Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°5 - 1990 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
ALDO TOFF0LI


UN ALTRO DA PONTE

Neanche questi anni di celebrazioni dapontiane hanno fatto uscire Girolamo Da Ponte dal cono d'ombra del suo più celebre fratello. Per quanti ne ricordano il nome, egli resta non più che un personaggio delle Memorie di Lorenzo, compagno dei suoi giochi d'infanzia, suo condiscepolo nei Seminari di Ceneda e Portoguaro, suo collega di insegnamento nel Seminario di Treviso, testimone preoccupato delle sue avventure veneziane. Poi la fuga di Lorenzo da Venezia, nel 1779, separa i due fratelli, e sarà per sempre. La figura di Girolamo sparisce così anche dalle Memorie. Il suo nome, nell'autobiografia di Lorenzo, sarà citato ancora qualche volta, ma il luogo notevole è solo quello che ne annuncerà la morte (').
Eppure Girolamo ha di suo titoli sufficienti per essere ricordato. Metterlo un poco in luce, delinearne la figura non certamente mediocre, ci sembra - tutto sommato - cosa giusta.

Girolamo Da Ponte nasce il 9 agosto 1752, secondo dei tre figli di Geremia Conegliano e Rachele (Ghella) Pincherle, ebrei del ghetto di Ceneda.
Il suo nome, alla nascita è Baruch; diventerà Girolamo il 29 agosto 1763, quando il padre e gli altri due fratelli prenderanno il battesimo(2).

A undici anni entra col fratello Lorenzo nel Seminario di Ceneda, per acquisirvi quell'istruzione che la modesta condizione economica del padre non era in grado di garantirgli(3).
Lorenzo afferma che ciò è dovuto alla sua iniziativa(4), ma è da credere che non sia mancato l'intervento del padre e probabilmente di qualche amico di famiglia, in particolare quel mons. Ziborghi la cui protezione sarà più volte provvidenziale per la famiglia Da Ponte(5).
Da questo punto in avanti la gran parte di quel che si sa di G.D.P.

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deriva dalle Memorie del fratello Lorenzo che, anche se scritte molti anni dopo la morte di Girolam(6), tracciano di lui, con una serie di interventi frammentari e quasi casuali, un ritratto e una storia sufficientemente attendibili.
Sui fatti narrati nelle Memorie, si sa che Lorenzo non è sempre affidabile; ma l'insieme delle vicende riguardanti il fratello sembra "tenere", e i rari riscontri sui pochi documenti che dello sfortunato Girolamo sono rimasti, in genere sono di conferma.
In Seminario di Ceneda G.D.P., alla scuola di quei "valentissimi professori" fa ottimi progressi e impara, insieme col fratello, "in men di due anni a scrivere con qualche eleganza il latino"(7) con l'italiano le cose vanno meno bene, ma fortunatamente viene l'abate Cagliari a insegnare ai giovani seminaristi cenedesi a leggere e scrivere nella lingua di Dante e Tetrarca (8) e anche Girolamo può così esercitarsi nelle composizioni in lingua italiana.
Alla morte del vescovo Da Ponte (9) il canonico Ziborghi ottiene ai fratelli Da Ponte, Lorenzo, Girolamo e Luigi, di essere collocati nel Seminario di Portogruaro. Qui Girolamo segue gli studi nelle varie discipline con notevole profitto e insieme matura, in modo più profondo e serio che non il fratello Lorenzo, la vocazione a farsi prete.
Alla fine del 1763 è colpito con i suoi fratelli da una malattia che si manifesta in "serissime convulsioni" (forse febbri di origine malarica provocate "dall'aria grossa di que' luoghi paludosi"), ed è mandato dai superiori a Venezia, con Luigi e Lorenzo, dove non soffre più "alcuno di quegli incomodi" e in qualche settimana guarisce(10). Alla fine del gennaio 1769 è con i fratelli di nuovo nel Seminario di Portogruaro.
Continua a dedicarsi alla poesia, e nel 1771 compone un singolare poemetto Sulla luce e le sue caratteristiche.
Nel luglio 1773 segue a Venezia Lorenzo, che subito dopo l'ordinazione sacerdotale ha pensato di congedarsi dal Seminario portoguarese (12).
Qui, mentre Lorenzo si lascia travolgere dalle tentazioni della società godereccia veneziana, e ancor più dalle grazie di Angela Tiepolo, egli ottiene un "cospicuo impiego di segretario in una illustre
famiglia veneta", quella del nobile Giovanni da Lezze(13).
É questo un anno di sofferenza, per Girolamo: la condotta scandalosa di Lorenzo, il cui status di prete era noto a tutti, le quotidiane avventure di cui era protagonista quasi sempre sfortunato, il suo continuo bisogno di denaro, dovuto per lo più alle perdite al gioco, sono per lui fonte continua di preoccupazioni. E a nulla valgono i suoi assidui consigli, le sollecitazioni, gli ammonimenti: lo scatenato fratello sembra non aver altre cure che i soldi e gli amori. Ma è anche l'anno, questo, che nelle sue Memorie Lorenzo ricorda con particolari riferimenti a Girolamo. Lo fa con grande affetto e, diciamolo pure, ammirazione. Descrivendone la personalità, ne esalta le grandi virtù. Ma si sente anche la fraterna gratitudine per colui che gli era stato vicino con i suoi moniti, sia pure inascoltati, e lo aveva in più occasioni

