Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°12 - 1999 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
LUCA TOMIO


LA MADONNA DEL SACRO CALICE DELL'ABBAZIA DI
FOLLINA: IL MISTERO DI UNA SCULTURA NUBIANA DEL VI
SEC D.C.*

Fu nel 1146 che i monaci cistercensi giunsero a Follina dall'Abbazia di Chiaravalle per sostituire una comunità di benedettini dipendenti da San Fermo a Verona e per dare corpo ad un nuovo complesso abbaziale terminato nel 1335 perfettamente congruente alle tipologie architettoniche cistercensi sia per quanto riguarda la scelta del sito che per l'orientamento, la struttura e la disposizione dei vari edifici(1). Milieu pienamente romanico dunque, romanico-gotico per la chiesa, al cui contesto alcuni autori vorrebbero assegnare anche la scultura in pietra arenaria genericamente indicata come Madonna col Bambino(2) - Fig.1- attestata nell'abbazia di Follina a suis primordiis da fonte camaldoles(3) e dal 21 settembre 1921 incoronata e collocata nella nicchia centrale della grande ancona lignea dorata sovrastante l'altare maggiore(4).


* Estratto di un più ampio saggio di prossima pubblicazione.

1) cfr. H. Dellwing, Studien zur Baukunst der Bettelorden im Veneto, Munchen-Berlin, 1970, pp.29-32, 75-81; PA. Passolunghi, S. Maria di Follina. Monastero cistercense, Treviso 1984, pp.Z7-28.
2) Si farà qui uso dell'epiteto generico fino a quando l'esegesi iconologica non permetterà di giustificare la proposta di definire l'opera come Madonna del Sacro Calice. Peri 'attribuzione all'ambito romanico si veda L. Fraccaro De Longhi, S. Maria di Follina. Una filiazione di Chiaravalle milanese nel Veneto, in Arte Lombarda, XLVII-XLVIII, 1977, p.l8; si fa riferimento invece a fantomatiche "scuole scultoree longobarde di Aquileia e di Verona" in F. Burbeilo, Abbazia cistercense Santa Maria Sanavalle di Follina, 1997, p.23
3) Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti, Venetiis 1755-73,111, ad annum 1150
4) AA.VV., 25 settembre 1921. Solenne Incoronazione della Beata Vergine di Follina, Foilina 1921.


LUCA TOMÌO. Laureato in Lettere Moderne con Indirizzo Artistico; storico dell'arte, consulente editoriale, curatore di esposizioni inerenti le culture extraeuropee e autore di saggi scientifici sull'arte medioevale e contemporanea.

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L'attestazione camaldolese, la collocazione in un contesto architettonico romanico e la corona posticcia, unitamente alle considerazioni estetiche negative(5) elaborate sulla falsariga di una leggenda popolare connessa con la fondazione benedettina de1l'Abbazia(6), sembrano dunque essere stati gli elementi convergenti e determinanti affinchè si consolidasse nei confronti di quest'opera un approccio tendente ad inscriverla forzatamente in un contesto stilistico come quello basso-medioevale che, anche considerato nella sua forbice temporale più ampia, appare così improponibile da non necessitare nemmeno di una pur articolabile puntigliosa confutazione. Il fatto che la Madonna col Bambino di Follina sia stata definita una "grezza Madonna in pietra del XIV secolo"(7) o che si sia arrivati a dire che sarebbe una scultura "probabilmente romanica, di rozza fattura"(8), attesta quale altissimo rischio corra la storia dell 'arte, in prima istanza, quando si rinserra nei ristretti campi delle iperspecializzazioni e, non secondariamente, quando chi la esercita non si premunisce dal cadere nella trappola di scambiare la propria mediocrità con quella delle opere che si trova a dover contestualizzare.
In prima istanza accogliendo dunque favorevolmente l'ipotesi elaborata nel 1965 da Giorgio Moretti e recentemente ripresa e rilanciata da p. Ermenegildo M. Zordan circa la possibile provenienza copta(9) della Madonna col Bambino dell'Abbazia S. Maria di Follina, le ricerche da noi successivamente intraprese anche se nella specificità hanno condotto a disattendere l'ipotesi sovraesposta ne hanno tuttavia potuto evidenziare la validità quale corretta indicazione di area stilistica per stabilire con esattezza

5) L. Sartori, Cenni iconologici sulla divozione alla Beata Vergine di Follina, Treviso 1903; Cenni storici in AA.VV., 25 settembre 1921..., op. cit., p.2; S. Rumor, L'antica badia di Follina, in Arte Cristiana, ottobre 1921, IX, 10, p.293; G.M. Todescato, Santa Maria di Follina (TV). Profilo storico-artistico, Follina-Treviso 1971, p.42.
6) "Da un fiumicello chiamato la Follina trasse il nome la vicina Terra della Follina poco in se stesa preggevole; ma illustrata grandemente da un antica Immagine ivi fin dal duodecimo secolo venerata: Questo memorabile simulacro scolpito assai rozzamente in tufo, o sia marmo tenero tratto da' vicini monti fu ritrovato insperatamente nel coltivare i loro campi da alcuni agricoltori Notizie storiche delle apparizioni e delle immagini più celebri di Maria Vergine santissima nella città e dominio di Venezia. Tratti da documenti, Tradizioni, e da antichi libri di Chiese nelle quali esse Immagini son venerate, in Venezia, MDCCLXI, pp. 129-130.
7) R. Gibbs, Treviso, in AA.VV., La pittura nel Veneto. Il Trecento, Milano 1992, p. 220.
8) L. Fraccaro De Longhi, op. cit., p. 18.
9) "Una scultura d'Arte Copta del III sec.", G. Moretti, documento dattiloscritto, Archivio Abbazia di Follina; cfr Id., Duplavis Regina, in La Squilla, luglio 1965, aprile 1967. "La tipologia della scultura in esame, è orientale, e di preferenza, copta", P. E.M. Zordan, Lettura icono grafica dell'immagine della Madonna Santa Maria di Follina, in Simbolo e Poesia nell' architettura monastica cistercense dell'Abbazia Santa Maria di Follina, a cura di P.E.M. Zordam, Follina 1993, p.51.

