Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°3 - 1984 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

LUCIENNE PORTIER

I CALLIGRAMMI DI GUIDO CASONI

Calligrammma è parola composta da due elementi lessicali di origine greca, "kalli" ("bello?) e "gramma" ("comunicazione scritta"). Inventata dal francese Guillaume Apollinaire come titolo della raccolta di sue poesie, Calligrammes (1918) serve ad indicare una poesia ingegnosa e, spesso, esteticamente apprezzabile, nella quale la disposizione dei versi sulla carta forma i disegni dei temi trattati, così che il contenuto linguistico coincide con il significato figurale. Però un simile genere di poesia risale all'antichità classica. A quel tempo era conosciuto col nome di technopaegnion e usato abilmente dal poeta greco Simmia di Rodi (IV sec. a,C.), che, appunto, riuscì a rappresentare l'immagine di varie cose (l'uovo, la scure, le ali) disponendo, in un certo ordine, versi di varia lunghezza. Fra i successivi poeti greci, che si distinsero nel carme figurato, si possono ricordare Dosiada (inizio del 111 sec. a.C.) per un Altare e Teocrito (nato circa nel 310 a.C.) per la Siringa. Poi il poeta latino Porfirio Optaziano (IV sec d.C.) trattò anche argomenti di ispirazione cristiana, sia pure in modo piuttosto evanescente. Nei sec. XV e XVI, in seguito al fiorire degli studi umanistici, la poesia figurativa ebbe vari arguti culturi, come Francesco Colonna, Pierio Valeriano, Antonio Telesio, Lanciano Curzio, Giovanni Battista Pigna. Ma fu nel sec. XVII, al tempo dei "meraviglioso" letterario, che si ebbero i calligrammi più belli di tutta la produzione italiana. Se a Napoli e a Bologna non mancò qualche apprezzato tipico esempio, nel Veneto furono composte le opere meglio riuscite, cioè la mistica Passione di Cristo di Guido Casoni e l'erudita, ericomiastica Urania (1628) di Baldassarre Bonifacio, senza contare la rigorosa produzione di Fortunio Liceti. Dopo quel periodo, i calligrammi furono assai poco usati e ricomparvero per breve tempo e senza particolare successo nel '900 per merito delle avanguardie letterarie (ad esempio quella futurista).


LUCIENNE PORTIER, già professoressa onoraria alla Sorbona ad autrice di altri interessanti saggi letterari su scrittori italiani fra cui: Antonio Fogazzaro (1937), Alessandro Manzoni (1954), Dante Alighieri (1965, 1971). RENATO DELLA TORRE, scrittore e critico, dopo aver tradotto Il castello dei rifugiati di F. Céline, ha pubblicato una inonografia sullo stesso autore francese, presso Mursia, un volume su I Medici, Pisa (1980) e un libro su San Francesco d'Assisi, Pisa (1982), Porziuncola (1982). Fra breve pubblicherà un nuovo libro.

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Ora, come si sa, Guido Casoni è considerato uno dei più notevoli compositori di calligrammi per sincerità e semplicità.
Nacque (1561) a Serravalle (Vittorio Veneto) al culmine di via Riva (via Roma), presso alla porta di S. Giovanni; si dice che fosse un discendente dei Cavalcanti, esuli fiorentini stabilitisi nella grande casa, "el Cason" (attuale n. 54 della via G. Casoni, ex Tiera), da cui poi la famiglia derivò il nome di Casoni.
Sposò Benedetta Minucci, di famiglia benestante, ebbe 16 figli (di cui 2 sacerdoti e 6 suore Agostiniane a Santa Giustina a Serravalle).
Fu insegnante di diritto, consigliere di Serravalle e riordinatore del suo Statuto, fu premiato per le benemerenze col titolo di Cavaliere della Repubblica di Venezia, restauratore dell'Accademia degli Incogniti a Venezia e fondatore dell'Accademia degli Ardenti a Serravalle.
Si ricorda inoltre che fu sempre reputato buon scrittore dai suoi contemporanei per una personale freschezza di sentimenti, espressi con le forme del tempo, soprattutto nella Magia d'amore (1591), Odi (1602), Teatro poetico (1615). Il suo amico Jacopo Gaudio, allora capo dell'Accademia Fiorentina, lo elogiava come uno dei principali geni della nostra età e un altro amico, Ercole Doglioni bellunese, lo chiamava"magiache tutto il mondo incanta? e lo stesso poeta Gianbattista Marino, suggestivo caposcuola del secentismo, non gli lesinava le lodi.
Morto all'età di 81 anni (il 30 maggio 1642) qualche tempo dopo fu sepolto, per volontà testamentaria, nella chiesa di Santa Giustina. Una lapide sul suo sepolcro monumentale avverte che "GuidoCasoni qui tace e qui giace ? ma non tace e ella non giace ? chi scrisse in modo tale che tutto il mondo sempre parli e viva".
In verità, dopo la sua morte, pochi studiosi si sono occupati di lui e della sua interessante opera letteraria. La francese Lucienne Portier per prima (nel 1961) era analizzava, in questo interessante articolo, la struttura poetica e iconica del suo nia commosso poemetto?calligramma La Passione di Cristo, mettendone in evidenza la sincerità e la immediatezza del sentimento religioso.
(R.D.T.)