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salvato da guai peggiori: "Il saggio e amoroso fratello mio, con cui non so s'era più legato co' vincoli dell'amicizia o con quelli della natura, tentò spesso scuotermi dal mio letargo; ma io era troppo vivamente combattuto dalle due forti passioni del gioco e dell'amore, e, quantunque vedessi il male che sovrastavami, pur non aveva forza di liberarmene".
Ma un "bizzarro incidente" (un prete amico, bisognoso di denaro, gli ruba il mantello e lo va a pignorare) provoca un giorno in Lorenzo "quel che né i fraterni consigli né mille danni o pericoli" avevano determinato. "Come" dice a se stesso "non bastano i principi della religione, dell'educazione, dell'onore a frenar un uomo guidato dalle passioni...?" "... un uomo... si lascia accecare a segno da rubare il mantello al compagno, al benefattore, all'amico? E che lo conduce a questo? Il gioco e l'amore!".
Senza perdere tempo, Lorenzo scrive a Girolamo un biglietto: "Girolamo, non più gioco, non più amori, non più Venezia. Partirei sul fatto, se avessi denaro. Ma fo voto di non rimanervi più altri tre giorni. Ringraziando Dio e il povero ladro. Ci vedremo domattina.
Mandai la lettera pel servo; ma il fratello mio, invece di aspettare il domani, venne sul fatto a trovarmi, e, dopo un amorevole amplesso, cavò la borsa, mi diede tutto il denaro che possedeva, e quello bastò all'urgenza del momento... Nè fu per questo il primo od il solo tratto di fraterna amorevolezza da quell'angelico giovane praticatami"(14).
Come Dio vuole, i due fratelli tornano a Ceneda (Girolamo, per stare vicino a Lorenzo, rinuncia all'impiego presso il da Lezze). A Ceneda arriva subito la notizia di una bella occasione di lavoro per entrambi: "trovandosi vacanti due cattedre di belle lettere nel Seminario di Trevigi... furono queste offerte a me e al fratello mio"(15). Girolamo intraprende pertanto la nuova carriera di insegnante, che lo terrà impegnato nel Seminario di Treviso per tre consecutivi anni scolastici. Nel 1774-75 insegna grammatica inferiore e canto gregonano; nel 1775-76 umanità e canto gregoriano; nel 1776-77 umanità(16).
Alla fine di quell'anno scolastico, probabilmente nel luglio 1777, torna a Venezia, certo per stare vicino di nuovo al fratello, sempre più inguaiato con donne e rivali e nemici, e cronicamente coperto di debiti.
Qui (ma il fatto registrato nelle Memorie potrebbe forse meglio collocarsi nel primo soggiorno veneziano, degli anni 1773-74), Lorenzo ne pensa un'altra. Ecco il suo racconto: "... avendo avuto occasione di conoscere diversi celebri improvvisatori italiani, tra i quali l'abate Lorenzi, monsignor Stratico e l'Altanesi, mi misi al cimento anch'io d'improvvisare. Mio fratello fece lo stesso, e riuscimmo abbastanza ambidue, per essere con qualche diletto ascoltati. Ci solevano chiamare generalmente gli "improvvisatori di Ceneda"(17).
Ma Girolamo non è certo fatto per vivere d'avventura, e riprende ben presto il suo vecchio impiego presso Giovanni da Lezze, nella.cui casa egli viveva "in carattere di segretario e più d'amico"(8).

