Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°5 - 1990 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane


Rassegna Bibliografica

MARIO BERNARDI, Di qua e di là dal Piave. Da Caporetto a Vittorio Veneto, Milano Mursia 1989, pp. 206.


Confesso un certo imbarazzo a scrivere la recensione di questo libro, dopo avere respinto precedenti sollecitazioni in tal senso, per il fatto che il tema oggetto del libro è lo stesso di una ricerca che sto portando avanti da un paio d'anni. Tuttavia, ho infine accettato l'invito a confrontarmi con questo libro, perchè ritengo che il dibattito fra posizioni diverse sia il nutrimento vitale della ricerca storica. Senza una dialettica franca e vivace le recensioni finiscono per ridursi a esercizio accademico o di clientelismo.
Debbo anche confessare che il volume qui recensito mi pare deludente rispetto alle aspettative (avevo già sentito Mario Bernardi svolgere un intervento a un importante convegno svoltosi a Portogruaro, nell'autunno 1988, su "Il Veneto e la guerra"), pur sapendo che il suo approccio era molto distante da quello che io ritengo più opportuno per studiare questo tema così interessante. Delusione accentuata dal fatto che questo di Bernardi vorrebbe essere il primo studio "scientifico" dedicato al tema dell'invasione austro-tedesca del Veneto nell'ultimo anno di guerra. Non entro qui nel merito delle molteplici ragioni che possono avere indotto a stendere un velo di silenzio su questo tema, pur così meritevole di attenzione, riservandomi di farlo in conclusione della recensione.

Dobbiamo chiederci innanzitutto quali siano le fonti possibili da sondare, per compiere una ricerca in questo ambito. In primo luogo, le fonti d'archivio, che Bernardi sembra ignorare completamente, visto che non vi fa alcun cenno. Gli archivi centrali di Vienna e di Roma contengono una ricca messe di documenti, relativi al punto di vista dell'invasore e rispettivamente dell'invaso. Inoltre, molti archivi locali sono depositari di interessanti raccolte di documenti. Senza addentrarsi in Friuli, spulciando negli archivi comunali di Conegliano, Vittorio Veneto, Belluno, Oderzo, nell'archivio diocesano di Treviso e in molti archivi parrocchiali, Bernardi avrebbe potuto pescare a piene mani diari, resoconti coevi, documenti originali austro-tedeschi, ecc...
Esiste anche una raccolta di documenti molto, ricca, curata dalle autorità italiane nei mesi immediatamente seguenti la f i-ne delle ostitilità: le Relazioni della Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti, che contengono migliaia di documenti in parte emanati dalle autorità occupanti. Ebbene, dei sei volumi di cui consta l'opera, Bernardi, ne cita - e fuggevolmente - solo uno.

Un secondo ambito di documenti riguarda i diari editi, in gran parte negli anni Venti, e poi parzialmente riediti in anni più vicini a noi. Delle decine di diari a stampa a me noti, Bernardi ha fatto una cernita molto ristretta, in quanto ne cita solo due o tre, fra l'altro servendosi del discutibile metodo di non indicare mai in nota le pagine precise a cui le citazioni si riferiscono (e questo vale per tutte le citazioni che egli fa).
Indubbiamente il libro di Bernardi si serve estesamente di una fonte nuova, che costituisce l'aspetto più interessante del volume: le fonti orali. Basandosi sulla sua intima conoscenza del territorio e della mentalità dei suoi conterranei, Bernardi ha potuto raccogliere svariate testimonianze di persone che hanno personalmente vissuto quel periodo. Una fonte importante, sì, ma purtroppo Bernardi non sembra rendersi conto della delicatezza con cui deve essere trattata. Le lunghe citazioni in perfetto italiano, che egli presenta come testimonianze orali-dei suoi intervistati, non sono credibili, proprio per il fatto che egli traduce in italiano un discorso in dialetto. La traduzione modifica inevitabilmente il senso del documento. Non si capisce proprio perché Bernardi dia una trascrizione in italiano, quando altrove (pp. 60 ss.) aveva lasciato un lunghissimo brano di diario in dialetto.

