Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°12 - 1999 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
MAURO DE OSTI - DINO MASETTO

CAPITELLI VERDI NELLA COMUNITÀ MONTANA DELLE PREALPI TRE VIGIANE E IN PROVINCIA DI TREVISO


Per non disperdere conoscenze e valenze culturali che aiutano a comprendere la storia delle nostre zone e che permettono la loro valorizzazione, sta assumendo sempre maggiore importanza la tutela delle tradizioni popolari. Gli alberi sacri, decorati con icone mariane, da nicchie di santi e crocifissi, arricchiti da tanti altri segni della religiosità popolare, sono stati e costituiscono elemento caratterizzante del paesaggio naturale, divenendo in situazioni ad elevata antropizzazione ultimi "relitti" testimoni dell'antica ruralità del territorio della Marca Trevigiana. Spesso, infatti, questi "verdi capitelli" sopravvivono a disboscamenti, malattie ed inurbazioni, grazie alla cura, all'attaccamento, alla devozione dei fedeli che abitano vicino ad essi. In quest'ottica, per dar continuazione ad un'idea del Presidente della Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane Gianantonio Geronazzo, è iniziato nel valdobbiadenese (successivamente esteso a tutta la Provincia da parte dell'Associazione Dottori in Agraria e Forestali) un lavoro di censimento e un primo progetto di salvaguardia e recupero di questi capitelli mettendoli all'attenzione della gente prima che l'incuria e la disattenzione li abbandonino irrimediabilmente al loro destino.


MAURO DE OSTI. Dottore Forestale, dipendente regionale presso la Direzione Foreste ed Economia Montana - Servizio Forestale Regionale di Treviso.
DINO MASETTO. Agronomo, consigliere Associazione Provinciale Dottori in Agraria e Forestali

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Magia e mitologia dell'albero sacro

Uno dei temi simbolici più diffusi nella mitologia classica ma anche tra i popoli primitivi dell'America e dell'Asia è sicuramente l'albero. Simbolo di vita in continua evoluzione, in ascensione verso il cielo, evoca con grande forza il simbolismo della verticalità. L'albero mette anche in comunicazione i tre livelli del cosmo: quello sotterraneo, per le radici che scavano le profondità in cui affondano; la superficie della terra, per il tronco ed i primi rami; e i cieli, per i rami superiori e la cima attirati dalla luce del sole. Esso riunisce tutti gli elementi: l'acqua circola con la linfa, la terra si integra al suo corpo attraverso le radici, l'aria nutre le sue foglie, il fuoco si sprigiona dal legno se lo si strofina.
Si incontrano alberi sacri nella storia di tutte le religioni, nelle tradizioni popolari del mondo intero; mai, comunque, un albero viene adorato unicamente per se stesso ma sempre per quel che si rivela per suo mezzo, per quel che l'albero implica e significa. Esso porta frutti e perciò viene visto come segno di fertilità, di abbondanza e di vita; con la sua rigenerazione periodica (soprattutto le latifoglie), evoca un ciclo, manifesta la potenza sacra nell'ordine della vita.
La Bibbia, gli autori medievali si richiamano spesso alla simbolicità dell'albero, ma anche al di fuori del mondo cristiano e prima della venuta di Cristo troviamo continui riferimenti al culto dell'albero sacro.
Alla divinità principale dei Paleoveneti, Raetia, erano offerti doni e bronzetti che venivano appesi agli alberi.
Nelle maggiori città dell'Impero romano, in prossimità degli incroci esistevano edicole sacre (compitum - evidente l'assonanza con capitello) per il culto dei Lares, divinità protettrici di un luogo, rappresentate dall'immagine di due giovani accompagnati da un cane. Altre testimonianze dell'uso dell'albero quale ricovero di immagini pagane sono riscontrabili in Plinio. L'arrivo del cristianesimo portò alla sostituzione dei simboli pagani con immagini della vergine e dei Santi, ma non veniva meno la funzione di sacralità dell'albero, che rappresentava per la gente del luogo la presenza benefica della divinità stessa, posta a proteggere il contadino da ogni avversità.
L'immagine raffigurata aveva sulle grandi masse una presa immediata:
essa era in grado di diventare uno strumento didattico di diffusione del cristianesimo, alternativo e più efficace della predicazione orale, dell'istituzione di scuole o dell'assunzione diretta del potere da parte delle gerarchie ecclesiastiche.