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Anche Lorenzo trova lavoro, prima come segretario e "compagno di studi" di Pietro Zaguri e poi, per interessamento dello stesso Zaguri, come precettore dei figli di Giorgio Pisani(19). Ma il suo impegno presso quest'ultimo è più che professionale: le idee infatti che il Pisani, il Gracco di Venezia(20), propugna, trovano in lui eco interessata e favorevole e lo inducono ad un sostegno aperto anche sul piano politico. Ne nascono per Lorenzo altre grane che, sommate ai gravi pasticci combinati sempre in materia di donne, lo inducono a fuggire da Venezia(21): e Girolamo non lo vedrà più.
Da questo momento (ultimi di agosto del 1779), per circa un anno, nulla si conosce della vita di Girolamo: ma non escludo l'ipotesi che sia rimasto a Venezia, magari subentrando a Lorenzo nell'incarico di precettore dei figli di Giorgio Pisani.
La sua appartenenza all'area dei sostenitori del Pisani, e la residenza a Venezia, sono provate dalla parte attiva che egli ha nei festeggiamenti per l'elezione del Pisani stesso a Procuratore di San Marco.
Si fa infatti curatore di una pubblicazione gratulatoria per l'ingresso solenne(22) contenente numerosi contributi poetici(23), e compone altresì una cantata intitolata L'Anfione, che viene musicata da Baldassare Galuppi ed eseguita da quattro celebri cantanti la sera stessa dell'ingresso del Pisani(24).
Ma, com'è noto, dopo soli cinque giorni, Giorgio Pisani viene arrestato, e con lui i principali suoi sostenitori. È la fine di quella specie di partito di cui egli era il capo riconosciuto, quello dei barnaboti(25); ed è da pensare che il buon Girolamo abbia sentito un lungo brivido corrergli la schiena: pur non essendosi mai impicciato di politica, egli si rende certamente conto che in casi come questi spesso i pesci piccoli pagano per tutti.
Con ogni probabilità, è questo il tempo del suo ritorno in patria, nel clima pacato e rassicurante di Ceneda, a casa di suo padre.
Nelle sue Memorie Lorenzo dice ad un certo punto di aver ricevuto a Dresda, nel 1781, la notizia della morte di Girolamo, ma più avanti si corregge dell'incomprensibile errore, ricordando che si trattava invece della morte di Luigi.
I sentimenti, però, che esprime e le considerazioni che svolge ricordando quell'episodio sono attribuibili tutti alla memoria di Girolamo: "Quell'adorabile giovine, tra l'altre sue ottime qualità, aveva quella di dar al nostro vecchio e quasi impossente padre, che aveva una famiglia numerosissima, la maggior parte de' suoi emolumenti, ch'erano assai ragguardevoli. La sua morte doveva dunque esser fatalissima al rimanente della famiglia, incapace per sè di guadagnarsi il pane e molto più di prestare al padre alcuna assistenza"(26).
Girolamo dunque torna a stare con suo padre, e il frutto del suo lavoro è per la famiglia. Ma gli resta poco da vivere. Dopo circa un anno dal suo ritorno si ammala, di una malattia ai polmoni, che lo tiene per due anni a letto e dalla quale non guarirà più(27).
Gli resta il conforto delle Muse, cui continua a dedicarsi, sia pure con fatica.

