Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°12 - 1999 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

Notarelle - Inediti - Documenti

GIORGIO ARNOSTI

IN MARGINE ALLA MOSTRA SU "IL TEMPO DEI LONGOBARDI"

Nel catalogo della mostra, e negli articoli promozionali sulla stampa locale, sono apparse alcune datazioni o valutazioni sui Longobardi o sul ducato di Ceneda, che non vorrei passassero come dati assodati, o peggio circolassero come atti di fede per chissà ancora quanto tempo.

L'ingressus nella Venetia.
Una prima considerazione concerne la datazione sull'ingresso dei Longobardi in Italia, vanamente discussa quantomeno dalla fine del XVII secolo. Per la critica storica e documentaria dell'episodio e relativa cronologia, si veda l'esauriente studio del Cessi, Le prime conquiste longobarde in Italia[1[, che peraltro non si trova mai citato nelle bibliografie degli ultimi vent'anni. Preliminarmente serve evidenziare che il Cessi, sulla base delle scansioni dell'intervento longobardo date dall'Origo GentisLangobardorum, combinate con l'analisi di altre fonti più o meno contemporanee agli avvenimenti, stabiliva una netta distinzione, oltre che cronologica, anche sulle modalità, fra l'ingressus dei Longobardi nella Venetia in qualità di foederati dell'Impero nella prima indizione, cioè nel 568, e l'invasio vera

1) CESSI R. 191 8, Le prime conquiste longobarde in Italia, in "Nuovo Archivio Veneto", n.s.,
69-70, pp.l03-l58).


GIORGIO ARNOSTI. Studi classici e laurea in scienze Politiche. Insegnante. È curatore e autore di numerose pubblicazioni del Gruppo Archeologico del Cenedese.

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e propria dell'Italia nella seconda indizione, nella primavera del 569(2).
L'indizione è un ciclo di quindici anni, ed il numero ordinale dell'anno dell'indizione è pari al resto ottenuto dall'anno dell'era volgare aumentato di 3, e diviso per 15. Per esempio il 568 aumentato di 3, dà 571; diviso per 15 lascia come resto 1: l'indizione I appunto (che oltretutto cadeva, per citarne alcuni, anche negli anni 553,583, e 598). L'anno indizionale iniziava generalmente col primo di Settembre. L'indizione I, citata sopra, andava perciò dal Settembre 567 all'Agosto 568; l'indizione Il dal Settembre 568 all'Agosto 569. Orbene, sulla scorta delle indicazioni cronologiche degli antichi cronisti il computo dell'anno solare dell'era volgare in base all'anno indizionale, all'anno di consolato o di postconsolato, all'anno di regno (o le loro combinazioni) è davvero problematico; e non era certamente facile neanche per i compilatori di allora.
Paolo Diacono, che scriveva nell'Vili secolo, assegnava l'ingresso dei Longobardi in Italia circa nella primavera del 568, nella prima indizione: "ne uscirono (dalla Pannonia) in Aprile, al tempo dell'indizione prima, due giorni dopo la Pasqua, (...), ed erano già trascorsi cinquecentosessantotto anni dall' incarnazione di Nostro Signore".
Il Diacono avrebbe ripreso i particolari cronologici dall'Ori go, di autore anonimo della fine del VII secolo, che così proponeva l'evento: "E lo stesso Alboino portò i Longobardi in Italia invitati dal patrizio Narsete; e Alboino
mosse dalla Pannonia nel mese di Aprile dopo la Pasqua, nella prima indizione"[3[.