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Fig. 1. Madonna del Sacro Calice, arte nubiana, VI sec. d.C.; pietra arenaria, 88x53x23 cm. (la corona gigliata è un 'aggiunta tarda posticcia); Abbazia S. Maria, Follina (TV).

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lo stile e l'iconografia di un'opera così carica di misteri tale da risultarne accresciuta proprio in merito alle scoperte di cui qui diamo breve comunicazione.

Che la Madonna col Bambino di Follina sia una scultura aliena dal contesto storico-artistico non solo dei cantieri romanici del Veneto o dell'Italia tutta, ma che appaia come un unicum nel contesto artistico medioevale dell'intera area occidentale è la considerazione che più prepotentemente emerge rilevando come la cultura artistica in cui è stata elaborata doveva aver saputo emblematicamente innestare il busto della Vergine, ieraticamente solcato da un braccio tipologicamente reso secondo i canoni egizi, su di un bacino da cui diparte la scorciatura delle gambe che insieme al cuscino sa rendere la profondità spaziale, e tutto questo per dare forma ad un motivo cristiano come la Madonna col Bambino in cui la Vergine porta come copricapo un mazzocco con velo e la testa del Cristo appare elaborata secondo i tratti tipici dell'arte ellenistica (Fig.2). Elementi che solo in via preliminare potevano indurre a considerare la possibilità di una provenienza dal contesto copto, data la grande difficoltà nel voler collocare l'opera, così post-classica pur nella sua contaminatio di stili, in un contesto artistico che già ai propri esordi sembra aver abbandonato, non solo la statuaria per il rilievo, la modellazione per la decorazione, ma anche il carattere aulico dell'arte classica per una parlata espressiva più rilasciata e colloquiale.
Gli elementi caratterizzanti la Madonna col Bambino di Follina sono invece pienamente riscontrabili in un contesto culturale che prese avvio all'ombra delle piramidi dell'alto corso del Nilo:
quello dell'antico impero di Kush, conosciuto anche come meroitico, che ebbe corso dal IX sec.a.C. fino al III della nostra era, quando l'invasione dei Nuba vi pose fine; dal nome di quest'ultimo popolo si è così soliti designare come Nubia il territorio compreso tra il lago Nasser e la città di Khartum, cristianizzato nel corso del VI sec.d.C e suddiviso nei tre regni di Nobatia a nord, di Makuria e di Alodia a sud, nel VII sec. soggetto alla dominazione araba e attualmente diviso tra il sud dell'Egitto e il nord del Sudan.
Le connessioni stilistiche tra questo
ambito artistico e la Madonna col Bambino di Follina sono così stringenti che

Fig. 2. Madonna del Sacro Calice, arte nubiana, VI sec. d.C.; pietra arenaria, 88x53x23 cm.; Abbazia S. Maria, Follina (TV).

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Fig. 3. Teste di statue-ba, arte meroitica, II-III sec. d.C.; gres, h. 17,5 e 15,7 cm.; The University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology, Philadelphia (da AA .W., Soudan, Royaumers sur le Nil, Paris, 1997, n. 314/315).

per quanto riguarda i tratti del volto della Vergine è possibile trovare connessioni addirittura con opere della XXV dinastia o del III sec. a.C., per non parlare di veri e propri caratteri d'identità quando li si mette a confronto con quelli di una testa di statua-ba rinvenuta a Karanog e datata al II-III sec. della nostra era(10) (Fig.31) lo stesso modo di rilevare gli occhi con due semplici linee che arcuandosi delimitano le orbite oculari andando ad allungarsi fin quasi a toccare le tempie con effetto a mandorla e lo stesso modo di innestare la testa arrotondata e a zigomi alti su di un collo possente, facendo sì che il mento rialzato visibile dilato, risulti annullato da una visione frontale. Identità invocabile anche per la tipologia della resa plastica dell'orecchio destro del Cristo bambino, i cui caratteri ellenistici riscontrabili nella capigliatura ma anche nei tratti del volto trovano piena giustificazione negli sporadici ma incisivi influssi determinatisi tramite le spedizioni romane del periodo augusteo e neroniano(11) 1) tra l'impero meroitico, oltre che

10) Cfr. C.L. Wooley, D. Randall-Mclver, Karanog. The Nubian Cemetery, Philadelphie,
1910, p.240; D. Wildung, Méroé et l'hellénisme, in AA.W., Soudan. Royaumes sur le Nil,
Paris, 1997, p294.
11) Cfr. U. Monneret de Villard, Storia della Nubia cristiana, Roma 1938, pp.7-35; J. Vantini,
Il Cristianesimo nella Nubia antica, Verona 1985.

