Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°4 - 1985 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigianae

PIER ANGELO PASSOLUNGHI

SOPPRESSIONI MONASTICHE NELLA DIOCESI DI CENEDA IN ETÀ NAPOLEONICA (1 806-1810).

Nell'Archivio Diocesano di Vittorio Veneto un apposito fascicolo contiene vari documenti relativi alle soppressioni monastiche disposte dall'autorità napoleonica tra il 1806 ed il 1810. La loro diretta lettura, unita all'esame delle disposizioni di legge contenute nel Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, ci permette di cogliere in un primo sguardo non solo la dimensione, ma pure i tempi e le modalità di come furono attuate in diocesi di Ceneda quelle disposizioni che in due fasi venivano a cancellare una plurisecolare presenza di vita religiosa.
Quando con legge 30 marzo 1806 fu ufficializzata l'unione degli ex-stati veneti al regno d'italia, vennero date disposizioni perché in tali territori si applicassero i disposti della legge 8 giugno 1805, avente per oggetto "l'organizzazione del clero secolare, regolare e delle monache".
Difatti il 3 1 maggio 1 806 il Ministro per il Culto, Bovara, scrisse da Milano al vescovo di Ceneda in merito alla delicata operazione di riunire i monasteri delle Femine secondo le norme preferite nel R.D. 8 giugno 1805 esteso ai dipartimenti Veneti col R.D. 30 marzo 1806. Ed il 4 luglio il prefetto del Dipartimento del Tagliamento inviava da Treviso al vescovo la richiesta a trasmettermi nel periodo di tre giorni un elenco dei conventi di monache esistenti nell'estensione della sua giurisdizione, indicandomi con precisione quali di essi nella futura concentrazione meritassero a preferenza d'esser conservati connotandomi la !oro rispettiva utilità, o per l'istruzione ed educazione, o per la loro cultura spirituale de' popoli, o per l'assistenza agli ospedali avuto riguardo alle particolari località.
Il 28 luglio comunque un dettagliato decreto, emesso dal vicerè Eugenio Napoleone a nome del padre-imperatore, fissava in modo inequivocabile la sorte dei monasteri esistenti nei dipartimenti ex-veneti. In quattro tabelle allegate agli articoli di legge venivano elencati i monasteri da conservarsi, quelli da sopprimersi o da trasferirsi.


PIER ANGELO PASSOLUNGHI, studioso e ricercatore di storia veneta, esperto di storia religiosa per cui collabora a varie riviste nazionali, ha curato varie pubblicazioni in particolare di Storia e Bibliografia locale.

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La diocesi di Ceneda veniva pesantemente colpita, in quanto su un totale di sedici monasteri coinvolti, solo a sette veniva permesso di continuare ad esistere.
Vediamo in dettaglio la situazione, attraverso l'esame delle singole aree geografiche del territorio diocesano.
A Conegliano i conventuali di S. Francesco dovevano riunirsi in S. Antonio di Padova, mentre ai cappuccini dei SS. Pietro e Paolo aspettava la strada per S. Giustina di Udine. Al posto di questi seguaci del Poverello d'Assisi si legge dovessero giungere i frati del convento di S. Francesco di Treviso, che pare di capire avrebbero dovuto trovare ospitalità nella sede dei trasferiti minori coneglianesi. Dell'ordine di S. Domenico sparivano i domenicani dei SS. Martino e Rosa destinati a S. Domenico di Cividale, mentre le domenicane del Corpus Domini dovevano accorparsi assieme alle carmelitane di S- Teresa nello svuotato monastero di S. Girolamo di Serravalle.