2) ORIGO GENT. LAJVGOB ., 5 (in BARTOLINI., 1982, IBarbari, p.l 199, nota 13; CESSI, 1918, p129 e sparsim). Risulta infatti sempre più spesso accreditata la convinzione che i Longobardi furono davvero invitati dal patrizio, ma in qualità difoederati. Essi cioè, vennero inizialmente accolti e stanziati nella Venetia, all'interno del sistema di sicurezza organizzato da Narsete in Italia. Oltre al CESSI R., 1918, Le prime conquiste; FASOLI G., 1965, I Longobardi in Italia, p55; MOR C.G., 1980, Bizantini e Longobardi su/limite della laguna, pp.247 e segg.,. BRUEHL C.R., 1986, Storia dei Longobardi, in Magistra Barbaritas, p98. Per citarne alcuni.
3) PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, lI, 7; testo in BARTOLINI E., 1982, I Barbari, p936. Il Diacono (inH.L., Il, 10) assegnava erroneamente l'ingresso dei Longobardi e la fuga a Grado del patriarca Paolo ai tempi di papa Benedetto 1(574-78); riprendeva infatti da ANASTASIO, Benedictus, Patr. Lat., t.128, col.633-34: 'Eodem tempore gens Longobardorum invasit omnem Italiam'. Questo papa venne però eletto non prima del 573, e quindi la notizia corretta di Anastasio si riferiva in effetti all'invasio dell'Italia Centrale.

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Concorda col 568 anche il prologo di Rotan all'Editto, del 22 Nov. 643:
"Io, nel nome di Dio, Rotari, uomo eccellentissimo e diciasettesimo re dei Longobardi, nel mio ottavo anno di regno col favore di Dio, e nel mio trentottesimo anno d'età, nell'indizione II, e dall'arrivo in Italia dei Longobardi, nell'anno settantaseiesimo, da quando cioè vifurono condotti dalla potenza divina, con l'allora re Alboino mio predecessore, felicemenLa stessa data, calcolando l'anno iniziale, si ricava da due epistole di
Gregorio Magno; la prima all'imperatrice Costantina, del 1 Giugno 595, ind.XIII: "Sono già ventisette anni, da che viviamo in questa città circondati dalle spade dei Longobardi"; l'altra all'imperatore Foca, del 603, ind.VI:
"Quindi da quali spade e da quanti attacchi dei Longobardi siamo quotidianamente oppressi, già da trentacinque lunghi anni ormai, con nessuna supplica riusciamo afar pienamente comprendere"[5[.
Una controversa datazione troviamo invece nell'unico brano superstite della succincta historiola dell'abate trentino Secondo di Non, già consigliere della regina Teodolinda, dal quale Paolo Diacono riprendeva buona parte delle cronache per le Venetiae. Ecco il brano, databile, dalle indicazioni dello stesso Secondo al 580, indizione XIII[6[:
"E il suddetto anno fu bisestile, essendosi i Longobardi stanziati in
Italia da dodici anni, da che vi siano entrati nella seconda indizione, nel
mese di Maggio. (...). Io, Secondo, servo di Cristo, ho scritto queste cose nel
XV anno della mia santa conversione religiosa, nell'anno I dell'impero di
Tiberio, nel mese di Giugno, indizione XIII".
In questo passaggio corrisponderebbe la citazione dell'indizione XIII per il mese di Giugno dell'anno bisestile 580. Ma ci sarebbero delle incongruenze cronologiche. Non tornerebbe con le fonti citate sopra la datazione dell'ingresso longobardo nella Il indizione (Settembre 568 - Agosto 569); e non

4) BLUHME, 1869, Edictus, p.l; e per una più precisa datazione dell'Editto, all'art.388: "e
dal presente ventiduesimo giorno di questo mese di Novembre, nell'indizione seconda', a
p.73.
5) GREGORIO I, Epist., in Patr. Lat., t.77, rispettivamente Lib.V, md. XIII, ep. 21, col.749;
e Lib.XIII, md. VI, ep. 38, col.1288. Cfr. CESSI, 1918, p.l36.
6) TROYA C., 1852, Cod. Dipl. Long., in St. d'lt. del M.E., vol.IV, NA, nr.8, pp.2i-24; e nota
cronologica a p. 22, 23.