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Il suo lavoro estremo, pubblicato nell'ultimo anno della sua vita, è la traduzione in esametri latini di una versione francese del Carme sull'ultimo giorno del poeta inglese Edward Young (1683-1765)(28). La dedica dell'opera, ai canonici di Ceneda, è intrisa di commozione:
nell'autore è piena e lucida la coscienza che la morte per lui è vicina. Essa verrà l'8 agosto 1783. Il registro parrocchiale gli attribuisce trentatré anni, uno in più di quanti ne visse(29).
Curiosamente, anche Lorenzo erra sulla durata della sua esistenza. Ma il contesto in cui commette l'errore è tale, per sincerità e commozione, da meritargli il perdono: "La morte, che mel rapi all'immatura età di trent'anni, cui privò d'un compagno, d'un consiglier, d'un amico, cose sì rare generalmente e sì difficili a ritrovarsi in un fratello. Aggiungeva a questo gran pregio un ingegno sublime, una erudizione vastissima ed un gusto squisito in ogni genere d'italiana letteratura; cose che, unite a una matura prudenza, a una meravigliosa modestia e ad una rara urbanità di costumi, gli avevan acquistato l'amore e l'ammirazione de' suoi. Io non piangerò mai abbastanza l'impareggiabile perdita"(30).
Parole, queste di Lorenzo, fraterno multum manantia fletu. Esse esprimono su Girolamo un giudizio che accosta, alle grandi doti del poeta e dello studioso, le virtù dell'uomo. Sulle prime il giudizio nostro, entro il limite di quello che abbiamo potuto conoscere, coincide con quello di Lorenzo. Sulle seconde ci piace accettarlo, anche se non siamo in grado di fare confronti: ad un giudizio ispirato ad amore fraterno si può ben accreditare un ampio margine di fondatezza.


G.D.P. sapeva, questo è certo, usare la penna, e le muse non gli furono nemiche. Gli insegnamenti dei maestri cenedesi ebbero in lui buon effetto, per la passione che gli infusero della lettura dei poeti e della composizione scritta. Gli ambienti in cui successivamente visse, la vicinanza del fratello e i suoi stimoli, la frequentazione epistolare dei suoi amici (specie Michele Colombo), furono tutti fattori attivi che sollecitarono la sua volontà e il suo ingegno a coltivare l'arte dello scrivere. Ma, posto che questa fosse per lui una vocazione, è certo che non poté mai dedicarvisi pienamente. Prevalsero impegni maggiori, e Girolamo non era tipo da sottrarsi alle responsabilità della vita. Da studente studiava (e non aveva per la testa i grilli del fratello), da insegnante insegnava (e, tra l'altro, pensava anche alla famiglia, e ai dieci fratelli di Ceneda), da segretario e da precettore faceva il suo mestiere: a comporre poesie, il tempo che rimaneva era poco e spezzato. E la vita gli fu breve.
Non è da meravigliarsi quindi che le sue opere non siano numerose, e che, di esse, pochissime siano state stampate. Le prime cose che di G.D.P. ci rimangono sono le composizioni contenute in una raccolta di manoscritti di vari autori: Componimenti vari del Signor Abate / D. Girolamo Da Ponte / E d'altri ecc.. Poiché la data di riferimento

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della raccolta è quella della celebrazione della Prima Messa di D. Gio. Battista Pelleatti, insegnante di lettere nel Seminario di Portogruaro, avvenuta il 22 dicembre 1771, è evidente che gran parte delle opere contenute in essa è di quello stesso anno, o di poco prima.
Di Gerolamo, nella raccolta, sono presenti il Poemetto De Luce ac Lucis affectionibus, di cui si dirà più avanti; una prosa latina (Latina scriptio) in cui si dimostra che la virtù è preferibile alle ricchezze; un Epigramma in distici elegiaci di apparente argomento natalizio; seguono, dopo un foglio che riporta l'indicazione: Celebrando la sua prima Messa / Il M.R.D. Gio. Batta Pelleatti Maestro / Nel Sem.o di Portogruaro / varie composizioni(32), un brano introduttivo, scherzosa-mente confidenziale, in lingua italiana; due sonetti; un capitolo di versi in terza rima in lingua arieggiante l'antico toscano; una Canzone Pindarica di dieci stanze di sedici versi; un terzo Sonetto; un epigramma (latino) in quattro distici elegiaci; un'ode alcaica (latina), un quarto sonetto: tutti brani gratulatori e augurali, evidentemente composti per l'occasione.
G.D.P. ha certamente scritto dell'altro, nel periodo cenedese, ma soprattutto a Portogruaro e Venezia: qualche allusione si coglie qua e là nelle Memorie e nelle lettere di Lorenzo, nonché nelle lettere dello stesso Girolamo(33). Una assidua ricerca potrebbe dare qualche risultato, e si auspica che qualcuno vi si cimenti.
Di opere a stampa abbiamo quelle pubblicate in onore di Giorgio Pisani(34): nella raccolta, curata da G.D.P., sono presenti del curatore: una canzone Lode della Serenissima Repubblica di Venezia e due sonetti. Nell'occasione G.D.P. compone anche L'Anfione(35). Poesie di G.D.P. di vario metro si trovano sparse qua e là in Miscellanee d'occasione, pubblicate per lo più a Venezia. L'ultima opera a stampa conosciuta di G.D.P., è il poema Judicium finale di cui si è detto(36).