Rimanevano in città le domenicane di S. Rocco, nel cui monastero si riunivano le consorelle sacilesi; come si conservavano pure le benedettine di S. Maria Mater Domini, che accoglievano le monache provenienti da S. Girolamo di Serravalle.
Nel circondano di Conegliano venivano soppressi il monastero camaldolese di Rua, da riunirsi a S. Clemente di Venezia, ed il convento dei minori riformati di S. Bernardino di Collalto.
I frati di quest'ultimo dovevano recarsi a Ceneda, dove, forse perché sede vescovile, non venivano effettuate soppressioni. S. Francesco di Ceneda riceveva infatti i frati di Collalto, mentre il monastero delle agostiniane del Gesù doveva accogliere le suore di S. Giustina di Serravalle.
La città di Serravalle perdeva quindi entrambi i monasteri femminili (le agostiniane di S. Giustina e le benedettine di S. Girolamo), per cui nel vuoto monastero di S. Girolamo si dispose di raccogliere, con una strana unione rimasta inattuata, le carmelitane di S. Teresa e le domenicane del Corpus Domini, entrambe provenienti (come già detto) da Conegliano.
Se infine Motta di Livenza poteva conservare i suoi minori osservanti nella basilica di S. Maria dei Miracoli, la città di Oderzo perdeva l'unico monastero femminile rimastole. Le domenicane di S. Maria Maddalena dovevano infatti recarsi a Treviso, presso le consorelle del convento di S. Paolo.
Per dare pronta attuazione al decreto del 28 luglio, il Ministro per il Culto inviò in data 6 agosto al vescovo di Ceneda la relativa notifica, con l'invito, al fine forse di superarne resistenze e remore, ad occuparsi in prima persona della questione:
Le accompagno copia del decreto, col quale Sua Altezza Imp.le ha saggiamente determinata la condizione de' conventi, e monasteri nei dipartimenti di nuovo aggregati, e ne ha regolata con giudizioso comparto la riunione.
Perché l'operazione riesca con ordine e con calma si rende indispensabile, massime per ciò che riguarda i Monasteri delle Femmine, l'intervento degli Ordinari, onde ne' casi pratici togliere di mezzo colla prudente direzione, e coll'autorità loro spirituale tutte quelle difficoltà che le abitudini diverse, e le accidentali varietà degl'Istituti stessi identici, ed analoghi potessero presentare nell'atto della riunione, od in appresso (...).
Il vescovo Falier rispose I' 11 agosto e nell'assicurare la sua partecipazione alle disposizioni imperiali, si soffermò nel chiedere garanzie che l'esecuzione non portasse a soprusi e violenze. Nella minuta rimastaci così leggiamo: Sia certo


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che al momento di verificarsi le venerate disposizioni delle riunioni specialmente dei monasteri delle Femmine, mi presterò col più fervido impegno, al fine che, con la desiderata quiete, e possibile tranquillità si adattino le Religiose colla dovuta rassegnazione a quanto viene loro prescritto. Confido, che come sono appunto dotate di sola pietà, l'esecuzione sarà perseguita senza disordini, e confusione.
Pure il prefetto del Dipartimento del Tagliamento, nel cui territorio si trovava la diocesi di Ceneda, non mancò, per i risvolti pratici a cui era chiamato a rispondere, di rivolgersi al vescovo, per invitarlo ad impegnarsi in prima persona al fine di superare resistenze o rifiuti di religiosi.
Non posso prescindere - così scriveva - di rivolgermi ufficialmente allo zelo e distinta penetrazione di Lei Monsignor Vescovo, onde per quei Conventi e monasteri situati nella sua Diocesi ed in questo dipartimento voglia concorrere anche del proprio canto a prevenire qualunque mal'inteso, o disordine nel delicato, ed importante proposito.
Mi sarà sommamente grato di poter dovere in particolare alle pastorali Sue cure, e religiose sollecitudini il tranquillo esaurimento delle sovrane disposizioni ben certo che Ella saprà infiammare a tutte le accennate Religiose Famiglie quello spirito di subordinazione e di tolleranza, che forma il primo dovere del suddito, ed il Capo d'Opera del Vero Cattolico.
Si compiacerà quindi Mons. Vescovo di prevenire le rispettive Monache superiori, onde si prestino a quanto fossero ricercate dalli Delegati del Demanio, cui pure rilascio le istruzioni opportune per il più decoroso, e conveniente loro contegno.
Delegato demaniale fu designato il coneglianese Ernesto Montalban, che il 23 agosto scrisse dalla sua città al vescovo una lettera di presentazione, con la quale chiedeva pure possibilità d'accesso ai monasteri sottoposti a clausura.
Partecipatami - così si rivolgeva al presule cenedese - dal Sig. Direttore del Demanio e Diritti Uniti la destinazione, che il Sig. Prefetto à fatta della mia persona in delegato demaniale per gli affari riguardanti questi Conventi e monasteri, io m'affretto ad avanzarvene, Ill.mo e R.mo Monsignore, la relativa notizia, congiuntamente alla ricerca d'autorizzazione sul libero ingresso ne' monasteri con quelle persone, che mi si renderanno necessarie per disimpegno delle appoggiatemi commissioni.
La chiusura e l'accorpamento dei monasteri della diocesi di Ceneda avvenne prontamente e, soprattutto per quelli femminili, il vescovo intervenne con la sua diretta presenza a seguirne le fasi. A fine dicembre tutte le monache si erano trasferite ed il vescovo, che si era procurato di consolarle, e rassegnarle con sua privata lettera, e (che) si trovò presente quasi al traslocamento di tutte, emise un decreto relativo alle modalità per l'elezione delle nuove superiore ed alla scelta dei confessori.
Le disposizioni firmate il 30 dicembre erano precedute dal seguente preambolo, che col fare il punto degl'avvenuti trasferimenti cercava pure di animare le monache:
Riuscì di vera consolazione al Paterno animo nostro il vedere nelle saggie, e buone Religiose de' monasteri di N.ra Diocesi la fedele, e costante ubbidienza, e rassegnazione alle superiori determinazioni, e quindi il distacco, e la pronta partenza dal proprio monastero di quelle destinate a traslarsi altrove nei giorni stabiliti, ed il cordiale ed affettuoso accoglimento dell'altre, nel cui monastero si sono concentrate. E si accresce vieppiù il nostro gaudio nel riscontrare la pace,