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quadra il riferimento all'anno I di Tiberio (imperatore dal 5Ottobre del 578), che nel Giugno della XIII indizione (a. 580) era eventualmente il Il. Tiberio infatti fu consacrato imperatore ai primi di Ottobre del 578, e quindi il 'Tiberii an. I' durava dall'Ottobre del 578 a i primi di Ottobre del 579.
Per queste anomale indicazioni cronologiche, ove non siano dovute ad errori di copiatura degli amanuensi nei secoli, sembra che Secondo abbia seguito annotazioni indizionali da Mario Aventicense, un cronista di Losanna della fine del VI secolo. Questi correttamente annotava il decesso di Giustino IL sotto il XIII anno di consolato dello stesso Giustino (dal Nov. 577 al 578; avendo questi assunto l'impero nel Novembre inoltrato del 565), nella XII indizione (che andava da Sett. 578 ad Ago. 579): 'Anno XIII cons. Justini jun. Aug., md. xii. Eo anno mortuus est JustinusAugustus' [7[ Sempre Mario con quest'altra annotazione, 'Anno I cons. Tiberii Constantini Augusti, ind. XIII. Eo anno, mense Octobre, ita in Vallensi territorio Rhodanus exundavit, ...; et intra Italiam itafluvii exundaverunt' , assegnando l' alluvione del Rodano in Gallia e di altri fiumi in Italia, all'Ottobre del I anno dì consolato di Tiberio (da Ott. 578 ai primi di Ott. 579), nell'indizione XIII (Sett. 579 - Ago. 580); congruamente datava l'evento ai primi di Ottobre del 579.
Secondo di Non, che forse riprendeva acriticamente da Mario la formula 'An. I Tiberii,XIII ind..' , erravaneli 'assegnare il mese di Giugno dell'indizione XIII al I anno di Tiberio, che era però il Il (da Ott. 579 a Ott. 580), come si diceva.
Quanto all'occupazione longobarda d'Italia, così Mario annotava: "Nel III annodi consolato di Giustino Il Augusto, indizione Il. Indetto anno il re dei Longobardi Alboino, lasciata la Pannonia, sua patria, dopo averla incendiata, con tutto l'esercito, con le mogli, ovvero con tutto il suo popolo, occupò l'italia" [8[

7) Sul computo degli annidi Giustino e dell'indizione vedi Dissertatio chron.-hist. de aetate Petri Senioris, Il e III, in AGNELLO RAV., Patr. Lat., t. 106, col.625, B-C; e col.627, A-B. 8) MARIO AVENTICENSE, Chronicon, Patr. Lat., t.72, col.799, e CESSI, 1918, Prime conquiste, p. 105. Mario raggruppava sotto lo stesso anno l'ingressus nella Venetia, l'invasio in Italia e l'attacco alla Gallia, che in altri cronisti sono distribuiti sotto anni diversi; ciò confermerebbe che nella periodizzazione dell'Aventicense qualcosa non quadra perfettamente.

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In base al calcolo del III anno di consolato di Giustino (dal Nov. 567 al Nov. 568), e della Il indizione (dal Settembre del 568 all'Agosto del 569), l'evento risulterebbe improbabilmente databile tra Settembre e Novembre del 568.
Sembrerebbe dargli ragione Agnello, il tardo cronista ravennate delLiber pontificalis Ravenn., del IX secolo: "Questi (il vescovo Pietro)fu consacrato in Roma nella Il indizione, il XVII giorno prima delle Calende di Ottobre, (...). Quell'anno la Venezia venne invasa ed occupata dai Longobardi; e senza alcuna battaglia i militi imperiali furono cacciati"[9[.
Se il vescovo Pietro fu consacrato il 15 di Settembre nella Il indizione, siamo ancora nell'annus Domini 568; ed in quello stesso IL anno indizionale (tra Settembre 568 e Agosto 569) i Longobardi sarebbero entrati nella Venetia (ma in quale mese?).
Queste indicazioni di Mario e di Agnello collimerebbero con l'anonimo dell' Origo quando questi assegna 1' invasio d'Italia alla Il indizione: "nella seconda indizione cominciarono a predare in Italia". Ma sempre 1'Origo aveva annotato sotto l'anno indizionale precedente 1' ingressus in Italia su invito di Narsete, alla primavera della prima indizione (a. 568); e qui torna a proposito la distinzione che fa il succitato Cessi fra l'ingresso nella Venezia del 568, e l'attacco alla Penisola nell'anno successivo.
Infine, se teniamo per buone le sole indicazioni di Secondo che riguardano il computo dell'indizione XIII al 580, e i dodici anni di permanenza in Italia dei Longobardi a quella data, come egli annota, si ritorna ancora concordemente con Gregorio Magno, con l'Editto di Rotari, con l'Origo, e con Paolo Diacono (che conoscendo queste fonti aveva sicuramente fatto bene i suoi conti), all'attestazione dell'ingresso dei Longobardi nella Venetia al 568.
Altri pensano al 569.