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Alberi sacri e rogazioni nel trevigiano

Tracciare una storia degli alberi sacri nella tradizione cristiana è quasi impossibile, se non addirittura proibitivo, poiché non esiste una documentazione archivistica sull'argomento. Le fonti scritte su capitelli e alberi sacri sono scarse perché non benedetti dal Vescovo e quindi non censiti negli inventari dei beni ecclesiali. C'era probabilmente da parte della Chiesa il timore che sulle forme ufficiali del culto liturgico prendessero il sopravvento pratiche religiose che sfociavano nel magico e nella superstizione. Ciò non significa che l'esistenza dei capitelli verdi fosse limitata: anzi, la lunga tradizione orale, iconografica e la datazione di alcuni alberi ci confermano il contrario.
Le misere condizioni di vita spingevano a cercare soccorso nell'aiuto soprannaturale, in Dio certamente, ma più ancora nei santi, presenze più accessibili e consolatrici.
Il santo a cui sono dedicati la maggior parte degli alberi sacri è S. Antonio da Padova, da otto secoli invocato dal culto popolare come "taumaturgo". Accanto a S. Antonio, la figura più invocata nel Trevigiano è la Vergine, onorata sotto diversi titoli: delle Grazie, della Salute, di Lourdes, di Pompei, del Carmelo, del Covolo in Crespano del Grappa (invocata fino dal 12° secolo), del Caravaggio, delle Vittorie (originaria dell' Ungheria, è la patrona di Maserada sul Piave).
Le pratiche devozionali si succedevano numerose durante tutto l'anno con novene, tridui, processioni, digiuni e penitenze. Tra le manifestazioni più tipiche della Pietà popolare contadina trevigiana, sopravvissute fino agli anni '60, ricordiamo le Rogazioni; consistevano in processioni, accompagnate da preghiere propiziatorie, praticate dal 25 aprile (S. Marco) e nei tre giorni precedenti la festa dell'Ascensione (il giovedì, 40 giorni dopo Pasqua) e prevedevano un percorso a tappe lungo i confini della parrocchia in aperta campagna. I cortei si fermavano davanti ai capitelli, agli alberi sacri, alle croci e in corrispondenza di altari allestiti per l'occasione. Il parroco benedicendo invocava il Signore: "Afulgure et tempestate, apeste,fame et bello..." ed otteneva la corale supplica "Libera nos, Domine", e poi "Ut fructus terrae dare et conservare digneris...", "Te rogamus, audi nos!". Le rogazioni rappresentavano la preghiera del contadino contro i malanni del tempo e contro le calamità che potevano attaccare il bestiame e i prodotti della campagna, in particolare la grandine, la siccità, ma anche le malattie delle piante coltivate. Ancor oggi gli anziani ricordano che davanti agli alberi sacri e alle edicole venivano allestiti degli altari per le preghiere o per le messe durante il percorso rogatorio, e si invocava con particolare devozione la Madonna o il Santo a cui l'albero era dedicato. L'albero diveniva quindi tappa obbligata di un cammino spirituale che si concludeva nella chiesa parrocchiale. Significativa la ricerca effettuata dalla parrocchia di Caerano San Marco nel 1996, che ha pubblicato l'elenco delle località toccate dal tragitto delle tre giornate di rogazioni e delle case dove veniva predisposto un altarino chiamato "carega" perché veniva preparato con una sedia addobbata con il copriletto della famiglia, sulla quale venivano deposte le offerte al sacerdote con generi della campagna (uova, salami, asparagi...). Anche il Gruppo Ricerca Storica del collegio Astori di Mogliano Veneto ha pubblicato, nel 1986, gli itinerari delle rogazioni predisposti nelle parrocchie di quel Comune.