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la unione e la tranquillità universale, per cui può dirsi, che vi sia ne' monasteri di molti membri un solo corpo, e un sol volere.
Tra il 19 ed il 27 gennaio il Falier seguì poi le elezioni che nei monasteri di S. Maria Mater Domini di Conegliano e S. Rocco di Conegliano, come in quelli del Gesù di Ceneda e S. Girolamo di Serravalle, dovevano portare all'elezione delle nuove badesse per il successivo triennio. In tali monasteri, ove vennero confermate le precedenti superiore, il numero delle monache risultava rispettivamente di 33, 25, 28 e 1S.Su queste comunità femminili, ingranditesi per gli imposti accorpamenti, come su quelle maschili rimaste a Ceneda ed a Motta, vennero ad abbattersi le disposizioni del 25 aprile 1810, con le quali si sopprimevano tutti gli stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunie ed associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione.
Si trattava dell'ultimo atto di una politica che cercava di mettere sotto il controllo dello stato l'organizzazione ecclesiastica.
Stretto tra i richiami agli ideali rivoluzionari e le necessità di legittimare sempre più la nuova monarchia borghese, l'impero napoleonico da una parte cercava di ridurre l'influenza religiosa nella società, soprattutto in quegli aspetti che sfuggivano alla sua legislazione o al suo controllo; dall'altra cercava di fare di una ridimensionata religione uno strumento utile al consolidamento del suo potere. Il passo della lettera del prefetto trevisano al vescovo Falier del 16 agosto 1806, ove si richiamava come il primo dovere del suddito, ed il capo d'opera del vero cattolico fosse la subordinazione, la tolleranza e l'accettazione indiscussa delle sovrane disposizioni, pare al riguardo sufficientemente significativo.
Del resto non solo verso i monasteri s'era già diretta l'attenzione del legislatore napoleonico. Prescindendo da due decreti specifici per la terra veneta, riguardanti l'avocazione dei manoscritti e libri contenuti nei soppressi conventi (10.6.1806) e l'accorpamento di una serie di parrocchie nelle principali città venete, fra cui Treviso (18.12.1807), c'è a tal proposito un'altra disposizione indicativa. Il 26 maggio 1807 venivano infatti soppressi e proibiti tutti i tipi di confraternita, congregazione, compagnia e società laicale, con l'esclusione delle confraternite del Santissimo Sacramento.
In tal modo l'ultimo decreto del 25 aprile 1810 - da inquadrarsi come tutta la politica delle soppressioni nel più ampio intreccio degli aspri contrasti tra l'imperatore ed il papa, che portarono il primo alla scomunica ed il secondo alla prigionia a Savona nel 1809 - veniva a porsi quale epilogo di un'azione gradualmente predisposta.
Venivano mantenuti soltanto i vescovati, gli arcivescovati, i seminari], i capitoli cattedrali, i capitoli delle collegiate più insigni, le parrocchie e le succursali delle parrocchie, gli ospitalieri, le suore della carità e le altre case per l'educazione delle femmine che giudicheremo di conservare con decreti speciali.
Nel chiudersi dei conventi, i religiosi dovevano rientrare ai loro paesi d'origine e ad essi come ad alcun individuo veniva proibito di vestir l'abito di verun ordine religioso.
A tal riguardo già il 12 maggio 1810 il ministro per il culto in una circolare a tutti i vescovi e nella fattispecie A Monsignor vescovo di Ceneda, barone del Regno, così scriveva: In soggiunta alla Circolare del gno 10 corr. raccomando ai S. Ordinarj di recare la loro attenzione sull'art. 2 del R. Decreto onde siano avvertiti gl'individui tutti de' Corpi Soppressi, sebbene per dignità o beneficio o altro Ufficio isolato qualunque ne fossero già prima segregati di lasciarne ogni distintivo che per avventura ne avessero conservato nell'abito esteriore.