L'opera senza dubbio più importante di G.D.P. è rimasta medita; il suo titolo è De Luce ac Lucis Affectionibus. Si tratta di un poema latino di complessivi 1638 esametri, divisi in tre libri rispettivamente di 702, 472, 464.
G.D.P. lo scrive tra i diciotto e i diciannove anni, quando studia nel Seminario di Portogruaro ed evidentemente vive all'ombra delle tensioni, delle idee, delle curiosità culturali del fratello maggiore Lorenzo. Sullo sfondo, anche se lontano, ci sono le nuove idee provenienti d'oltralpe, che certamente hanno toccato le sensibili antenne dell'autore della Memorie, nei sia pur rapidi soggiorni veneziani del 1770, e di lì hanno con lui varcato le pur sorvegliate soglie del Seminario portogruarese. Che per suo conto, per altro, aveva già curato un'integrazione dei tradizionali programmi (basati soprattutto sullo studio delle lingue classiche - latino, greco, ebraico - e della teologia) con un adeguato studio delle scienze matematiche e naturali. Non stupisce, ad esempio, che, con tali premesse e in questo ambiente, Lorenzo

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prepari l'Accademia del 1772 scegliendo come titolo La fisica particolare . In essa, tra l'altro, egli colloca quel Ditirambo degli odori(37) che avrà un particolare successo e che appare in singolare sequenza, trattando del senso dell'olfatto, con l'opera che Girolamo ha già scritta e che tratta di materia interessante il senso della vista. È ovvio che Lorenzo ha seguito la fatica del fratello, e probabilmente gli è stato prodigo di consigli e suggerimenti. Né d'altronde escluderei, perché Girolamo ha già gambe per camminare, che il tema dell'Accademia sia dovuto ad un suggerimento, a sua volta, di Girolamo. Che il lavoro dei due Da Ponte nel periodo portoguarese sia, in qualche pur lieve misura, a quattro mani (o comunque a quattro occhi) non stupisce; stupirebbe, piuttosto, il contrario.

Il contenuto:

Primo libro.
Il poema ha inizio, come d'uso, con l'invocazione alle Muse e ad Apollo. Ed ecco che appare all'autore-soggetto Iride, che lo guida a contemplare la luce e i suoi misteri. Gli parla dell'origine della luce e delle varie teorie, antiche e recenti, in materia; confuta quelle di Aristotele e Cartesio; sostiene che la luce si muove e il suo moto è rettilineo (di qui le eclissi); spiega il fenomeno della rifrazione e le sue leggi; parla dei colori, della loro origine, del bianco e del nero.

Secondo libro.
Appare Pallade ed è lei che ora prosegue nella lezione. Descrive l'occhio, e spiega le ragioni per cui gli occhi sono due, e sulla fronte; e la funzione di palpebre e sopraccigli; parla dei muscoli dell'occhio e dei loro difetti, della pupilla, degli umori dell'occhio (acqueo, cristallino, vitreo), dei difetti della vista e dei vari fenomeni ottici.

