talvolta assai incerte, sui numerosi terremoti che hanno colpito la fascia prealpina orientale, con particolare riferimento al Cansiglio, al bellunese, ai Montello, all'area gardesana e a quella friulana. Ed è proprio agli estremi di questa fascia che i terremoti si sono manifestati con il più elevato grado di intensità. Con la differenza, però, che il Friuli continua ad essere una zona sismicamente molto attiva, mentre il Garda lo è stato fino al XIII° secolo, dopo di che la sua sismicità si è andata riducendo.

97

Tra i terremoti spesso citati dagli storici locali, uno dei più famosi è quello del 21luglio dell'anno 365, con epicentro a Rovereto e di intensità pari all'XI grado della scala MCS. Fece sentire i suoi tragici effetti su un vasto territorio, provocando distruzioni gravissime a Belluno, a Padova e a Verona.
Delle conseguenze di questo evento si occupò lo storico bellunese Giorgio Piloni, vissuto molti secoli dopo, tra il 1539 e il 1611. Scrisse dunque il Piloni nella sua Historia:
"fù quest'anno nel mese di Luglio un Terremoto tanto terribile che rovinarono infiniti edificj, i fiumi cangiorno letto, et il mare si scostò per gran spatio dai suoi liti, e molti monti restarno piani".
"Non mancano di quelli che affermano l'Annasso fiume (hora detto Piave), qual correva nei laghi d'Alpago e indi passava per il territorio di Serravalle e Ceneda, aver per questo terremoto cangiato letto, per la caduta di un monte che l'impediva il corso, per l'alveo che tiene al presente per il territorio Bellunese, Feltrino e Trevigiano".
La descrizione, colorita e alquanto fantasiosa, contrasta con i risultati delle successive ricerche geologiche, in base alle quali il Piave fu costretto a prendere l'attuale corso, lungo la Vai Belluna, in tempi assai più remoti, vale a dire durante il ritiro della lingua glaciale
(14.000 - 11.300 a.C.).
Ciò avvenne a seguito della caduta di quell'enorme frana che ha sbarrato la Val Lapisina e ha formato Sella di Fadalto.
Non si può tuttavia escludere che il terremoto del 365, data la sua grande forza, sia responsabile della caduta di qualcuna delle frane che si sono staccate dalle pendici del monte Dolada nella zona di Soccher e di Cadola e che ciò possa avere modificato in quel tratto di territorio il corso del Piave.
Venendo a tempi più vicini è il caso di ricordare, oltre al terremoto del 1695, di intensità pari al IX - X MCS, quelli del 1873 (X MCS) e del 1936 (IX MCS).
Su quest'ultimi, i cui ipocentri sono stati localizzati attorno al Cansiglio, abbondante documentazione è conservata nell'archivio del Comune di Vittorio Veneto.

Il terremoto del 1873

Il terremoto del 1873 avvenne il mattino del 29 giugno, festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo. La prima scossa fu registrata alle ore 4 e 55 minuti; l'epicentro fu calcolato nel bacino dell'Alpago ma le scosse furono avvertite in tutto il Veneto e anche oltre. I maggiori danni si ebbero, oltre che in Alpago, anche in Val Lapisina e nei comuni che si distendono ai piedi del Cansiglio, lungo la fascia collinare, da Vittorio a Saciie, fino a Montereale.
Quaranta furono i morti in provincia di Belluno, di cui trenta nel

98


fig.1 - Sezione geologica schematica della zona compresa tra le Dolomiti e la Pinura Trevigiana



fig.2 - Carta della massima intensità (espressa in scala MCS) osservata nall'Italia nord-orientale nel periodo 1691-1984