I Calligrammi sono un gioco o soltanto un gioco? Una pura questione di calligrafia, un tracciato di lettere maiuscole o corsive a triangolo, a losanghe, anagrammi, disegni di oggetti, indovinelli raffinati, puerilità per adulti? Quando Apollinaire, così vicino a noi, tracciava fili di pioggia con i versi "Ia pioggia così tenera, la pioggia così dolce" o isolava ogni lettera in "piovono voci di donna", procurava davvero un vantaggio alla poesia?
"Lacolonna pugnalata", disegnata con nomi di donna, può aumentare
la forza di suggestione dei versi? 0 nel "Getto d'acqua", evocante i
compagni mandati in guerra, la particolare disposizione dei versi regolari sottolinea davvero lo smarrimento di chi cerca i soldati, forse, uccisi, fatti a pezzi e dispersi nell'immagine, simile a quella di un'esplosione?
A dir poco si resta perplessi e varrebbe la pena di riflettere sulla validità estetica del calliaramma dopo averne osservato i risultati così vari nello spazio e nel tempo.
Ecco, per esempio, un curioso poemetto di Guido Casoni, "LaPassione
di Cristo", che sembra sfuggito all'attenzione di studiosi e critici letterari
(1). Si trova in una edizione uscita dai torchi dell'editore veneziano

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Tommaso BagIioni, nel 1626, sotto il titolo"L'opera del Sig. Cav. Guido Casoni", con la nota "duodecima impressione"; la raccolta precedente, "Il Teatro poetico", reca la data del 1625. Nell'unica opera che, a quanto so, è stata consacrata a Guido Casoni, ?Una figura del secentismo veneto: Guido Casoni? (Bologna, Zanichelli, 1933), l'autore Emilio Zanette gli dedica un solo rapido cenno senza mettere in evidenza l'insolita forma poetica. E non molto di più aggiunge nella bibliografia, che conclude il volume e che segnala (p. 334) il"TeatroPoetico? dell'edizione 1626 delle opere, avvertendo che "contienediciassette lavori fra cui la Passione di Cristo, non apparsa nell'edizione seguente". Sembra, quasi, non conoscere quel poemetto; tuttavia avrebbe potuto leggere, nell'elenco delle opere compilato dal Brusoni (Le Glorie degli Incogniti),"LaPassione di Cristo? in figure e, nel lavoro del Papadopoli (Ristoria Gyninasii Patavini) "Cristo Patientis Descriptio et in Ectypas icones distributa". Come mai quelle citazioni non hanno sollecitato la sua curiosità?
D'altronde Guido Casoni era celebre ai suoi tempi. Nato in Serravalle nel 1561, visse a Treviso e Venezia. Avvocato, amministratore pubblico, godeva la fiducia dei suoi concittadini che lo delegarono presso il Doge, dal quale fu nominato Cavaliere di S. Marco; fu padre di una famiglia felice, e, naturalmente, membro di varie Accademie. Era particolarmente adatto, sembra, a dirigere i trastulli accademici e mondani. Scrittore dalla penna facile, fu giudicato dai contemporanei alla stessa altezza del Marino, che, perfino lui, non disdegnò di attingere dalle opere del suo, un po' più anziano, collega. Ha certamente caratteri di seicentista, ma Zanette in proposito ha ragione di manifestare, qua e là, qualche dubbio nonostante il titolo del suo libro e di constatare "Il secentismo? Sparito".
Questo raro poemetto, "La Passione di Cristo", è composto di dodici parti i cui versi sono disposti in modo da disegnare gli strumenti della Passione. Così si presentano successivamente: 1) la colonna della flagellazione, 2) e 3) ciascuno dei due flagelli, 4) la croce, 5) il martello, 6) 7) e 8) ciascuno dei tre chiodi, 9) la spugna in cima alla picca, 10) la lancia che trapassò il costato, 11) la scala, 12) i dadi per tirare a sorte la veste inconsutile. La divisione dei versi, naturalmente, è in funzione del disegno. Per esempio, sei settenari servono per il flagello, cioè uno forma il manico e gli altri cinque i cordoni che si articolano alla sua estremità con un 0 ingrossato a mo' di anello. Il solido manico del martello è raffigurato da quattro endecasillabi e il suo massello nasce da un verso di tre sillabe seguito da un quadrisillabo e poi da tre settenari. Il chiodo, a testa arrotondata e disegnato verticalmente, comincia con l'invocazione"0",a cui si succedono quattro versi che si allungano progressivamente (3,4,7,7 sillabe) fino al quinto, pure settenario, ma scritto in caratteri più grossi, e poi seguono ventuno versi che vanno restringendosi fino alla punta ottenuta con l'ultima sillaba di una parola divisa in due. La scala è tracciata con quattro endecasillabi e dodici settenari: i primi sono scritti dal basso in alto, di seguito, due per ogni montante e gli altri sono i dodici pioli che, leggendosi dal basso in alto, narrano la vita di Cristo dall'incarnazione all'Ascensione. Così si possono immaginare le altre figure.
L'insieme non manca di ingegnosità, ogni disposizione ha uno scopo