Terzo libro.
Continua il discorso di Pallade. Parla delle lenti e dell'uso che se ne può fare per correggere i difetti della vista: dei vecchi con lenti convesse, dei giovani miopi con lenti concave; celebra quindi Galileo, inventore del microscopio (descrizione dello strumento, a che cosa serve, com'è fatto...) e perfezionatore del già scoperto telescopio (descrizione come per il microscopio); parla infine dello specchio e delle sue varietà (convesso, concavo, piano); anche l'acqua ferma e piana può fungere da specchio.
L'argomento richiama il mito di Narciso, ed è con esso che il poema si conclude.

Come si vede, la cornice letteraria è assai esile e in qualche misura strumentale; come se il poeta adempiesse, con il ricorso al mito, ad una sorta di obbligo convenzionale.
Ma il quadro è tutto didascalico: spesso le dèe che il poeta fa parlare si rivolgono agli iuvenes, come se avessero davanti un gruppo di scolari.
L'opera si colloca in pieno nell'ambito di quella poesia della scienza di cui molti esempi si hanno nel Sei-Settecento, da Galileo in qua. Quel Galileo, appunto, su cui ruota un po' tutta la materia del terzo libro. Che si conclude con un ardito e felice passaggio dal personaggio simbolo della scienza che si alimenta di certezze, Galileo, al personaggio simbolo dell'eterna fantasia, che si nutre di sogni e di illusioni, Narciso.
Quanto alla forma, il poema di G.D.P. è un'opera di grande eleganza, ricca di dottrina, ma mai scolastica o pedantesca. Quel che Lorenzo

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dice di sé all'inizio delle sue Memorie, che "... all'età di diciassette anni... era capace di comporre in mezza giornata una lunga orazione e forse cinquanta non ineleganti versi in latino... "(38) può ben applicarsi a Girolamo, con la sottolineatura che l'accennato risultato era possibile solo a chi avesse ingegno e passione adeguati: e Girolamo li aveva. Il De Luce può ben essere la prova di ciò.
Conclusione. G.D.P. fu scrittore non mediocre. La celebrata figura del fratello lo ha oscurato, ma rimetterlo in luce sembra opportuno.
La pubblicazione dell'intera sua opera sarebbe impresa degna di lode.