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Primi risultati del progetto di recupero e del censimento svolto in provincia di Treviso

Il progetto che ha interessato il territorio della Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane, in seguito esteso a tutto il territorio provinciale da parte dell'Associazione Dottori in Agraria e Forestali, ha avuto lo scopo di individuare in modo puntuale i "capitelli verdi" identificando dove possibile anche quelle piante che un tempo ospitavano immagini sacre. Attraverso la compilazione di un'apposita scheda sono stati rilevati gli aspetti topografici (ubicazione), botanici (specie), dendrometrici (diametro, altezza, ecc.), fitosanitari e religiosi (immagine sacra ospitata, eventuali iscrizioni, collocazione dell'edicola) di tutti gli alberi sacri individuati.
Si tratta di piante, situate il più delle volte in corrispondenza di crocicchi campestri, sentieri montani o al centro di contrade, che ospitano un'immagine sacra, spesso custodita in un'edicola (capannetta lignea molte volte chiusa frontalmente da un vetro), dedicata alla Sacra Famiglia, alla Madonna o a un Santo. Fissati ad un'altezza visibile all'occhio umano, i quadri, le immagini, le icone di origine orientale o le statuette sono protetti da una nicchia formata con le stesse fronde degli alberi. Altra tipologia è rappresentata da alberi che ospitano immagini come ex voto o come gratitudine per grazie ricevute o per scampato pericolo di disgrazie, o di morte, evitato invocando i Santi. Nelle zone montane e sul Montello, inoltre, restano alberi sacri in prossimità dei luoghi di lavoro dove si sfalciavano pendii pericolosi, si battevano le castagne (bacchiatura) rischiando la vita per cadute dalle chiome, si scavava nelle cave in pendio, si lavorava faticosamente nei boschi.
Fino ad oggi sono stati censiti nella provincia di Treviso 220 capitelli verdi dislocati in 58 comuni; nel territorio della Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane sono stati rinvenuti 32 alberi sacri di cui 16 nel Comune di Valdobbiadene. Le immagini sacre più frequenti, la Madonna (116), 5. Antonio da Padova (56), Crocifisso (16) e la Sacra Famiglia (14).
Le specie arboree maggiormente rappresentate sono naturalmente quelle in grado di formare chiome dense e serrate e sopportare potature intense. Tra queste la migliore, e per questo la più diffusa, è il Carpino bianco (Carpinus betulus L.). Questa specie, dotata di notevole capacità pollonifera, produce virgulti cedevoli e flessibili che, intrecciati, consentono di costruire bellissime siepi, spalliere, viali e naturalmente capitelli verdi (foto n. 1). Le immagini sacre all'interno delle nicchie sapientemente ricavate con accorte potature di diradamento e selezione dei ricacci, rimangono protette per tutto

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Foto n. l: Capitello verde in loc. Roccolo a San Pietro di Barbozza (Valdobbiadene). Da notare come la chioma del Carpino bianco (Carpinus hetulus L.) siplasmi ed assecondi la volontà del potatore. I rami si anastomizzano e formano nicchie idonee alla collocazione delle immagini sacre.

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l'anno; le foglie del Carpino, infatti, rimangono tenacemente attaccate alla chioma per tutto il periodo autunnale ed invernale, cadendo al suolo solamente in primavera quando le gemme emettono la nuova vegetazione. Oltre che per questa peculiarità, la diffusione ditale specie è dovuta ad una sua grande "flessibilità ecologica": pur essendo specie tipica delle zone submontane e montane (si spinge fino a 1.000 m di quota) può occupare anche zone di pianura, preferendo naturalmente terreni freschi e ricchi di humus. In Veneto allo stato naturale troviamo il Carpino nella fascia collinare, in suoli relativamente evoluti laddove vi siano ambienti freschi e con buon apporto di energia termica, associato con carpino nero (Ostrya carpinifolia), orniello (Fraxinus ornus) e quercia (Quercus sp.). In pianura il Carpino è uno dei componenti principali della foresta planiziale, un tempo diffusa su tutta l'area ed oggi ridotta a pochi lembi di ridottissima estensione.
Riportiamo di seguito un grafico con evidenziate le piante maggiormente utilizzate come capitello verde (in totale sono state rinvenute 28 specie arboree ed arbustive diverse):