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con le coste del Mediterraneo, con la stessa Alessandria d'Egitto(12), Connessioni con il centro di maggior diffusione dell 'arte dell'epoca tolemaica, nella quale abbiamo in prima istanza cercato di postulare l'ascendenza ieratica che contraddistingue la Madonna col Bambino di Follina e a cui ha fatto seguito un parziale disconoscimento del dato in quanto tale caratteristica venne reinnestata nella cultura nubiana post-meroitica dai primi evangelizzatori provenienti da Bisanzio e dunque di quella cultura apportatori. Come dimostrano anche gli affreschi di Faras(13), antica capitale della Nobatia, la tipologia iconografica e stilistica predominante di questo regno appare strettamente dipendente proprio dai cicli pittorici influenzati da quella cultura bizantina cui apparteneva il prete Giuliano, l'emissario di Teodosio, patriarca di Alessandria, che nel 542-3 giunse a Phile pochi anni dopo la soppressione del culto di Iside operato da un comandante bizantino su ordine di Giustiniano(14) e che insieme a Teodoro, vescovo di quella città dal 525-6, nel giro di due soli anni convertì il limitrofo regno di Nobatia ad un cristianesimo che pur dovendo dibattersi tra monofisismo e cristianesimo di rito bizantino, o melkita, almeno per i primi due secoli seppe attenersi a quest'ultimo(15). Il fatto che anche Karanog, il sito in cui sono state rinvenute le teste di statue-ba assiinilabili alla medesima tipologia del volto della Vergine, faccia parte del regno di Nobatia, a poche centinaia di chilometri verso nord da Faras, lungo il corso del Nilo, ci fa dunque circoscrivere l'area di provenienza della Madonna col Bambino di Follina proprio al più settentrionale dei regni della Nubia cristiana, non potendoci permettere una minore approssimazione in base ai soli confronti stilistici per la particolare scarsità di reperti inerente questa area geografica, tra l'altro irrimediabilmente funestata dalla totale sommersione del territorio a seguito della costruzione della diga di Assuan.
Immaginandosela dunque scintillante d'ori sia per 1 'aureola del Cristo sia per gli orecchini, la collana e i bracciali della Vergine, in ossequio alla grande maestria raggiunta dai meroitici nell 'arte orafa(16), emerge così dall 'oblio una delle poche prove tangibili per portare alla luce una civiltà che se aveva accolto la religione cristiana sapendone interpretare i simboli con uno stile dal retaggio millenario ma anche aperto a nuove soluzioni, il riferimento cronologico a cui bisogna rimandarne la fattura, sulla base degli elementi fin qui contemplati, se non può essere collocato prima del 525-6, data dell'investitura vescovile di Teodoro di Philae, non può neppure essere sospinto


12) cfr. Soudan..., op. cit., pp37O-38O.
13) J. Vantini, Gli scavi di Faras. Un contributo alla storia della Nubia cristiana, Bologna
1970.
14) Procopio di Cesarea, Le guerre ..., Torino 1977, I, La guerra persiana, I, 19.
15) cfr. U. Monneret de Villard, op. cit., pp.53-7O.
16) cfr. Soudan..., op. cit., pp.226-235, 301-340.

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troppi decenni oltre, comunque entro il 580, quando l'intera Nubia divenne cristiana, e non presumibilmente al di là del 616, anno dell'invasione sassanide dell'Egitto giunta sino ai confini settentrionali della Nubia(17).

Venendo ora a quel centro della composizione scultorea, che vista la difficile leggibilità a distanza tanta parte deve aver avuto nel far ritenere la Madonna col Bambino di Follina un'opera sbozzata in maniera grossolana, è possibile far notare che nel palmo della mano sinistra la Vergine regge un oggetto che, se guardato a distanza ravvicinata, non si ha difficoltà a riconoscervi un calice dal quale si diparte una sottile porzione di pietra che inspessendosi va ad innestarsi e a fare tutt'uno con la spalla sinistra del Cristo
-Fig.2-.
Tralasciando momentaneamente quest'ultimo significativo particolare, è oltremodo degno di nota far rilevare come la simbologia del calice non opera qui in senso univoco ma risulta caricata di una complessa pregnanza simbolica che trae alimento dal fatto che il calice sia qui riconnesso anche all'immagine del cuore. Funzione simbolica attestata da un'assimilazione iconografica che oltre ad essere già attiva nel contesto escatologico dell'antica religione egizia, così come rilevabile dal geroglifico a forma di vaso utilizzato per designare il cuore nelle scene raffiguranti la psicostasia(18), trova ulteriore applicazione e fondamento nel fatto che la mano della Vergine reggente il calice (particolare plasticamente già alludente alla forma del cuore) sia stata scolpita in corrispondenza del torace incavato del Cristo. Ed inoltre, se è lecito rifarsi allo pseudo-Germano di Costantinopoli per considerare i seni della Vergine assimilabili simbolicamente a dei calici(19), è dunque possibile stabilire in prima istanza come la Madonna col Bambino di Follina non solo sia identificabile come una trasposizione simbolica della più canonica Galactotrophusa, la Vergine che allatta il Bambino, ma in quanto tale da mettersi in relazione con il precedente iconologico egizio di questa raffigurazione cristiana: Iside che allatta Horus(20). Sincretismo simbolico cristiano-egizio nel cui ambito è possibile trovare gli elementi atti a gettare luce su quell'altrimenti vago elemento che collega la spalla sinistra del Cristo bambino con la coppa del calice, identificabile come il braccio sinistro del Cristo, ultima parte del corpo fuoriuscente dalla coppa, qui da