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preciso, tutto ha un significato fin nei minimi particolari. Talvolta si notano delle differenze di scrittura, per quanto sobrie: così la parte più larga della testa dei chiodi è ottenuta con un settenario distinto dagli altri per i caratteri più grossi e che, nello stesso tempo, sintetizza il profondo pensiero; o si tratta dell'ampio 0 che forma l'anello dei flagelli; ugualmente sono bene evidenziate con lettere maiuscole certe parole, come Dio, Cristo, Croce oppure tutta una iscrizione.
Le rime sono regolarmente baciate, salvo qualche adattamento alla punta dei chiodi dove Casoni per necessità della figura ha dovuto disarticolare le parole (cosa che rifiuta altrove): "Piangi / adora / bacia / e ta / ci" (2). Inoltre i versi sono numerati per evitare errori di lettura e insieme per un'eviciente volontà di chiarezza.
Queste dodici strofe di forma insolita fanno del poemetto di Guido Casoni il punto d'incontro di vari filoni culturali, dei quali ora non è il caso di parlare; ne indicheremo rapidamente soltanto due: quello di un certo tipo di meditazione religiosa, quello dei gusto letterario per la metafora e l'antitesi e infine quello dell'espressione figurata; sarà quindi possibile domandarsi se Casoni si inserisce veramente nel "Seicento"o se invece se ne allontana.
La parte di gioco, che entra nella poesia di Guido Casoni e che permetterebbe di attribuirgli senz'altro il titolo di seicentista non autorizza tuttavia ad aver dubbi sulla sincerità di un sentimento religioso che non solo ha ispirato una gran parte della sua opera ma che ha segnato profondamente anche la sua vita famigliare (degli undici figli, che su sedici diventarono adulti, due maschi su quattro furono preti e sei femmine su sette presero il velo, e l'ipotesi di Zanette che Casoni abbia agito in quelle circostanze come il principe "padre del Manzoni non sembra molto accettabile).
La meditazione sulla Passione di Cristo, fatta guardando uno ad uno gli strumenti della Passione, potrebbe essere suggerita dalla pietà ignaziana, che, alla terza giornata degli "Esercizi ", invita alla meditazione sulle sofferenze di Cristo e raccomanda la "ricomposizione del luogo" per mettere lo spirito, con l'aiuto della fantasia, davanti ad una rappresentazione più concreta che permetta di sentirsi quasi contemporaneo attivo del mistero contemplato.
Le due specie di meditazione si sono ben combinate, stando all'esempio di un'edizione degli"Esercizi "(Parigi, 1614), illustrata da figure, fra le quali una raffigura gli oggetti della Passione; tuttavia esse corrispondono a due spiriti diversi.
In quel libretto, di straordinaria diffusione, si trova, da una parte, un'estrema sobrietà nella enunciazione dei momenti della Passione, cioè dei semplici titoli che rimandano al testo evangelico e, dall'altra, nelle indicazioni di metodo, un'abbondanza di particolari riguardanti l'immaginazione dei luoghi, delle persone, delle loro parole, l'immaginazione delle sensazioni in colui che rievoca la scena, accompagnata dalla immaginazione di gesti appassionati, ad esempio, il baciare i luoghi dove passano i personaggi. Tutta questa parte di effusione sentimentale darà il tono allo stile gesuita nell'arte e nella letteratura.