In alcuni casi l'attaccamento alla tradizione (devozione) ha portato alla sostituzione delle piante morte con pali di legno o con specie che un tempo non facevano parte della tipica flora arborea trevigiana. È il caso delle numerose Robinie (17), del Cedro(1), dellaThuja (1), del Glicine (2)o della Catalpa (1); si tratta di essenze ornamentali introdotte nella nostra regione in tempi più o meno recenti e che hanno trovato grande diffusione in parchi e giardini. Con il passare degli anni si è sempre più ridotta la perizia nel modellare le giovani chiome e potare quelle adulte ed è venuta meno anche quella sensibilità "ecologico - agreste" che ha permesso in passato di scegliere con profonda oculatezza le piante da adibire a capitello. Fanno parte della tradizione anche specie quali l'Acero campestre, le Querce e il Gelso in grado, come il Carpino bianco, di formare con i propri rami nicchie protettive. In alcune situazioni è la natura stessa a determinare la scelta della pianta migliore: è il caso del salice o del pioppo nella bassa pianura, dove condizioni di elevata umidità pedologica non consentono alternative valide, o in montagna, dove specie quali il faggio o il frassino sostituiscono l'onnipresente Carpino.

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Foto n. 2: Capitello verde di Carpino bianco (Carpinus betulus L.) sapientemente potato a forma globosa a San Giacomo di Bigolino (Valdobbiadene). Qui ogni anno i fedeli si radunano in occasione della "Festa del Capitel".

Conclusioni

Le immagini sacre custodite nei capitelli verdi erano prevalentemente collocate, come abbiamo visto, nei crocicchi campestri o in prossimità dei luoghi in cui si svolgevano le attività agricole e forestali. Il mutamento dell'economia, della cultura e dei costumi ha lentamente cancellato quella religiosità che affidava al sacro tutti i momenti della vita individuale e collettiva. Parimenti è diminuito il significato delle immagini sacre distribuite capillarmente sul territorio e molte sono scomparse. Alcuni capitelli verdi sono però rimasti grazie alla cura di fedeli che riconoscono in questi particolari luoghi sacri gli avvenimenti che hanno segnato e segnano il percorso di una vita; costituiscono attualmente punto di ritrovo dove recitare qualche preghiera, il Santo Rosario durante il mese di maggio, o luogo di festa come a San Giacomo di Bigolino (Valdobbiadene) e a Vidor. A metà aprile, infatti, tra i vigneti di Prosecco in località Zecchei, nei pressi di un singolare Carpino bianco potato a forma globosa e ospitante una statuina della Madonna (foto n. 2), si organizza la "Festa del Capitel"; a Vidor, invece, in estate il Borgo "Alnè Sotto" festeggia il patrono 5. Giovanni Bosco nel piazzale antistante l'Acero campestre dove è collocata l'immagine del Santo.
Uno degli obiettivi primari del censimento e del recupero dei capitelli verdi è quello della promozione del territorio della Marca trevigiana ricco di peculiarità e di emergenze. Nel Valdobbiadenese ed in particolare a San Pietro di Barbozza è già iniziato un programma di recupero dei vecchi alberi sacri intervenendo con potature di risanamento e ricalibratura della chioma. In questi soggetti arborei, la prossima primavera, verranno collocate delle statuette lignee raffiguranti la Madonna o S. Antonio da Padova.
Pur consapevoli che il lavoro effettuato ha delle lacune e per questo può essere migliorato si auspica, in tempi brevi, la realizzazione di una pubblicazione che "fotografi" la situazione attuale e proponga all'attenzione collettiva i Capitelli Verdi rimasti nel territorio della Marca trevigiana. Per questo chiediamo a tutti coloro che si imbattessero in un capitello verde nascosto tra le colline o nei borghi più sperduti, di segnalarlo alla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane (Via Vittorio Emanuele Il, 67 - Vittorio Veneto) o all 'Associazione Provinciale Dottori in Agraria e Dottori Forestali (via Castellana, 17- Treviso), in modo che ulteriori tasselli possano completare il lavoro iniziato. Nell'anno del Giubileo è doveroso rintracciare questi alberi, testimoni del patrimonio rurale ma soprattutto espressione del profondo senso religioso della nostra gente. Una proposta concreta è quella di realizzare un "itinerario giubilare provinciale" che unisca tutti i capitelli:
percorrerlo significherà conoscere meglio l'ambiente ma soprattutto riappropriarsi di una identità culturale che porta a trovare nuove e più forti motivazioni per amare e rispettare il territorio in cui siamo nati ed in cui viviamo.

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