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Quale fu la portata nel tessuto civile e sociale di queste soppressioni?
Mancando adeguate indagini, direi che torna nuovamente utile, per avere dei sia pur provvisori ma indicativi messaggi, la lettura diretta di ulteriori carte, del già indicato fascicolo dell'Archivio Diocesano di Vittorio Veneto contenente dei documenti relativi al tentativo di riapertura dei conventi soppressi progettato subito dopo la caduta di Napoleone.
Stando a questo materiale, vi furono vari passi sul finire del secondo decennio del secolo XIX tesi ad applicare le disposizioni del R. Governo del Lombardo-Veneto, che prevedevano il ristabilimento degli ordini regolari. In tal guisa si mossero presso il vescovo, che a sua volta doveva relazionare all'autorità civile, le varie cittadinanze ove erano avvenute le soppressioni.
Soffermiamoci a leggere la breve corrispondenza intercorsa tra i rappresentanti del Comune di Conegliano ed il vescovo nell'estate 1818. Erano passati ormai otto anni dalla definitiva soppressione napoleonica, eppure in loco era ancora vivo il ricordo dell'impegno educativo lasciato da alcune di queste comunità religiose.
Il 23 luglio 1818 i signori A. Montalban e G.B. Binda, deputati della Comunità di Conegliano, si rivolsero ufficialmente al vescovo per sollecitare il suo intervento presso il governo per il ristabilimento dell'ordine domenicano quanto al convento de' maschi e dell'ordine benedettino quanto al monastero delle femmine, siccome quelli appunto che allo scopo dell'educazione possono principalmente e più vantaggiosamente occuparsi.
Il vescovo rispondeva alla Deputazione coneglianese il 28 agosto successivo ricordando come fossero due anni e più che aveva esternato al governo l'opportunità di ripristinare un convento maschile dell'ordine di S. Domenico della stretta osservanza, ed uno femminile dell'ordine di S. Benedetto, siccome ambedue accetti ed utili a codesto Comune: il primo per l'istruzione della gioventù, cui s'applicavano di buon grado que' religiosi, e il secondo per la civile e cristiana educazione delle fanciulle.
Ma non solo per Conegliano, bensì anche per le altre cittadinanze da quelle di Oderzo (per le domenicane di S. Maria Maddalena) a quelle rurali di Rua di Feletto (per i camaldolesi di Rua), unanime appariva il vuoto lasciato dai religiosi nell'educazione.
Di più difficile esame, in quanto sfuggevole al documento, è invece l'individuazione di quello che fu il vuoto lasciato nell'impegno pastorale o nello stimolo religioso.
Forse posizione personale, ma forse espressione di un più ben ampio stato d'animo, è quanto si può percepire dall'atto dispositivo con cui si chiudeva materialmente il monastero di S. Maria Mater Domirii di Conegliano. Collegando-lo alle attestazioni di stima ed ai tentativi (non riuscilti) di ripristinare i monasteri soppressi, potrebbe assurgere ad atteggiamento emotivo di come fu percepito lo sradicamento di molti monasteri, che localmente agli occhi della popolazione presentavano ancora una loro funzione, non solo religiosa, ma anche sociale.
Alla soppressione del monastero benedettino delle monache di S. Maria Mater Domini di Conegliano fu incaricato il nobile cittadino
Gio. Battista Graziani, che nel registrare l'avvenuta esecuzione di chiusura così si espresse: Il giorno 12 maggio 1810, alle ore dodici meridiane, fu questo monastero soppresso in forza del Decreto di Massima delli 25 aprile 1810 di S.M. Napoleone I imperatore dei Francesi e re d'italia etc.