17) U. Monneret De Villard, op. cit., pp.69-7O.
18) Charbonneau-Lassay, Le coeur humain et la notion da Coeur de Dieu dans la religion de
l'ancienne Egypte, in Regnabit, novembre, Paris 1924.
19) Pseudo-Germano di Costantinopoli, "Crateras etiam interpreteris licet mammas Deiparae",
Historia ecclesiastica et mystica contemplatio, in Patr. Gr., 98, 399b.
20) cfr. L. Langener, isis lactans-Maria lactans, Altenberge 1996; i. Baltrusaitis, La ricerca
di Iside, Milano 1985.

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intendersi come simbolo dell'utero della Vergine, il cui rachitismo sembra voler alludere ad una creazione ancora in fieri , ad una nascita fisica che vuole essere resa artisticamente e simbolicamente come dispiegantesi sotto gli occhi dei fedeli: coerente raffigurazione sia del dogma della Theothokos, della Vergine come Madre di Dio, sancito dal Concilio di Efeso del 431(21), sia di quello attinente alla natura ipo statica, simul divina ed umana del Cristo, sancito dal Concilio di Calcedonia del 451(22), ma iconologicamente assimilabile anche al mito ogdoadico della cosmologia hermopolitana dei sacerdoti dell'antico-egizia città di Chemenu contemplante la fuoriuscita del creatore divino dal calice di un fiore di loto(23). Fuoriuscita da un calice che oltre a fungere da simbolo del cuore, del seno e dell'utero è caricato di una valenza che più in là nella trattazione vedremo tautologicamente connessa alla simbologia del calice stesso, alla quale è inoltre da riconnettersi un' oscura pratica di un culto osiridiano dei morti sviluppatosi in epoca ellenistica, che tra i propri oggetti liturgici contemplava un calice di vetro come quelli dipinti e dorati provenienti dalla necropoli di Sédeinga (Nubia), datati 250-300 d.C. e riportanti la scritta in caratteri greci bevi e tu vivrai(24).
Un'ulteriore connessione tra simboli cristiani ed egizi che in terra di Nubia sembrano aver dunque costituito un substrato culturale di contaminatio molto fertile di cui la Madonna col Bambino di Follina è uno dei pochi monumenti superstiti e il cui centro di irraggiamento può essere identificato nell'antica isola nilotica di Philae, ai confini settentrionali del regno di Nobatia, già sede del culto di Iside, caro agli Egizi, ai Meroitici, ma anche ai Romani(25), dal 525-6 sede episcopale presieduta dal vescovo Teodoro e, a seguito della trasformazione del tempio di Iside in chiesa cristiana per opera del comandante bizantino Narsete, dal 542-3 principale centro di diffusione del cristianesimo in Nubia.

Se la coppa e il cuore sono dunque simboli cristiano-egizi sincreticamente rilevabili nel contesto della religione cristiana di rito bizantino ortodosso, o melkita, diffusasi in Nubia e di cui la Madonna col Bambino di Follina ètestimonianza, la coppa e il cuore sono anche due simboli strettamente connessi al simbolo cristiano del calice fatto emergere dalla letteratura


21) Concilium Ephesinum (431), in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973,
pp. 37-74.
22) Concilium Chalcedonense (451), in ibidem, pp.75-1O3.
23) Plutarchus, De iside et Osiride, 11, c.
24) cfr. Soudan, op. cit, p.365 (nn.436-437).
25) Cfr. AA.VV, Iside. Il mito il mistero la magia, Milano 1997, pp.42-43, cfr. U. Monneret
de Villard, op. cit., p.19.

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francese del XII-XIII secolo con il nome di Graal e a proposito del quale René Guenon così scrive:
"In effetti il Santo Graal è la coppa che contiene il sangue prezioso di Cristo e che si sostituisce perciò in qualche modo al Cuore di Cristo come ricettacolo del suo sangue; essa ne prende per cosi dire il posto e ne diviene in certo qual modo un equivalente simbolico; e in tali condizioni non è forse ancor più significativo che il vaso sia stato già anticamente un emblema del cuore?"(26)
Quale migliore risposta che non quella scolpita nella pietra poteva pretendere Guénon per un interrogativo retorico inerente una corretta lettura iconologica, da una parte tendente ad inscrivere il simbolo del Graal nell'ambito dell'esoterismo cristiano e dall'altra a riconnetterlo ai culti di ascendenza celtica(27)? Doppia opzione che appare plausibile a patto che la si ritenga valida solo contestualmente all'emersione ditale simbolo nel filone letterario cui diedero avvio Chrétien de Troyes con il Perceval e Robert de Boron con il Joseph d'Arimathie; testi letterari in cui gli autori elaborarono, rispettivamente in maggiore preponderanza, le componenti celtiche e quelle cristiane, già confuse o comunque compresenti in fonti comuni(28), al punto tale da renderle così indissolubili da far scrivere anche a Guénon che non sembrano esserci "dubbi sul fatto che le origini della leggenda del Graal debbano essere ricondotte alla trasmissione di elementi tradizionali, di ordine iniziatico, dal Druidismo al Cristianesimo"(29). Considerazione valida, anche se comunque discutibile, circa l'eziologia del "venire en apert del segreto esoterico"(30) attinente al simbolo cristiano-celtico del calice con il nome di Graal e ciclo leggendario connesso, ma alla luce di quella che ormai possiamo chiamare Madonna del Sacro Calice di Follina non certo condivisibile per quel che riguarda il vero ed originario nocciolo esoterico cristiano di cui il ciclo del Graal non appare che un'esteriorizzazione di epoca medioevale.
L'iconografia riscontrabile nella Madonna del Sacro Calice di Follina, in cui il calice è pregnante di una così complessa simbologia, induce infatti, oltre a ridurre le componenti celtiche del Graal (tra le quali la denominazione stessa) a delle assimilazioni operate nel corso del formarsi della saga