Dopo aver esaminato criticamente il tipo di fonti impiegato da Bernardi, dobbiamo entrare brevemente nel merito del contenuto del libro. Il titolo stesso non rende assolutamente il contenuto ed è fuorviante, così come la foto di copertina, che mostra dei mortaisti austriaci. Infatti, Bernardi si occupa solo del territorio di là dal Piave (o di qua, a seconda della prospettiva), ma trascura del tutto quanto avviene dietro le linee italiane. La novità del libro, di trattare appunto le vicende del Veneto invaso, viene annacquata dal titolo, troppo ampio e generico. D'altro canto, lo stesso Bernardi non rispetta pienamente l'indicazione data nell'introduzione, di non volersi occupare di storia militare. Quasi la metà del testo è infatti occupata da lunghe digressioni sulle principali vicende militari, che hanno costellato l'ultimo anno di guerra: la rotta di Caporetto, la cosiddetta "battaglia del solstizio" (giugno 1918), la battaglia finale (ottobre-novembre 1918). Inevitabilmente, queste digressioni non dicono nulla di nuovo sulle varie battaglie e provocano soltanto lo smarrimento del filo principale del libro, quello che ne dovrebbe costituire la vera novità. L'esito di questo metodo di lavoro è un testo poco coerente, pieno di salti improvvisi, in
cui lunghi brani di testimonianze dal basso (verso le quali Bernardi nutre un particolare affetto) vengono inframezzati da descrizioni sommarie di battaglie, ecc... Che senso ha, ad esempio, la digressione biografica sul maresciallo von Boroevic, comandante del gruppo d'armate nel Veneto invaso, quando Bernardi dedica pochissime pagine all'esame delle forme amministrative introdotte dalle autorità militari austro-ungariche? Quale funzione svolgono, nell'economia del libro, le digressioni su Baracca, sulle spie italiane lanciate dietro le linee (De Carlo, Tandura), sulla misteriosa scomparsa del generale ungherese von Bolzano negli ultimi giorni di guerra?
Infine, vorrei esaminare brevemente il taglio interpretativo, che emerge dal libro di Bernardi. Le ragioni per cui da decenni nessuno si è occupato dell'invasione sono a mio avviso da riscontrare nell'ambiguità dei rapporti fra invasori e invasi, nelle tensioni provocate da questo stato eccezionale all'interno della società veneto-friulana. I rapporti fra invasori e invasi non possono - alla luce delle fonti disponibili - essere letti in chiave manichea: tutto bianco da un lato, tutto nero dall'altro. Bernardi si dilunga sul tono della commiserazione: lutti, fame,miseria, dimostrando una sincera partecipazione emotiva alle sorti dei suoi conterranei.

Ma tutte le guerre, tutte le invasioni sono intessute di questi fattori. Cosa le distingue l'una rispetto all'altra? Nel caso specifico, l'invasione ha innescato complessi processi di disgregazione della società veneto-friulana, dei quali Bernardi sembra non tenere conto - anche se le fonti sono a questo proposito molto chiare. Non è causale che egli non affronti alcuno dei temi scottanti: perché la fuga della classe dirigente? Quali meccanismi si sono innescati fra chi è rimasto e chi è fuggito in Italia, che si accusavano reciprocamente di comportamento antipatriottico? Né egli esamina i problemi relativi allo spostamento di decine di migliaia di abitanti delle zone rivierasche del Piave verso l'interno. E l'intreccio fra amministratori "regolari", perlopiù fuggiti in Italia, e quelli coatti dalle autorità militari? Anche su questo punto, che durante la guerra e a guerra finita ha provocato un vivace dibattito, Bernardi tace. Così come gli tace sui rapporti fra abitanti e soldati invasori; ci fu solo violenza (ad esempio nei confronti delle donne), sopraffazione da un lato, e muta, tenace resistenza dall'altro, o non si innescarono invece relazioni complesse e variegate?

Insomma, tenendo ferma la sua visione della società rurale veneta come un'entità compatta e organica, imperniata sul clero e fondata su pochi, ma ferrei valori, difesi con silenziosa tenacia, Bernardi si impedisce di analizzare con chiarezza le profonde lacerazioni provocate, o accentuate da quell'interminabile anno di invasione militare austro-tedesca. Rimane perciò da concludere che, nonostante questo libro, la storia della società veneto-friulana nell'anno dell'invasione deve ancora essere scritta.

Gustavo Corni

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