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Invece il poemetto di Guido Casoni si trova agli antipodi, provenendo da una sorgente ben diversa e molto più antica.
L'interesse sentimentale, intellettuale, teologico e mistico per la Passione di Cristo è antico quanto quell'evento e fin dai primi secoli, e, più ancora, in seguito, la Croce e poi gli altri singoli oggetti furono divisi, considerati a parte, non tanto per la loro concreta realtà quanto piuttosto per l'intensa suggestione e il valore di simbolo. In fondo, la storia dell'arte, così strettamente unita a quella della devozione, non fa che confermarlo. A mano a mano che la pietà dei fedeli era conquistata sempre più dalla Passione di Cristo ? Passione subìta da un uomo che aveva sofferto più come lo mostrava la pietà francescana che come motivo di speculazioni teologiche dell'incarnazione e della redenzione ? si verificava una triplice proliferazione nelle rappresentazioni figurate. Così avveniva una moltiplicazione dei momenti della Passione al punto che, a volte, nelle collezioni d'arte o nei musei si è fatto qualche errore mettendo sotto lo stesso titolo scene diverse, come l'Ecce Homo, la Pietà, Cristo in attesa di supplizio e Cristo alla fiagellazione, per dimenticanza dei motivo storico della colonna bassa. Poi si produceva una moltiplicazione delle rievocazioni di quei momenti per mezzo degli oggetti riportati negli affreschi o nei quadri rappresentanti la Pietà: Cristo morto mezzo fuori dalla tomba, prima solo, poi sostenuto dalla Vergine, da Giovanni e dagli angeli, infine circondato dagli strumenti della Passione, immagine, questa, che si diffuse soprattutto grazie alle indulgenze che comportava. Agli oggetti croce, colonna, scala, picca, lancia, corona di spine, si aggiungono gli episodi, bastone che picchia, bocca che sputa, mano tesa per schiaffeggiare, e ancora le mani di Pilato che si lavano, il gallo che canta e insieme c'è la testa di Pietro con quella della serva e quella di Giuda con il suo bacio; più che alla meditazione religiosa sembra che si miri ad un record. Per porre un freno a quella profusione di figure occorsero le controversie sulle indulgenze; il motivo, che aveva fatto proliferare l'immagine, per regressione, la fece sparire, però non completamente; essa doveva riapparire più tardi sotto una forma abbastanza diversa, al punto che non la si riconosceva più. Infine si vide un'altra diffusione riguardante il motivo degli oggetti della Passione riuniti indipendentemente dal crocefisso, motivo meno esuberante dei precedente ma altrettanto antico e che, durante il sec. XIV, trova giustificazione nel "blasonedi Cristo", quando compaiono anche nelle raccolte liturgiche gli inni alla corona di spine, alla lancia, alle piaghe, ecc. Così nel sec. XV avremo il "blasone delle piaghe", che qui, ovviamente, non possiamo studiare in tutti i suoi vari aspetti (ci basti dire che l'arte tedesca e l'arte fiamminga non esitarono a dividere il corpo di Cristo per meglio isolarne le piaghe). Preferiamo ritornare a Guido Casoni di cui apprezzeremo la sobrietà e la castigatezza. Non solo egli riduce a dodici oggetti essenziali gli strumenti della Passione, ma li considera più come mezzi di redenzione che per il loro semplice aspetto.
Non è un pensiero nuovo, ma neppure esaurito, quello di Guido Casoni che medita su ogni oggetto della Passione. Inserendosi in una larga tradizione spirituale, la sua poesia, in quanto poesia, porta, peraltro, il marchio

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del suo secolo?
Per l'oggetto stesso esso è metafora e antitesi e le ricerche non sono mai puramente esteriori. Quando si vede il gusto del concettismo anche in Giordano Bruno che si compiace in un genere di sonetto in cui le ultime sillabe di ogni verso sono ripetute due volte,

"Destin quando sarà ch'io monte monte
qual per bearm'a l'alte porte porte
che fari quelle bellezze conte conte
e'l tenace dolor conforte forte.
Chi fè le membra mie disgionte gionte'
ne lascia mie potenze smorte morte "

quando si vedono questi puri giochi formali, piuttosto strani in un filosofo, che per la sua dottrina finirà sul rogo, si resta stupiti nello scoprire, in questa opera del suo contemporaneo Guido Casoni, delle ricerche che non sono mai puri giochi o esercizi. (E invero non si potrebbe dire altrettanto per la sua prosa) (3). Infatti nel"Teatropoetico " non sembra un gioco quel dialogo con la Vergine che parla del Verbo divino in sette ottave, i cui versi terminano tutti con "cielo " o con "terra":

"Maria, chi è quel bambino che è in terra? terra.
Dimmi chi è quel ch'è ignudo al cielo? cielo.
chiedo chi è nel presepe? Il cielo in terra.
No, chi è nel fieno? Egli è la terra in cielo.
Quel pargoletto adunque è cielo e terra?
È pargoletto in terra, immenso in cielo.
E nel mio sem, ch'è quasi un cielo di terra
Amor congiunse in lui co'1 cielo la terra".

Le due parole"cielo "e"terra "sono state scelte non per la difficoltà da superare ma perché esprimono l'essenziale della meditazione dei poeta.
Questo essenziale è presentato nella"Passionedi Cristo " con metafore antitetiche perché è la sola parola sufficientemente suggestiva per pensiero e emozione religiosa. Perciò tutte le parti del poemetto s'imperniano sull'antitesi vita-morte, morte che è vita, morte che dà la vita e relative variazioni.
Sotto i colpi, il fiagellato, in quanto Dio, sparge intorno, amore e grazia, in quanto uomo sparge dolorosamente il proprio sangue. L'amore?sofferenza suggerisce contrasto ed unione pure nell'altro flagello:

"Tormentatoamoroso,
Tu beato e pensoso,
Con tue sanguigne stille
D'amor vive faville,
Amante flagellato
Doni il cielo a l'amato".