NOTE

1) Lorenzo Da Ponte, Memorie, a cura di Giovanni Gambarin e Fausto Nicolini, Bari,
1918, I, p. 88. Tutte le successive citazioni dalle Memorie si riferiscono a questa edizione.
2) La cerimonia avviene nel Duomo di Ceneda, celebrante il Vescovo Da Ponte. La famiglia Conegliano prenderà così il suo nome. Col battesimo, Geremia sarà chiamato Gaspare, Emanuele Lorenzo, Baruch Girolamo, Anania, il più piccolo dei fratelli, Luigi.
3) Memorie, I, p. 5.
4) Memorie, I, p. 5.
5) Ma, purtroppo per i Da Ponte, l'aiuto di Mons. Girolamo Ziborghi cesserà presto:
egli muore infatti il 21 gennaio 1770.
6)... al momento in cui scrivo queste memorie, vicino come sono al sessantesimo anno della mia vita..." (Memorie, I, p. 91). Il riferimento è al 1807-1808, quindi da 24 a 25 anni dopo la morte di Girolamo.
7) Memorie, I, p. 5.
8) Memorie, I, p. 6.
9) 9 luglio 1768.
10) Cfr. lettera a Michele Colombo, datata Venezia, a' di 19 di gennaio 1770, in Memorie
di Lorenzo Da Ponte compendiate da Jacopo Bernardi, Firenze 1871, p. 149.
11) Non è, per altro, da escludere che abbia messo mano a tale lavoro già nel 1770.
12) Memorie, I, p. 13 "Dopo due anni di pazienza, mi congeda".
13) Memorie, I, pp. 38-39 e p. 59.
14) Memorie, I, pp. 35, 36, 37, passim.
15) Memorie, I, p. 38.
16) Cfr. Angelo Marchesan, Della vita e delle opere di Lorenzo Da Ponte, Treviso, 1900,
pp. 33, 49, 464.
17) Memorie, I, p. 47.
18) Memorie, I, p. 59.
19) Memorie, I, p. 53, passim.
20) Memorie, I, p. 53.
21) Vedi Memorie, I, pp. 55-59.
22) Giorgio Pisani viene eletto Procuratore di San Marco l'8 marzo 1780 e fa il suo ingresso il 27 maggio successivo.
23) Tra cui quelli di Michele Colombo, dello stampatore cenedese Simone Cagnani e di
Lorenzo Da Ponte.
24) Nel libretto pubblicato per l'occasione sono indicati i nomi dei cantanti (la cantata
è a quattro voci). Anfione è Francesco Roncaglia; Antiope, Catterina Gabrielli; Ormonte, Mambelli; Rosminda, Francesca Gabrielli. Caterina Gabrielli (1730-1796) è una celebre soprano, sia pure in fase declinante; Francesca, sua sorella, è mezzo-soprano di una certa notorietà.
25) "Barnaboti" venivano chiamati a Venezia, dalla parrocchia di San Barnaba in cui
per lo più abitavano, i nobili impoveriti che cercavano, per vivere, pubblichi impieghi.
26) Memorie, I, p. 88.
27) In una lettera al Casanova, Francesca Bruschini lo informa di aver appena ricevuta
una lettera da Girolamo Da Ponte, che le comunica di essere da due anni a letto ammalato di polmoni. La lettera è datata 16luglio 1783, quindi pochi giorni prima della morte di G. (cfr. Aldo Ravà, Lettere di donne a Giacomo Casanova, Milano, 1911, p. 157).
28) E.Y. "Poem on the Last Day", 1713.
29) Dal Registro dei Morti dell'Archivio Parrocchiale di Ceneda: "Adì 8 agosto 1783. Il
R.do Sig.r D. Girolamo del sig.r Gasparo Da Ponte in età d'anni 33 c.a da lunghissimo
tempo infermo finalmente munito delli SS. Sacramenti della Conf.e e Com.e ed estrema unzione aveva pure la Benedizione Pontificia passò all'altra vita, il di lui cadavere
fu seppellito in q.ta cattedrale coll'assistenza di me Ticiano Rossi P.co".
30) Memorie, I, p. 37.
31) La raccolta, di 78 fogli, comprende in gran parte poesie e prose italiane e latine di
Girolamo Da Ponte (51 fogli); seguono poesie di Lorenzo e Luigi Da Ponte, di Domenico
Stefani, di Antonio e Domenico Zamparo, di Francesco Schiratti, di Domenico Curioni.
Dal foglio 42 in avanti le composizioni sono in onore di D. Gio. Battista Pelleatti,
nell'occasione della sua Prima Messa.
E assai probabile che l'aggregazione in un unico volume dei vari fogli manoscritti (non
tutti del medesimo formato) sia stata curata dallo stesso Don Pelleatti (v. A. Toffoli,
Inediti Dapontiani, Il Flaminio, 2, 1980, p. 104 sgg.). La raccolta è presso la Biblioteca
Civica di Vittorio Veneto.
32) La grafia del titolo è probabilmente di G.D.P., e si riferisce alle composizioni sue.
33) Ad esempio, nel fondo Michele Colombo presso la Biblioteca Palatina di Parma
(cartellone n. 7) c'è una lettera di G. (da Venezia) al Colombo (a Ceneda) senza data che
tratta di una traduzione in latino, fatta da G., di un'orazione del Colombo.
34) "Poesie per il solenne ingresso di Sua Eccellenza Mss. Zorzi Pisani Procuratore di 5.
Marco per merito", Venezia, Palese, 1780.
35) L'Anfione /Cantata per musica a quattro voci per la sera dell'ingresso a Procuratore
di S. Marco di Sua Eccellenza Giorgio Pisani dell'A bbate Girolamo Da Ponte tra gli Accademici Capricciosi Eulalio Ditirambico'( Sull'Accademia dei Capricciosi non abbiamo trovato notizie.
36) "Iudicium finale / Young /Libri tres ex versione gallica latinis versibus redditi per
Hieronimum e Ponte", Ceneda, 1783.
37) v. L.D.P., Saggi Poetici, Vienna, 1788, voi. 11, pp. 112-133.
38) Memorie, I, p. 6.

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