Sul ducato di Ceneda.
Ceneda, che era stata la più munita piazzaforte prealpina tra Tagliamento e Adige nelle fasi finali e negli strascichi della guerra gotica, come attesta

9) AGNELLO, Vita Petri Senioris (568-575), capIi, cit., col.635, D.

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Agathias - 'Cenetam Urbem suae tum ditionis incoluere'[10[ - molto probabilmente rimase con Narsete il fulcro del tractus limitaneo nelle Prealpi Venete centro-orientali. L'importanza strategica del castrum derivava dalla sua collocazione nell 'epicentro del settore da cui si poteva controllare agevolmente, con un'imponente rete di castella, tutto il sistema viario del Veneto centrale. Nel senso dei paralleli, il sistema di vie pedemontane, dal Tagliamento al Brenta, cioè la "Submontana", la Postoima de Campo Mollo, la Postoima-Ungarica e la Schiavonesca. Nel senso dei meridiani, gli sbocchi in pianura dei due grandi itinerari alpini in collegamento con la Rezia e col Norico: la "Claudia Augusta Altinate" o la Opitergio - Tridento, nel tratto dal medio corso del Piave all'alta valle del Brenta; e l'altra via dal Livenza per il Fadalto al Cadore, lungo il medio e l'alto corso del Piave (la medievale via regia, e Strada di Allemagna nel '700).
Dopo l'annientamento degli Eruli, sistemati da Narsete a presidio della Pedemontana Veneta, ma che si erano ribellati, qui vennero chiamati a guarnigione i Longobardi. Il Cenitense castrum continuò con loro ad essere il baricentro politico-militare del settore, e la piazzaforte sarebbe stata rilevata fin dai primi momenti dell'inserimento di Alboino nel limes della Venetia, ed i dati archeologici e toponomastici concordano su un immediato acquartieramento longobardo.
Ceneda fu sede di distrettuazione militare o di ducato. Con tale attribuzione, la città compare abbastanza tardi nelle fonti storiche e documentarie e queste tarde testimonianze portavano alcuni a far risalire la fondazione del ducato cenedese con certezza solo ai primi decenni del VII secolo[11[. Intanto si constata che nel racconto di Paolo Diacono tutti gli avvenimenti del ducato di Forum lulii fin dagli inizi risultano circoscritti entro ambiti che vanno dalle Alpi Giulio-Carniche fino alla sinistra idrografica del Tagliamento. In questo senso si esprime il Cessi, e tale constatazione aleggia pure nel Brozzi quando scrive che la particolare situazione pedologica del

10) AGATHIAS, De bello Gotthorum et aliis pere grinis histor. temp. suorum (...), Aug.
Vindel., 1519, lib. 11,3 (BERNARDI J., 1845, La Civica Aula Cenedese, rist. 1976, p99- 100).
11) PELLEGRINI F., 1870, Ricerche sulle condizioni di Belluno e della provincia fino al
secolo X e specialmente del vescovo Giovanni (963-999), BL; PELLEGRINI G., Origini,
1882; ANDRICH G.L, 1899, p.31; VITALA., 1936; GASPARRI, 1978,1 duchi longobardi,
p26; e CUSCITO G., 1983, pp.79- 107.