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A questa spiacevole memoranda soppressione fui delegato io sottoscritto assieme col nob. Sig. Pietro Paolo Buffonellifu Giulio.
Gio. Batta Graziani fu Francesco.

Pier Angelo Passolunghi


NOTA

Il presente intervento è il testo - aggiornato di rinvii archivistico-bibliografici e di due tavole - della relazione tenuta dall'Autore a Treviso il 30 novembre 1983 nel corso del IV ciclo d'incontri dell'istituto per la Storia del Risorgimento Italiano-Comitato provinciale di Treviso.


BIBLIOGRAFIA

AA.VV., Ceneda: la Cattedrale e i suoi vecchi oratori, Vittorio V. 1978, pp. 187-190 (S. Maria del Gesù).

M. ALTARUI, Fratel Francesco, Treviso 1982, pp. 75-80 passim (Presenza francescana nella Marca).

E. BELLIS, Conventi, chiese minori, oratori nella vecchia Oderzo, Treviso 1963, pp. 11-12 (S.Maria Maddalena).

N. FALDON, San Rocco di Conegliano, Vittorio Veneto 1968, pp. 184-186 (con notizie sulle soppressioni a Conegliano).

N. FALDON, Rua di Feletto, Vittorio Veneto 1977, pp. 147-158 (con notizie sulle soppressioni nel Coneglianese ed in diocesi).

P. PASSOLUNGHI, Il monachesimo benedettino della Marca Trevigiana, Treviso 1980, passim pp. 35, 40-41, 49-51; inoltre S. Girolamo di Serravalle, pp. 84-86; S. Giustina di Serravalle, pp. 86-89; S. Maria di Feletto, pp. 94-97; S. Maria Mater Domini di Conegliano, pp. 143-146.

L. ROCCO, Motta di Livenza e suoi dintorni, Treviso 1897 (Bologna 1976 anast.), p. 502 (S.Maria dei Miracoli).

A. SARTORI, La provincia del Santo dei frati minori conventuali, Padova 1958, pp.
134-136 (S. Bernardino di Collalto), pp. 140-142 (S. Francesco di Conegliano), da cui
AA.VV., I Francescani nel Veneto, Vicenza 1982, (come pure per S.Francesco di Ceneda
e S.Maria di Motta).

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Rinvii archivistici.

Vittorio Veneto, Archivio Diocesano: b. 131, fase. Soppressione conventi...; fasc. n. 7 (Libro contenente Decreti, ordini, regole. .. per le monache e monasteri della diocesi, 1807-1810).

Rinvii legislativi.

Bollettino delle Leggi del Regno d'italia: anno 1805, decreto 8 giugno 1805, n. 45; anno
1806, decreto 10 giugno 1806, n. 100; anno 1806, decreto 28 luglio 1806, n. 160; anno
1807, decreto 26 maggio 1807, n. 89; anno 1807, decreto 18 dicembre 1807, n. 266; anno
1810, decreto 25 aprile 1810, n. 77.


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