26) R. Guénon, Il Sacro Cuore e la leggenda del Santo Graal, in Id., Sull' esoterismo cristiano,
Milano 1995, p.11O.
27) "Che la leggenda del Graal sia cristiana è un fatto incontestabile, e il Waite ha ragione
quando lo afferma; ma questo impedisce forse necessariamente che essa sia nel contempo
qualcos'altro?", ibidem, pp.92. Cfr. A.E. Waite, The Holy Grail, its Legend and Simbolism
London 1933.
28) cfr. F. Zambon, Robert de Boron e i segreti del Graal, Firenze 1984, p.28-39.
29) R. Guénon, op. cit, p100.
30) F. Zambon, op. cit., p.ll4.

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soprattutto per opera di Chrétien de Troyes, anche e soprattutto a riconnettere definitivamente questo simbolo medioevale ad una tradizione cristiana prettamente ortodossa(31) che proprio nella Madonna del Sacro Calice di Follina trova la propria prima attestazione figurativa, anteriore, tra l'altro, di mezzo millennio, al ciclo letterario del Graal.
Attestazione dei dogmi della Theotokos e della natura ipostatica del Figlio tramite la visualizzazione plastica della nascita di Gesù Cristo dal ventre/coppa della Vergine che ponendo dunque in essere anche la simbologia inerente il sacramento eucaristico, tramite la precisa corrispondenza simbolica tra il cuore/coppa ed il Sacro Calice dell'Ultima Cena, non solo garantisce la correttezza della lettura in chiave eucaristica e liturgica della leggenda del Graal(32) ma permette di integrarla con quella inerente i dogmi attinenti alla natura di Gesù Cristo, molto dibattuti presso i cristiani delle origini e definitivamente sanciti solo dai concili di Efeso e di Calcedonia. Che la natura di Gesù Cristo sia stata dichiarata ipostatica in quanto sia umana che divina è un fatto da non trascurare considerando l'istituzione del sacramento eucaristico durante l'Ultima Cena alla luce anche di quanto detto da Gesù Cristo nella sinagoga di Cafamao:
In verità io vi dico: se non mangiate la carne de/Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell' ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è i/pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno(33).
Parole che risultarono enigmatiche ai Giudei e a molti discepoli, disvelate poi tramite l'istituzione sacramentale della SS. Eucarestia e quindi del mistero ineffabile del sacramento eucaristico, "gloriosi CorporisMysterium, Sanguinisquepretiosi" (34) la cui centralità e pregnanza nell 'iconografia della Madonna del Sacro Calice viene confermata ab antiquo dal fatto che lungo la navata sinistra della chiesa abbaziale sia stata fatta affrescare a un tardo seguace di Tomaso da Modena l'effige di San Tommaso d'Aquino che regge il trattato sul Sacramento del Corpo di Cristo.

31) cfr. M. Insolera, La Chiesa e il Graal. Studio sulla presenza esoterica del Graal nella
tradizione ecclesiastica, Roma 1998.
32) tra Calice-Graal e calice ecclesiastico esiste in definitiva, un rapporto organico,
simbiotico imprescindibile, linearmente consequenziale", in ibidem, p.65
33) Gv., 6,52-58.
34) S. Tommaso d'Aquino, Pange lingua.