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la destra Tagliamento "consigliava di attestare al di qua (sulla sinistra idrografica) del fiume Tagliamento - da Ragogna a Codroipo - i presidi militari e le fare" del ducato forogiuliano"[12[. Da evidenziare ancora che già da Venanzio Fortunato, ed è importantissima la sua testimonianza, il Tagliamento veniva sentito come tradizionale confine tra due diversi ambiti geo-politici, ed il nostro poeta doveva trarre spunto ovviamente dalla constatazione delle distrettuazioni esistenti ai suoi tempi[13[:
"...da questo fiume in poi ci sono le terre dei Veneti...".
Effettivamente l'imprevedibile fiume Tagliamento, con i frequenti periodi di piena di quegli anni e spesso inguadabile, doveva costituire un buon baluardo dal punto di vista strategico, per cui fu giocoforza ab antiquo organizzare i territori rivieraschi in due diversi ambiti giurisdizionali o di intervento.
Naturalmente il precoce ducato longobardo a Ceneda si spiega con la considerazione, ancora una volta, dell'intrinseca valenza strategica del settore, forse, fino alla metà del VII secolo, addirittura più rilevante di quella di Forum lulii. Ciò, malgrado la carente documentazione archeologica e storica, sarebbe dimostrato dal fatto che nella prouincia cenedese si constata in assoluto la maggiore concentrazione difarae registrata in Italia; e si sa che le fare sono indizio di precoce insediamento longobardo, e che sullefare si incentrava il loro originario sistema strategico[14[.
Era sicuramente fondamentale la funzione anti-franca del tractus prealpino cenedese, a controllo degli sbocchi in pianura di due grandi percorsi alpini dalla Rezia e dal Norico. A ciò si aggiunga che non meno determinante doveva essere il presidio dei collegamenti viari sulla Pedemontana con finalità antiromaica, in seguito al mutamento delle prospettive politiche di Alboino, sortite con l'invasio del 569. Se infine constatiamo che da parte bizantina, si organizzò nella dirimpettaia Oderzo non solo un forte caposaldo

12) CESSI R., 1978, Concordia dal Medioevo al dominio veneziano, in AA.VV., 1978,
IULIA CONCORDIA, TV, p.27O e n.9. BROZZI M., 1981,11 ducato longobardo del Friuli,
p.1 5.
13) VENANZIO FORTUNATO, Vita S.cti Mart., IV, vv.655-656.
14) La decina difarae in ARNOSTI, 1995, Appunti su/Ducato Longobardo di Ceneda, p.2225; non vi veniva elencata lafara di Cavolano, mentre erroneamente si inseriva B.go Fara di
Azzano Decimo, per B.go Facca, su suggestione di BROZZI M., 1981, Ducato, p.l 5, nota 11.

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in funzione antilongobarda, ma anche la sede del magister militum con giurisdizione su tutti i territori imperiali della "Venetia maritima", o meglio della Secunda Venetia, non c'è alcun dubbio che anche in Ceneda s'era imposta di necessità l'immediata presenza di una base operativa longobarda e di un autonomo potere decisionale quale quello di un dux. Così ritengono la Fasoli, il Brozzi ed il Mor.
E vale la pena ora chiudere l'argomento, con le parole sempre del Mor sull'origine del ducato di Ceneda:
"e quando qualche secolo dopo, nei diplomi di Berengario I si ritrovano menzionate corti regie accanto a corti ducali, è chiaro che ci si rifà ad una distinzione che non può risalire se non alla fine del VI secolo, cioè al primo insediamento longobardo, e direi senza ombra di dubbio al momento alboiniano".

Sul ducato di Treviso.
Intanto dalle fonti non si ha notizia di quando Treviso sia passata in mano longobarda, ma il Brozzi ipotizzava che un ducato longobardo vi venisse istituito contemporaneamente a quello di Ceneda[15[. Non sembra però che ai tempi di Alboino la città rivestisse un qualche interesse strategico per il controllo dei percorsi su per il Brenta e sul pedemonte asolano, dai quali era oltretutto separata dalla fascia di terre umide della linea delle risorgive, circa all'altezza dell'antica via Postumia. A ciò si aggiunga, per il territorio tarvisiano ristretto, la mancanza dei significativi toponimi fara, che per ragionevole ipotesi sono stati riferiti al primissimo inserimento dei Longobardi.
Treviso fu appunto lasciata indisturbata; e quando il suo vescovo Felice, si fece deferentemente incontro ad Alboino al Piave, il presule ottenne dal re un pragmaticum con la conferma delle prerogative della sua Chiesa. Cioè, molto probabilmente, nella sua funzione civica di defensor, Felice patteggiò per la città e riuscì ad ottenere l'esenzione - 'ut (Alboin) erat largissimus' o la riduzione degli oneri di approvvigionamento (le tertiae) per le nuove