Il chiodo, poi, è pietà e non pietà, felicità e infelicità, dà e toglie la vita inchiodando i piedi sulla croce. E anche la lancia, aprendo la ferita, apre il cielo: il sangue della piaga guarisce chi l'ha fatta. Il martello, che è la parte riuscita meno bene delle altre dodici, dà luogo ad una ricerca di metafore e di trasposizioni piuttosto ardite, ma appartenenti allo stesso ordine d'idee:

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la morte che dà la vita. Tuttavia, dopo la prima antitesi:
"martello, i colpi tuoi le colpe
mie mutano in grazie",
l'immagine predominante del cuore martellato del peccatore oscura quella della croce e dei crocefisso (l'immagine, non l'idea); il pentimento è l'incudine, il fabbro è il favore divino, il fuoco è l'amore, e l'acqua, per bagnare il ferro, simboleggia le pie lacrime.
Il cuore, un tempo duro, ora è malleabile.
Batti dunque, o martello, (sul cuore pentito) e tu forgerai,

"com'ei di Cristo è vago,
di Cristo un'altra imago".

È' avvenuta una variazione: il martello che batteva il chiodo ora batte allegoricamente il cuore peccatore. Anche il terzo chiodo, dopo l'abituale Mentre antitesi, dà luogo ad un'altra variazione con la contemplazione del piede ferito: il piede trafitto spande nel cielo un fiume di luce, mentre una volta camminava asciutto sull'onda agitata che obbediva, si calmava, lo baciava; ,le tu pure? continua il poeta rivolgendosi al fedele e, certamente, anche a se stesso,"Piangiadora, bacia e taci".
Così da una antitesi fondamentale prendono vita e forma delle considerazioni che, pur non essendo molto originali, riescono almeno molto personali. Tanto personali da evitare il concettismo e i suoi eccessi. Basterà citare dei versi scritti da contemporanei del Casoni su analoghi argomenti per apprezzare maggiormente la sua sobrietà.

Il marinista Gennaro Grosso, in"Lacetra", immagina che Cristo parli ad un peccatore in questi termini:
"Son tuoi misfatti i miei diporti ameni
Piropi e gemme i tuoi peccati io chiamo.
... Ai doni siamo:
Tu prodigo di falli ed io di beni."

In trentaquattro canti, ognuno dei quali è composto da un centinaio di ottave, Capoleone Ghelfucci ha messo in versi i misteri del rosario ("Il rosario della Madonna"); nel corso di un lunghissimo racconto della Passione di Cristo si rileveranno soltanto i primi versi, che riguardano i chiodi e che ci indicano il tono:

"Tre chiodi o quattro
Il Regnator d'Averno
Tenne la mano al fabriciero ardito;
E temperargli entro l'ardore esterno
Volea di Flegetonte o di Cocito.
Ma tremonne egli, ne tremò l'Inferno".

Bisogna inoltre citare Grillo, don Angelo Grillo, amico dei Tasso, di Marini, del Guarini, versificatore instancabile e la sua poesia LXIX dei "Pietosi affetti" sulle piaghe di Cristo.

"Piaghe del mio Singore, voi siete stelle
Di quelle di lassù più vaghe e belle.
Quelle son fisse in cielo,
Voi, nel Signor del cielo:
Quelle han dal Sol la luce,
Il Sol per Voi riluce;
Quelle del ciel son fregi,

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Del Dio del ciel Voi pregi;
Quelle caggiono in mare,
Voi sempre ferme e chiare;
Quelle destano i venti,
Voi sospirosi accenti:
Quelle han da nubi oltraggio:
Da Voi le nubi han raggio:
Quelle spesso son rie,
Voi sempre dolci e pie;
Quelle a noi stelle sono,
Voi stelle a loro, a noi vita e perdono".

Mentre Casoni diceva:
"Lancia non dai la morte ...
Chè già morto è il mortale di Cristo
Ma in aprir la ferita
Apri il cielo e dài la vita
Cara piaga d'amor
Che col sangue vitale
Sani in un tempo e salvi il feritore".