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Una volta stabilite su basi stilistiche la provenienza nubiana e la datazione al VI secolo d.C. del gruppo scultoreo che su base iconografica proponiamo di denominare Madonna del Sacro Calice era inevitabile che a corollario ci si ponesse il problema di come e quando ne fosse avvenuta la traslazione dal regno di Nobatia e come e quando potesse essere giunta ad essere collocata nella chiesa dell'Abbazia S. Maria di Follina.
Problema, quest'ultimo, che strettamente connesso con quello inerente la fondazione dell' Abbazia stessa ne andava a condividere l' impasse risolutivo determinato da un'insufficienza di dati documentari- archivistici, che se nel caso di Passolunghi ha comportato una puntuale esegesi storica dell' Abbazia a partire dalla data certa del 11 nel nostro si è invece risolto nel tentativo non di risolvere I' impasse documentario ma di travalicarlo prendendo come punto di partenza per la nostra esegesi all'indietro, alla scoperta delle origini cultuali del sito su cui è poi sorta l'Abbazia, una testimonianza di quella che può essere definito un frammento di ierostoria: la leggenda del ritrovamento della Madonna del Sacro Calice(36).
E se è vero che dietro ogni leggenda si cela un nocciolo di possibile verità storica, questo stesso è stato inteso come pungolo per una ricerca che altrimenti ci sarebbe stata preclusa, volta non a stabilire, quanto a delineare un quadro ipotetico di avvenimenti che hanno preceduto la comprovata fondazione dell'Abbazia cistercense ed incentrata sul fatto che la leggenda narri come la Madonna del Sacro Calice sia stata ritrovata prima che questa avvenisse, con la conseguente attestazione per la scultura di una preesistenza occultata nel territorio di Follina.
Attestazione di cui si può trovare riflesso in un passo della Vita sancti Martini di Venanzio Fortunato in cui il primo poeta cristiano, informandoci di una strada "submontana quidem castella per ardua tendens;... per Cenetam gradiens et amicos Duplavenenses, qua natale solum est mihi"(37), non solo ci indica il proprio luogo di nascita, l'odierna Valdobbiadene, ma anche una strada submontana per giungervi il cui tracciato si inscrive nella complessa rete stradale romana del Cenedese(38). Contesto viario antico in cui Follina èsempre stata malconsiderata e che nell'andare da Ceneta a Duplabilis verrebbe ad assumere un possibile ruolo centrale visto che sorge in corri-


35) Cfr. P.A. Passolunghi, op. cit., p.28.
36) cfr. infra nota 6.
37) Venanzio Fortunato, Vita sancti Martini, IV, vv.665-70, in Patr. Lat., t.LXXXVIII,
38) cfr. G. Arnosti, Per Cenetam gradiens. Appunti sulle vie della romanizzazione con
riferimento all'antico cenedese, in Il Flaminio, febbraio 1996, n.9 pp.57-1O6; per il sistema
viario della Venetia et Histria cfr. L. Bosio, G. Rosada, Le presenze insediative nell'arco
dell'alto adriatico dall'epoca romana alla nascita di Venezia, in AA.VV., Da Aquileia a
Venezia. Una mediazione tra l'Europa e Oriente dal Il secolo a.C. al Vi secolo d.C., Milano
1980, pp.5O3-563.

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spondenza di tre fonti sorgive, alla confluenza della Valle del Soligo, lungo la quale l'Alpago Novello ipotizza il tracciato della Claudia Augusta Altinate connessa alla submontana via di Lepido poi A emilia submontana proveniente da Ceneda(39), e quella Val Mareno ove non ci sembra azzardato ipotizzare se non un possibile alternativo tracciato almeno una variante parallella della submontana connessa agli antichi valichi montani del Passo S. Boldo e di Pian de le Femene e confluente a Serravalle nella Levada proveniente da Ceneda e risalente verso il Fadalto(40). Una possibile nodalità viaria per Follina che ci fa ritenere se non probante perlomento intrigante il fatto che un poeta cristiano nato nel 535 a Valdobbiadene sia l'autore dei primi componimenti celebranti i dogmi sanciti ad Efeso e Calcedonia e in cui tra l'altro la Vergine Maria viene in più passi descritta secondo la tipologia bizantina della basilissa(41) e quindi carica di gioielli così come abbiamo visto dover essere in origine anche la Madonna del Sacro Calice.
Riservandoci l'eventualità di dimostrare che Venanzio Fortunato si èispirato alla Madonna del Sacro Calice dandone prova della possibile presenza coeva a Follina(42), e non viceversa, le parole del poeta sono comunque di utilità per avanzare l'ipotesi che se deve esserci stato un momento anteriore al Mille in cui la scultura può essere stata introdotta nella penisola italiana e collocata in un contesto cultuale paleocristiano le migliori condizioni perché questo avvenisse si sono avverate in epoca giustinianea (527-565), nel periodo il cui l'Impero Romano d'Oriente compì lo sforzo di riconquistare la penisola italiana.
Ipotesi già proposta per altri oggetti di provenienza bizantina conservati nelle Venezie, che nel nostro caso può essere corroborata dalla possibilità di identificare in due personaggi omonimi gli artefici più plausibili per la traslazione della Madonna del Sacro Calice dalla Nubia all'Italia. E' infatti molto significativo che contemporaneamente alla soppressione dei culti pagani sull 'isola di Phile operata dal comandante Narsete(43) e alla successiva istituzione della religione cristiana(44) fosse presente ad Alessandria d'Egitto,


39) A. Alpago Novello, Da Altino a Maia sulla via Claudia Augusta, Milano 1972. 40 cfr.
supra nota 4.
40) cfr. supra nota 4
41) Venanzio Fortunato, In laude sanctae Mariae Virginis et matri Domini, in Miscellanea,
VIII, VII, in Patr. Lat., p.283-284.
42) Il 568 è da considerarsi quale terminus ante quem, dato che in quell'anno Venanzio
Fortunato intraprese il viaggio che lo condusse a Poitiers, dove venne ordinato vescovo e
morì; cfr. Paolo Diacono, Historia Longobardorum, lI, 13.
43) Procopio di Cesarea, op. cit., I, La guerra persiana I, pp.64-65. Cfr. Zacharia, Historia
ecclesiastica, X, 1.
44) Cfr. U. Monneret de Villard, La Nubia Medioevale, Le Caire 1935.