15) BROZZI M., 1978, Appunti per una storia dei ducati longobardi di Ceneda e Treviso, p.26. Treviso non risulta nell'elenco delle città venete conquistate in PD., 11,14; nè, anche se poco significativo, un suo duca compare nell'elenco in PD., Il, 32.

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milizie confinarie, acquartierate sulla Pedemontana[16[.
Qui si tenderebbe ad escludere un'occupazione della città, anche dopo la rivolta di Alboino contro l'Impero. Un labile indizio che Treviso rientrasse ancora in ambito imperiale, indicativamente fino a poco prima del 579, potrebbe essere la constatazione che all'epoca della ristrutturazione delle chiese di Santa Maria delle Grazie e di Sant'Eufemia a Grado (consacrata il 3 novembre del 579), fra i donatori di lacerti musivi, compaiono il primicerio Zimarco, ed i milites Lorenzo e Stefano del numerus Tarvisiano[17[. Questi oblatori attesterebbero l'esistenza di un contingente romaico, con milizia di regolare arruolamento trevigiano, ancora in organico una decina d'anni dopo il primo inserimento longobardo nella Venezia.
Quando poi il vescovo Felice di Treviso, al sinodo tricapitolino di Marano del 590-91, sottoscrive assieme ad altri presuli della Venezia una supplica per l'imperatore Maurizio, egli si dichiara residente in terra longobarda; e alla fine del VI secolo viene appunto ricordato dal Diacono il duca ribelle Ulfari, assediato e catturato da re Agilulfo aput Tarvisium[18[.

Il Brozzi assegnava 1' asolano alla competenza del ducato tarvisiano[19[. Si suppone invece che i territori pedemontani di Asolo, dalla destra del Piave fino alla Valle Solagna sul Brenta, con l'incrocio fra la Schiavonesca e la via che lungo il Brenta saliva verso la Valsugana, dipendessero invece dal ducato di Ceneda. Così si ricava dallo Schneider, sulla base del documento di Berengario del 915, che indicava nella vallis nuncupata Solana la

16) PD., Il, 12. Con una constitutio del 530, ribadita in una novella del 545, Giustiniano pose
i vescovi a capo dell'amministrazione finanziaria della città, e in particolare affidò loro il
controllo delle spese per i lavori pubblici (RAVEGNANI G., 1983, Castelli e città fortificate
nel VI secolo, p.8l e nota 54). Con la Fra gmatica sanctio del 554, ai vescovi veniva
riconosciuta la qualità di pubblici ufficiali, tra cui l'importante funzione di defensores (PEPE,
ed. 1973,1/medioevo barbarico, p. 106). Il defensor era determinante per quel che riguardava
la distribuzione degli oneri tributari e gli sgravi fiscali (BESTA, 1950, St.Diritto It., pp.15455; pp.2l3-2l6).
17) SPAGNOLO E., 1982, Evangelizzazione, p.31; BRUSIN G., 1958, Aquileia e Grado, in
Storia di Venezia, vol.II, p.S32). CESSI, 1940, Docum., n.4, p.'7.
18) CESSI, 1940, Docum, n. 8, p19. P.D., IV, 3.
19) BROZZI, 1978, Appunti, p25.

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convergenza dei confini dei comitati franchi di Trento e di Ceneda[20[, confini sicuramente ereditati dai rispettivi ducati longobardi. E' certamente vero che sempre nella donazione di Berengario, alcune vie di diritto regio poste più a Sud della Valle erano di pertinenza del comitato tarvisino, ma questa espansione a nord della Postumia, oltre la linea delle risorgive, e nell 'Asolano, sarebbe eventualmente da attribuire alla tarda età longobarda o anche a quella carolingia[21[. Asolo, già sede di diocesi a partire dal VI secolo (presumibilmente impostata entro gli ambiti di una sotto-distrettuazione romaica poi longobarda), decadde fortemente in età post-longobarda, tanto che nel X secolo il suo territorio venne smembrato. Col succitato documento di Berengario del 915 parte dell'Asolano sul Brenta venne assegnato al vescovo di Padova; e nel 969 il castello con la chiesa di Santa Maria "già sede di episcopato" ,con tutte le sue dipendenze ecclesiastiche e pertinenze venne donata da Ottone I al vescovo di Treviso[22[.