È necessario far notare che la ripetizione delle parole "morte" "morto", "mortale" non è ridondanza ma sobrietà Abbiamo già detto che non è sempre così e, se lo spazio lo permettesse, un ultimo confronto, confronto di Casoni con se stesso questa volta, mettendo di fronte I "Ode della Croce" dei "Teatro poetico " e "La croce "della "Passione ", sarebbe in favore del poemetto in calligrammi. Conservando solo l'antitesi fondamentale di una religione, che è mistero di vita e di resurrezione, egli ha lasciato da parte ogni affettazione e ha dato ad ogni parola il suo giusto significato. Come spiegare qui questa maggiore sobrietà se non con la contemplazione dell'oggetto che ha limitato l'effervescenza secentista e che, trasferito sulla carta, ha creato una disciplina dell'essenziale?
Il genere calligramma non è un'invenzione del Casoni e nemmeno quel genere di trovata, che resta una pura trovata perché si è immaginata indipendentemente da quelli che l'avevano trovata. Guido Casoni indica il modello in una breve prefazione ed insieme espone le proprie intenzioni. Amava la poesia antica e spesso ne traeva ispirazione, la imitava, la traduceva. Durante quelle letture lo avevano particolarmente sedotto i calligrammi di Simmia di Rodi: "Il poeta greco Simmia ha raffigurato con i versi un uovo, due ali, un'ascia e una siringa " a meno che quest'ultima sia di Teocrito, come alcuni credono " e celebrò così le antiche divinità della fiaba ". Ebbene lui, Casoni, "Traendola poesia dalle tenebre di quelle favole, ha formato con i versi gli strumenti della Passione di Cristo ". E se la poesia antica ebbe per argomento la lode degli dei negli inni dei suoi numerosi poeti, "quanto più nobile deve sembrarci la poesia che ci presenta l'amore del Salvatore nelle sofferenze della Passione e la clemenza per la nostra salvezza ? " (Si noterà, a questo punto, un certo accento di controriforma).

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La storia dell'espressione figurata obbligherebbe a risalire fino alle prime scritture, ma qui non è il caso di farlo e quindi, per limitarci ai tempi del Casoni, bisogna segnalare la moda degli emblemi che furoreggiò nei sec. XIV e XV per poi declinare nei sec. XVI e XVII, pur continuando a sopravvivere, ad esempio, negli ex?libris. Tali emblemi, che hanno dato luogo a tutta una letteratura che li ha utilizzati, commentati, vivificati, e che ha numerosi e sottili teorici, presentano due aspetti che sono differenti per le intenzioni e che in italiano hanno pure nomi diversi. L' "impresa " è, prima di tutto, una volontà, un ideale da seguire sintetizzato in un"motto "tra stiggestivo e segreto che accompagna una figura, anch'essa tra suggestiva e segreta. L "erribiema " è, nell'intenzione, più statico in quanto la cura della figura viene prima e la trovata del motto viene dopo. La moltiplicazione delle Accademie provocava la moltiplicazione delle "imprese", dato che ogni Accademia aveva la propria, e Guido Casoni si trovò in quella corrente.
Nel 1609 fu uno dei fondatori dell'Accademia dei Perseveranti di Treviso (la quale, secondo Giovanni Ferro,"perseveròtanto poco che, si può dire, dal levare al tramontare del sole compagna degli animali efemeri ") e compose per essa un'impresa " edificio in costruzione con il motto"tardeut sublirmus " " attorno alla quale si accese una polemica. Casoni rispose agli attacchi con un trattato conosciuto col titolo "Discorsodelle imprese", ma pubblicato con un altro titolo, "Apologiadi Guido Casoni per l'impresa de' signori Perseveranti di Trevigi notata da persona sconosciuta sotto sembianze d'un tal Aleardi" (Treviso, Righettini, 1610). Ventidue anni più tardi Casoni vorrà usare questo modo di espressione sotto un altro aspetto, quello di "emblerna", e pubblicherà a Venezia nel 1631 "Gliemblemi politici?: dieci figure emblematiche sottolineate non da un motto, ma da un titolo seguito da un capitolo in versi sul buon comportamento di un principe; occorre aggiungere che non vi si trova nessuna traccia di machiavellismo?
Intanto Casoni aveva avuto l'idea di scrivere "Lapassione di Cristo? in calligrammi, anch'essa espressione figurata. Il fatto che lo stesso autore sia stato attirato da quelle varie forme d'espressione figurata mette in evidenza la loro base comune; tuttavia, all'interno di quel modo d'espressione, gli emblemi e i calligrammi sono agli antipodi. Uno, dotto, segreto, proprio di una sorta di ricerca aristocratica che si avvale d'immaginazione e di giudizio artistico, l'altro, quasi puerile e, troppo spesso, ridotto ad un semplice giochetto di parole o ad una forma esasperata di fantasia. Comunque sono pochi i calligrammi seri; quelli antichi e quelli che vi si ispirano.
Se i trattati su"imprese" e "erriblemi" hanno proliferato nei sec. XVI e XVII, la stessa epoca ha pure visto i commentari di Optaziano e dei suoi calligrammi; non sapremmo dire se le opere dei Saumaise, Voss, Barth, Daum, e altri erano familiari a Guido Casoni, ma è certo che lui ha visto, nei dintorni, le opere di Fortunio Liceti che tra il 1630 e il 1640 pubblicò a Padova abbondanti commentari sui calligrammi di Simmia, Optaziano e su altri di incerta attribuzione. Lo stesso Liceti si era esercitato, componendo elogi di senatori veneziani nelle forme create da Simmia in due opere apparse a Padova nel 1627 (5). Con queste date si può capire che, se negli ambienti intellettuali veneti ci si interessava di calligrammi, Guido