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ancora con le funzioni di comes erarium(45), quell'altro Narsete, che non solo aiutò il Comandante in seguito alla diserzione di cui fa cenno Procopio(46) ma che lo portò con sè in Italia quando Giustiniano lo inviò nel in aiuto al Generale Belisario. Che al proprio seguito quindi, in questa occasione o più plausibilmente, come vedremo in seguito, quando ritornò in Italia nel 551(48) come Generale in capo dell'esercito bizantino, Narsete abbia portato la Madonna del Sacro Calice è ipotizzabile anche per il fatto che le fonti lo tramandano come "piissimus"(49) nonché particolarmente devoto alla Vergine(50) e fondatore di due chiese veneziane(51).
Come poi questa scultura sia specificatamente giunta a Follina, per opera di chi, perché e in quale esatto periodo del VI secolo sono interrogativi che si intrecciano alla diffusione del cristianesimo e a quella degli insediamenti franchi, alla guerra greco-gotica, all'invasione longobarda e alla persistenza di enclavi bizantine: pagine di storia medioevale della regione pedemontana dell'exXRegio augustea della Venetia etHistria sulle quali la scoperta della Madonna del Sacro Calice potrebbe gettare maggiore luce, nfrangendola poi su se stessa, solo contestualmente alla volontà di voler ricercare le origini dell'Abbazia stessa, fugacemente apparse sia nel corso di scavi effettuati nel 1897(52) sia nel corso di lavori di restauro eseguiti nel 1920-21 nella parte absidale e presbiteriale della chiesa dalle cui testimonianze fotografiche appaiono ben visibili, pochi centimetri sotto la pavimentazione attuale, le tracce di fondazione di una chiesa triabsidata -Fig.4- riconnettibili, qualora fosse ad aula unica, alla tipologia diffusasi nell'VIII-IX secolo soprattutto lungo l'arco alpino e nella Rezia. Incertezza difficilmente risolvibile senza l'apporto di auspicate ricerche archeologiche che ci imporrebbe tuttavia di limitare la fondazione di una chiesa precedente l'attuale solo alla suddetta forbice temporale altomedioevale, se la ben maggiore antichità come luogo cultuale dell'attuale sito dell'Abbazia S. Maria di Follina non fosse non solo proprio attestato quanto verosimilmente suggerito in primis dalla presenza della Madonna del Sacro Calice, il cui arrivo è facilmente inquadrabile nel


45) Maspero, Histoire des patriarches d'Alexandrie depuis la mort de l'Empereur Anastase
jusq'a la réconciliation des Eglises Jacobites (518-616), Paris 1923, pp.43, 45, 118, 123.
46) Procopio di Cesarea, op. cit., I, La guerra persiana, I, 15, p.49.
47) ibidem, VI, La guerra gotica, lI, 13, p.476.
48) ibidem, p.720.
49) Paolo Diacono, op. cit., Il, 3; cfr. Procopio di Cesarea, op. cit., VIII, La guerra gotica IV,
p.26.
50) Cfr. P. Villari, Le invasioni barbariche in Italia, Milano 1920, p.237.
51) B. Forlati Tamaro, op. cit., p88.
52) G. Torres, Cenni Storici e Documenti sul Monastero Cistercense di Follina (Treviso),
Mestre 1900.

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Fig. 4. Tracce di fondazione di una chiesa triabsidata rinvenute durante i lavori di restauro del 1921 sotto la pavimentazione della navata centrale della chiesa dell'Abbazia di Follina (part.).

periodo giustinianeo e il cui occultamento potrebbe andare a sovrapporsi ai periodi iconoclasti (726-785, 813-843)(53), ma anche grazie ad alcuni indizi anche per l'evo antico e forse più in là ancora. Contestualmente infatti all'elaborazione dell'ipotesi circa la possibilità che l'Augusta Altinate invece di seguire il corso del Piave imboccasse la Valle del Soligo per poi risalire lungo il passo di Praderadego(54) è degno di nota sottolineare il fatto che Alpago Novello, indicando nell'attuale strada antistante il sagrato della chiesa abbaziale un tratto dell'antica strada romana, riporti anche un'informazione fornitagli dal Conte Brandolini circa l'avvenuto ritrovamento di tracce di un tempio pagano durante i lavori di restauro eseguiti nella chiesa abbaziale nel 1920-21(55).
Un'informazione alla quale l'autore ribatte sorprendentemente di non aver potuto trovare conferma, tenuto conto che, al di là della mera plausibilità

53) Cfr. AA. VV., Vedere l'invisibile. Nicea e lo statuto dell'Immagine, Palermo 1997.
54) A. Alpago Novello, op. cit., p.75
55) ibidem, p70.