La "terminatio liutprandina" ed il duca cenedese Paulicio.
In seguito agli avvenimenti della crisi iconoclasta in Italia (a partire dal 726), coerentemente con l'esordio in forze dei Venetici nello scenario delle lotte in Italia (la liberazione di Ravenna dai Longobardi, nel 734), e con la loro dimostrazione sia di capacità operativa che di autonoma volontà decisionale (si erano eletti temporaneamente un dux, nel 727), i Longobardi stipulavano un accordo di confinazione con i vicini Eracleani.
Degli atti originari non c'è più traccia, ma gli statuti della terminatio furono richiamati nell'840, un secolo dopo la prima stipula, nell'art.26 del pactum Lotharii[23[:

20) SCHNEIDER, 1980, Origini dei Comuni Rurali in Italia, p.l 33: "qui le arimannie della
Vailis Solana del ducato di Ceneda proseguono ..". Il doc. del 915, in SCHIAPARELLI,
Dipl.Ber., 1903, CI, p.265; LOTTI, Series Episc. Cenet., ms., Bibl. Sem., Vitt. V.to, doc.V.
21) Per ipotesi ai tempi dire Desiderio quando la città forse assunse una particolare valenza
giuridica che le avvalse il diritto di avere una 'monita puplica' (infra).
22) M.G.H., Dipl.Ottonis I, doc.378, del 10 Ago. 969, pp.5 18-20. Il possesso del castello di
Asolo venne confermato al vescovo Rozo con un diploma di Ottone III, del 991 (M.G.H.,
Dipl.Ottonis III, doc.69, del 18 Apr. 991, pp.476-77), e con un altro del 996 (M.G.H.,
Dipl.Ottonis III, doc.225, del 5 Ago. 996, p.639).
23) CESSI, 1940, Docum., I, doc. n.55, p.lO7 (cfr. CARILE, 1978, p.226).

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"Riguardo ai confini di Cittanova, stabiliamo che la confinazione così comefufattafin dal tempo dire Liutprando tra il duca Paulicio e il magister militum Marcello, tale e quale debba rimanere, secondo quanto a voi Civitatini Novi concesse Astolfo".
La "terminatio Liutprandina" risulta un passaggio cruciale nell'evoluzione della Venetia Secunda da provincia bizantina a stato sovrano, e si ritrova evidenziata in tutte le antiche cronache venetiche. Nel Chronicon Venetum di Giovanni Diacono, dell'XI secolo, il patto confmario risulta concordato dallo stesso Paulicio direttamente con re Liutprando:
"Infatti (Paulicio) rafforzò un vincolo dipace duratura col re Liutprando, dal quale riuscì ad ottenere gli statuti del patto, che ancora oggi permangono tra il popolo dei Venetici e quello dei Longobardi. Egli stabilì con lo stesso re in particolare i confini di Cittanova, che sono fino ad oggi posseduti dai Venetici, ovverosia dal Piave maggiore, lungo il quale i luoghi segnati a confine si possono distinguere, fino alla Piavesella"[24[.
Quanto a Paulicio, indicato da Giovanni come primo duca venetico, la sua figura di primo doge di Venezia dovrebbe però essere espunta dal catalogo ducale, a parere del Cessi. A questo eminente storico, il Paoluccio appariva piuttosto come un esarca ravennate, o il duca della Venetia et Histria, cioè della eparchìa Istrìas sotto controllo imperiale[25[. Assodato però che la terminatio definiva vertenze confinarie tra Longobardi e Venetici nella zona di Cittanova Eracliana; e che, col beneplacito di re Liutprando, il patto era stato sicuramente stipulato tra un duca longobardo ed un magister militum della provincia bizantina, il Bognetti, d'accordo col Kohlschuetter, riteneva che Paulucio fosse appunto un duca longobardo, ma erroneamente lo assegnava a Treviso[26[.
Partendo da queste considerazioni, è certo invece che Paulicio era duca a Ceneda, e l'argomento decisivo deriva dalla constatazione che la terminatio stabiliva i confini tra i territori della provintia venetica e quelli della