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Casoni è stato il primo a dimostrare quell'interesse e, quando si riferisce direttamente a Simmia, e soltanto a lui, si può credere che dica la verità.
D'altronde sarebbe bene distinguere diverse forme in questo insieme di espressioni figurate che si chiamano calligrammi e prospettare press'a poco tre gruppi.
In primo luogo si avrebbero, sulla pagina tutta scritta, i disegni formati da lettere rosse circondate da lettere nere; o si tratta di lettere rosse che formano da sole, in verticale, in diagonale o in altro modo, delle parole con un certo significato senza che il senso dei testo, nel suo insieme, sia modificato, secondo un procedimento simile a quello dell'acrostico e di cui Optaziano ci ha offerto molti esempi; oppure si tratta di una linea ben tracciata che sulla pagina stampata forma un disegno che non interrompe il testo, ma che appare nettamente perché nell'interno le lettere sono rosse: così, per esempio, è la croce e, sotto, il monaco inginocchiato in un'edizione di Rhaban-Maure del 1605 (6).
Un secondo gruppo comprenderebbe ogni testo di versi o prosa, oppure un semplice titolo, ìn cui le parole sono divise in modo da rappresentare una figura. Si tratta della disposizione dentro una linea che disegna l'oggetto (per esempio, la ben nota "diva bottiglia" di Rabelais o l'oscuro epitalamio stampato a Francoforte nel 1581 (7): in un cuore diviso in due, la parte sinistra contiene l'epitalamio in latino e la parte destra in tedesco e in senso inverso; oppure si tratta di una semplice e pura divisione di parole come, ad esempio, il titolo di un trattato di Savonarola sull'amore di Cristo, apparso a Firenze nel 1492 (8), e che forma una croce piantata su uno zoccolo: "Trac /tato / dello / Amore di Jesu Christo composto / da frate Jeronimo da ferrara del / l'ordine / de' frati / predica / tori pri / ore di S. / Marco di / Firenze". Una divisione analoga produrrà, sotto la penna di Apollinaire, la Torre Eiffel:
"S / A LUT / M 0 - N / D - E / DONT / JE SUIS / LA LAN/ GU - E / LOQUEN / TE QUE SA / BOUCHE / 0 PARIS / TIRE ET TIRERA / TOU ... JOURS / AUX ... A L / LEM ... ANDS."
Infine, in terzo luogo, ci sarebbero le composizioni nelle quali la poesia rispetta le parole e i versi: la disposizione sulla pagina dei versi, che sono versi che si leggono senza difficoltà, raffigura l'oggetto di cui si parla e così abbiamo i calligrammi del Casoni che si colloca sulla stessa linea di Simmia di Rodi; e questo, anche in Apollinaire, conduce a qualche buon risultato, da noi già citato, come la colomba pugnalata, fl getto d'acqua o il cavallo di "Assaiterribilmente" (9). Nicerone, nelle memorie (vol. XXVII), citando le opere di Fortunato Liceti, "Elogiavaria" ... e "Imitationes ... "aggiunge questo commento: "puro divertimento che non merita d'interessare un uomo di spirito, ma che è piaciuto a Liceti tanto da indurlo a fare una collezione di tutte le figure che potevano servire a creare simili poesie". Ed è ben vero che l'intenzione ne fa un puro scherzo. Ma il calligramma di Guido Casoni è perfettamente serio.
La contemplazione dell'oggetto, che costituisce la strofa sia nel contenuto che nella forma, ha un carattere senz'altro religioso e quindi, proprio per questo, è così poco secentista. La presenza dell'oggetto, qui, ha soppresso

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le iperbole e ha limitato la metafora, la quale, dove resta, non è mascheramento, rifiuto di chiamare le cose con il loro nome, desiderio di meravigliare, ma è suggestione di una realtà che non si esaurisce col solo nominarla:

"Non brama egli per sete alcun licore
ma lo fa sitibondo,
ardentissimo amore
ch'a di salvare il mondo".