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determinata dall'alta incidenza nella regione di chiese cristiane sorte su siti pagani(56), il toponimo via Pallade della strada alla quale si riferisce, delimitante l'attuale sito abbaziale a est e a nord, è da definirsi perlomeno curioso se non lo vogliamo, previa accurata ricerca catastale, emblematico di una duplice possibile antica permanenza: una riconnettibile ad un culto dedicato all'ateniese Pallade Atena ed uno cristiano sovrappostosi al precedente che confermerebbe sia il fatto che la Madonna del Sacro Calice fosse giunta in Italia nel 551 come palladium dell'esercito bizantino guidato da Narsete(57) sia che come tale venisse collocata in uno stretto giro d'anni dal suo arrivo in un sito cultuale delimitato dal toponimo in considerazione; ipotesi in via preliminare ulteriormente suffragata dalla presenza all'interno dell'Abbazia di due frammenti architettonici erranti, mai segnalat(58), di qui proposti di epoca romana: un rocco di colonna scanalata (Fig.5) ed un elemento litico con quattro fori comunicanti probabilmente facente parte di un sistema idrico. Elementi che nel loro complesso riteniamo possano essere sufficienti a completare un quadro ipotetico che farebbe convergere sull 'Abbazia S. Maria di Follina e sul sito su cui sorge i riflettori di una storia che fino ad ora siamo certi essere millenaria, ma che in seguito a perlomeno preliminari ricerche archeologiche, quali carotaggi e analisi stratigrafica degli alzati, potrebbe rivelarsi dispensatrice di altri mille. E forse più, tenendo conto che la fondazione di un tempio pagano, più che ascrivibile ai Romani, si addicerebbe ad essere contestualizzata lungo il tracciato paleoveneto di quella strada commerciale e cultuale identificata con la via di Heracles ricordata da Aristotele, lungo la quale i

Fig. 5. Rocco di colonna scanalata, Abbazia S.Maria, Follina (TV)

56) Cfr. L. Bertacchi, Il complesso basilicale: impianti romani ed edifici teodoriani, in
AA.VV., Da Aquileia..., op. cit., Architettura e mosaico, pp.183-5; id., La chiesa di S.
Giovanni e la chiesa di S. Ilario, ibidem, p.260; id., Chiesa di Piazza della Corte, ibidem,
p.297; id., Concordia. Oderzo. Treviso. Iesolo. Torcello. Cervignano, ibidem, pp.3 10-311;
id., ibidem, p.329.
57) Cfr. E. Kitzinger, il culto delle immagini L'arte bizantina dal cristianesimo alle origini
dell'Iconoclastia, Scandicci 1992, pp.39-44, 64.
58) Cfr. L. Berti, C. Boccazzi, Foglio 38 della Carta Archeologica: Conegliano, Firenze
1959; AA.VV., Carta Archeologica del Veneto, I, Modena 1988.

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templi dedicati all'eroe sorgevano in corrispondenza di sorgenti di acque termali(59); indicazione che potrebbe far pensare a Follina come ad un luogo cultuale risalente alla seconda età del ferro determinato dalla presenza remota delle fonti d'acqua tutt'ora attive(60), a cui potrebbe non essere estraneo anche un culto dedicato ad Iside, la cui vasta diffusione nell'Italia settentrionale a partire dal Il-I secolo a.C. per il tramite esercitato da Aquileia(61), oltre ad essere attestata a Zara, Trieste, Portogruaro, Verona, Padova, Treviso ed Oderzo(62), tra l'altro in connessione con il culto imperiale al quale quello isiaco venne forse associato da Commodo (180-192 d.C.)(63), si può rilevare anche tramite reperti votivi del I-Il secolo d.C. rinvenuti in una necropoli di Altino(64), la città romana da cui prendeva avvio la Claudia Augusta Altinate.


59) G. Arnosti, op. cit., p.64. Cfr. GB. Pellegrini, A.L. Prosdocimi, La lingua venetica,
Padova 1967, p.6 12; R. Chevallier, Un aspect de lapersonalité del' hercule Alpin, in Atti del
Centro studi e documentazione sull'italia romana, Milano 1975, vol.VII, pp.138-40; I.
Chirassi Colombo, Acculturazione e morfologia di culti alpini, in ibidem,p. 162-3; id., I culti
locali nelle regioni alpine, in Antichità Alto Adriatiche, Udine 1976, IX, pp.173-206; MS.
Bassignano, La religione: divinità, culti, sacerdoti, in AA.VV.,, Il Veneto nell'età romana
Verona 1987; nota 12; A. Mastrocinque, Santuari e divinità dei Paleoveneti, Padova 1987;
G. Arnosti, Reperti votivi e santuari paleoveneti nell' alto cenedese, in Il Flaminio Vittorio
Veneto 1995, n. 6 Circa l'esistenza di una direttrice commerciale greco-etrusca
nell'altoadriatico, in connessione con l'area celtica, cfr. L. Capulis, I Veneti. Società e cultura
di un popolo dell'italia preromana, Milano 1993, pp.197-218.
60) Cfr. ibidem, pp.197-7.
61) AA.W., Diffusione del culto isiaco in Italia, in Iside, op. cit., pp.289-523, in part. in A.
Giovannini, F. Maselli Scotti, Presenze egizie adAquileia: l'oggettistica minore e il culto di
Iside, pp.363-364; E. Leospo, La diffusione del culto isiaco nell'Italia settentrionale, pp.365
368.
62) ibidem, pp.365-366.
63) ibidem, p.365; G. Amosti, Monte Castellazzo. Insediamento tardo-romano altomedioevale
nella Valmareno, Quaderni del Gruppo Archeologico del Cenedese, Orsago (TV) 1986, n.6
64) ibidem, p.366; cfr. B.M. Scarfi, M. Tombolani, Altino preromana e romana, Musile di
Piave (VE),1985.
65) Plutarchus, op. cit., 9, c (trad. M. Cavalli, Milano 1985, p65).

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