24) Cfr. GIOVANNI DIAC., Chronicon Ven., P.L., t.139, col.892.
25) CESSI, 1958, Politica, Economia, Religione, in Storia di Venezia, Il, pp.7l-72 (cfr.
CESSI, 1951 ,Le origini del ducato veneziano, NA, p. 156). Al riguardo anche CARILE, 1978,
p.226-2'7.
26) BOGNETTI G.P., Natura,polltica e religioni nelle origini di Venezia, IV, p.523; IDEM,
Il contributo dell'archeologia alla critica delle più antiche leggende su Venezia, in L'età
longobarda, IV, p.256.

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iudiciaria cenedes[27[. Per l'appunto, quando all 'art. 28 del pactum Lotharii vengono ribaditi i confini, già definiti un secolo avanti dalle due parti in causa rappresentate da Paulicio e da Marcello, la conf inazione viene segnata "dal Piave maggiore fino alla Piave secca"[28[:
"(Stabiliamo che) le greggi delle vostre parti si debbano con sicurezza far pascolare fino al confine, che il duca Paulicio aveva fissato coi Civitatini Novi, come si legge nel patto, dal Piave maggiore fino alla Piave secca, che è confine e proprietà vostra".
Ed i confini citati sono proprio i limiti meridionali del ducato longobardo di Ceneda, che furono ricalcati dal comitatus franco. Ne abbiamo conferma da due carte del X secolo, quando, ai tempi del doge Pietro Orseolo Il, la zona venne rivendicata dai Venetici in contrasto col vescovo Giovanni di Belluno.
Uno dei placiti che definirono la contesa si siglò a Staffolo 'in comitato cenetensi in loco qui dicitur Staphylo', che proprio nel nome di origine longobarda ricorda un segnacolo confinano. La linea di confine tra i due contendenti, ribadita nel documento del 3 Maggio del 998, si rifà ancora esplicitamente alla terminatio dei tempi di Liutprando e riprende perfettamente quella dell'art.28 del pactum Lothari:
"... posti questi beni nel Comitato Cenedese secondo la confinazione, che fu fatta ai tempi di Liutprando, per cui furono definiti i confini di Cittanova, che vanno dal Piave Maggiore, dovefufatto un argine, che viene detto 'Formiclino' (Fiumicino), che costeggia il 'Plagione' (Piavon), e ci sono tre cumulifatti dalla mano dell'uomo, in modo che si possa vedere bene la stessa confi nazione; quindi passa nell'altra riva del Piavon che scorre davanti a 'Aysolla' fino alla fossa 'Lucanica' e va a terminare nella Piavesella, che scende da Oderzo"[29[.
Ciò pure esclude perentoriamente la valutazione, forse sfuggita nel catalogo della mostra, che il ducato longobardo di Treviso potesse avere i suoi confini sul Livenza!


27) ARNOSTI G:, 1995, Appunti sul Ducato Longobardo di Ceneda, in Atti III Conv.
'Castelli tra Piave e Livenza', pp.27-28.
28) CESSI, 1940, Docum., n.55, pp.107.
29) PELLEGRINI, Ricerche, cit., docIlI, p.50: '.. positis ipsis rebus in comitatu cenetensi de terminatione, quae facta est tempore Liutprandi regis (cfr. CESSI, Doc. Il, n.82). La confinazione 'in comitatu cenetensi' , pressoché con le stesse parole, viene ripetuta nel doc. del 18 Luglio 998 con cui Ottone, duca di Carinzia, sentenzia a favore dei Venetici (PELLEGRINI, Ricerche, cit., doc.IV, p54).

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