99

solo Alpago. Tra Rugolo, Cappella e Sarmede si contarono 16 morti, mentre a San Pietro di Feletto ci furono ben 38 vittime tra i fedeli raccolti in chiesa per la Messa mattutina, nel giorno del Patrono, e che rimasero sepolti sotto le macerie del tetto della vecchia Pieve. Ingenti in tutta la zona attorno al Cansiglio i danni alle case e agli edifici pubblici. Un terzo circa delle abitazioni di Ceneda rimasero lesionate, mentre minori furono i danni a Serravalle.
Questo fatto potrebbe trovare spiegazione nel diverso grado di rigidità sismica dei terreni di fondazione delle case. Osservando a questo proposito due illustri geologi del tempo che hanno avuto modo di studiare il fenomeno, - il Taramelli e il Pirona - che "Serravalle è posta sopra una roccia arenaceo-calcarea compattissima", Ceneda, al contrario "è collocata sopra alluvioni alla base di conglomerati alternati con marne".
L'osservazione rappresenta uno dei primi tentativi di microzonazione sismica, cioè di analisi sull'influenza che le condizioni locali, soprattutto litologiche, idrogeologiche e morfologiche, possono esercitare sui meccanismi del terremoto e sulle amplificazioni delle sollecitazioni sismiche.
A Ceneda, oltre alle molte case lesionate, si dovette lamentare il crollo della torre campanaria della Cattedrale e gravi danni alle strutture del Seminario Vescovile e del Castello di San Martino.
A Serravalle cadde quasi completamente la "Turris Nigra" che sovrasta il santuario di Santa Augusta.
Per far fronte ai gravi bisogni del momento e per avviare l'opera di restauro venne aperta tra la gente di Vittorio una sottoscrizione e furono raccolti fondi per un importo di 2232,45 lire, mentre il Comitato Provinciale, appositamente costituito, assegnò la somma di lire 26.771,90; va infine segnalato un contributo di lire mille da parte di Vittorio Emanuele Il, re d'Italia, alle popolazioni vittoriesi colpite dal terremoto.

Un nuovo sisma nel 1936.

Passarono circa una sessantina d'anni di relativa calma sismica prima che un nuovo terremoto, di intensità pari al IX° della scala MCS, tornasse a colpire queste zone.
Il fenomeno si verificò qualche ora prima dell'alba, alle quattro e dieci minuti del 18 ottobre del 1936.
L'ipocentro sismico venne individuato a 17 chilometri di profondità sotto l'altipiano del Cansiglio.
Non ci furono morti, anche i danni furono più lievi della volta precedente.
Dopo la scossa principale si ebbero numerose repliche nei giorni successivi, fino al mese di marzo del '37.
I danni, ben documentati attraverso le domande di contributi che i cittadini rivolsero alle autorità, si concentrarono particolarmente

100


fig.3 - Carta Neotettonica, intervallo Pleisocene Medio - Olocene (da Sleiko et al. 1987, C.N.R. - G.N.D.T. Rend. n.1)

101

lungo i centri pedecollinari posti attorno al Cansiglio. Maggiormente colpita fu l'edilizia povera. A Montaner, per esempio, ben duecento risultarono le case lesionate, danni notevoli si lamentarono anche a Sarmede, Cordignano, Stevenà e Sacile.
A Vittorio fu ancora una volta il quartiere di Ceneda a risentire maggiormente del sisma: si ebbero qui quattro fabbricati distrutti, quaranta gravemente danneggiati e almeno trecento bisognosi di interventi di consolidamento.
Tra gli edifici maggiormente colpiti ci fu, ancora una volta, il Seminario Vescovile, ridotto in condizioni tali da dover essere in parte demolito.
Notevoli danni subirono anche la caserma dei carabinieri, il collegio delle Giuseppine, l'ufficio delle Imposte, la Cattedrale e il vecchio municipio di Ceneda, ora Museo della Battaglia.
A seguito del terremoto del '36 anche il comune di Vittorio Veneto, con decreto del 23 marzo 1937, venne iscritto, assieme ad altri limitrofi, nell'elenco dei comuni sismici e pertanto fu soggetto ai benefici ma anche alle prescrizioni tecniche previste dal R.D.L. del 28.12.1936 N. 2433 per le zone colpite.
I danni materiali nel comune di Vittorio Veneto furono stimati dal Genio civile non inferiori ai 4 milioni; le domande di contributo per gli interventi di restauro da parte di privati cittadini, che la commissione comunale appositamente istituita trasmise alla prefettura, furono circa un centinaio.
Sembra che già a quei tempi le opere di ricostruzione procedessero con una certa lentezza, tant'è vero che, a oltre due anni di distanza dal terremoto, il commissario prefettizio della Città, Aldo Marinotti, esprimeva le proprie lamentele al prefetto per i molti edifici ancora puntellati e pericolanti.