I primi tre versi si leggono verticalmente dal basso in alto, formando la picca alla cui estremità si arrotonda l'ultimo settenario per figurare la spugna imbevuta di aceto e tesa per derisione a chi aveva detto "Ho sete" (10). E certo che la brevità e la densità della strofa sono determinate dall'oggetto abbozzato, perché ora prevale l'oggetto. La scala d'amore è certo l'Ascensione di Cristo e l'ascensione di ogni anima salvata e unita a Cristo, ma, qui, in verità, è la scala che è servita per la Crocifissione. Tutti i mistici hanno parlato di ferita d'amore, gli artisti della Controriforma hanno moltiplicato le immagini d'estasi, rapimenti, incanti, di cui tipica è la "Santa Teresa" dei Bernini, tutta assorta davanti all'angelo che lancia la freccia. 1 testi scritti usano molto questa metafora, ma Casoni dimostra di vedere davvero la piaga aperta nel costato di Cristo dalla lancia del soldato o le piaghe fatte dai chiodi conficcati nelle mani e nei piedi del Crocefisso e così tutto il resto. L'immagine, che diventa metafora in altri, è l'oggetto reale contemplato dal Casoni, oggetto che impone la forma sulla stessa pagina dove si scrivono i versi, non semplice illustrazione , ma corpo del pensiero. Perché va notato che l'oggetto non prende figura realistica, in una incisione o in una pittura, come l'illustrazione. E anche in questo la meditazione di Casonì non è simile a quella degli "Esercizi". Una lancia, per esempio, dipinta o incisa, poiché non è evidentemente quella che ha ferito Cristo, sarebbe un apporto estraneo alla contemplazione che, di fatto, si riporta non su una determinata lancia con forma e colori particolari ma su una lancia generica come strumento di supplizio del crocefisso; così la sua forma è abbozzata, senza particolari distraenti, dalle parole che spiegano la sua funzione e il suo unico rapporto con l'Uomo?Dio. Si tratta insomma di un problema di estetica degno di considerazione e che fa rimpiangere che la Passione di Cristo di Guido Casoni sia rimasta nell'oblio per tre secoli.


NOTE

1) La poesia è segnalata in Autori italiani del '600, fase. III, p. 22.
2) Gli altri due chiodi hanno una punta più sottile: È sana e sal / va l' / al / m a e Sia la / piaga / mia / fonte / d'a / m / o / r / el.
3) Nella prosa, dalla sua penna facile scorre a profusione un fiume inesauribile di antitesi sia per il genere profano dei Ragionamenti interni, sia per il genere sacro delle introduzioni di certe odi del Teatro poetico (v. in particolare il Ragionamento che precede l'Ode alla Vergine).
4) Giov. Ferro, Teatro d'imprese, Venezia 1623, p. 189.
5) Elogia varia Heroum nostri temporis e Imitazione figurati metri a Simmia Rhodio inventi. Non ho avuto questi due volumi che sono raramente citati; non figurano nel catalogo della biblioteca del cardinale Barberini, che possiede tuttavia quasi tutta la produzione di Fortunio Licctí.
6) De laudibus Sanctae Crucis (Augustae Vindelicorum, 1605), v. R. Diehl Figurensatz in Frankfurter Drucken der Renaissance und des Barocks, 1951 (fig. 1).
7) Vedere: R. Diehl, op. cit., fig. 7.
8) Anche negli opuscoli del Savonarola si trovano delle stampe con la Pietà di Cristo in mezzo agli strumenti della Passione.
9) Non teniamo conto delle fantasie burlesche di futuristi italiani e di surrealisti francesi.
10) certo, per inavvertenza che il redattore di Autori italiani del '600, fasc. III p. 22, intitola la strofa e l'oggetto"Calice".

Lucienne Portier

Il saggio è già stato pubblicato in Italia in lingua francese, in Studi in onore di V. Lugli e D. Valeri, Venezia 1961, p. 807?820.


BIBLIOGRAFIA

G. CASONI, Ode ... Venezia, appresso G.B. Ciotti, 1602.
G. CASONI, Ode accresciute e distinte in tre parti, ottava edizione, Treviso, appresso Angelo Righettini, 1615, 1613.
G. CASONI, L'opere, dodicesima impressione, Venezia, presso Tommaso Baglioni, 1626. E. ZANETTE, Una figura del secentismo veneto: Guido Casoni, Bologna, 1933.
M. RAK, La maschera dellaforiuna, Napoli, 1975.
D. MOLINARI, Per un'idea dei rapporti fra poesia e iconismo. La Passione di Cristo di Guido Casoni, in Lingua e stile, 14, (1979), p. 431?435.
G. POZZI, La parola dipinta, Milano, 1981. Contiene un indice bibliografico sul tema della poesia figurata dai technopaegnia alessandrini ai calligrammi di Apollinaire. M Vi si legge fra l'altro:
"Il Casoni, autore fondamentale nell'affermarsi di nuoveforme poetiche sull'inizio del secolo, ancora attende uno studio adeguato, nonostante una monografia interamente a lui dedicata (Zanette) e qualche buon contributo occasionale (Portier; Rak; Molinari)".

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