Il terremoto: un evento che si ripete.

La storia dei terremoti indica molto bene come questi si ripetano con una certa regolarità nella medesima zona e come gli epicentri sismici siano disposti lungo le direttrici tettonicamente attive della crosta terrestre.
Partendo da questi elementi si sono costruite negli ultimi anni le Mappe sismiche del territorio nelle quali vengono distinte le aree che, in diversa misura, sono soggette al rischio sismico. Su questa base si è anche proceduto alla ridefinizione dei comuni sismici (D.M. 14 - 5 - 1982) nel cui territorio, in base alla nuova normativa, devono essere applicati criteri più severi nella progettazione e nella costruzione degli edifici.
Gli studi di sismologia hanno avuto forte impulso dopo il terremoto del Friuli del 1976 (X grado della scala MCS - fig. 5) e stanno recando un notevole contributo sia di natura scientifica che tecnica alla riduzione del rischio sismico per le popolazioni, elevando il livello del-

102


fig.4 - Carta delle Isosiste generalizzate del terremoto del 18 ottobre 1936 (Giorgetti, 1979).


fig.5 - Carta delle Isosiste del terremoto del Friuli del 6 maggio 1976. I gradi macrosismici sono ripetuti nella scala MCS.

le difese possibili contro gli effetti del terremoto.
Sembra essere invece ancora molto lontana la possibilità di prevedere il luogo e il giorno di un prossimo terremoto disastroso.
Per il momento, sulla base delle reali conoscenze fin qui acquisite, è solo possibile fare previsioni di massima sul probabile periodo di ritorno di un terremoto di una data intensità.
Secondo recenti studi (Giorgetti et al. 1980) si possono, per esempio, prevedere nell'area bellunese e dell'Alpago sismi con intensità dell'VII - IX della scala MCS con tempi di ritorno di 150 anni circa. Mentre, limitatamente alla zona dell'Alpago, è previsto con tempo di ritorno sui 50 anni, un evento con intensità massima dell'VIlI MCS.
Dall'analisi dei terremoti che hanno colpito in questi ultimi secoli le aree del Mediterraneo orientale si è constatata una singolare successione nel tempo delle crisi sismiche che pare colpiscano prima l'Egeo, poi il settore greco - albanese - montenegrino, infine le regioni adriatiche italiane.
L'analisi storica ha permesso di riconoscere che nel corso degli ultimi duecento anni l'area greco - montenegrina è stata interessata da cinque principali cicli di attività sismica, di durata media sui venti
- trenta anni, separati da periodi di analoga lunghezza e di relativa quiete.
L'ultimo di questi cicli si è avuto nell'arco di tempo compreso tra il 1950 e il 1970.
Pare dunque che le crisi sismiche della Grecia e della Jugoslavia meridionale inneschino ondate di sismicità che, nell'intervallo di tempo di qualche anno, investono dapprima le zone meridionali dell'Italia e successivamente quelle centrosettentrionali.
Si avanza anche l'ipotesi che l'ultimo ciclo sismico, iniziato nel 1950, si sia con ogni probabilità esaurito con il terremoto del Friuli del 1976.
Se così fosse, i prossimi dovrebbero essere anni di relativa calma sismica, almeno nelle nostre regioni.

 

<<< indice generale

http://www.tragol.it