Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°9 - 1996 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

Rassegna Bibliografica

LORENZO DA PONTE, Memorie, commento di Armando Torno, Claudio Gallone editore, Milano, 1998.

Una nuova edizione delle Memorie dapontiana, da salutare subito con piacere: non foss'altro, favorirà la diffusione della conoscenza dell'abate cenedese, che con quest'opera si colloca nel novero non sovrabbondante dei grandi memorialisti italiani.
Presentata in una veste editoriale elegante e indovinata (particolarmente riuscita la copertina dei due volumi, ripetuta sul cofanetto), la pubblicazione ti viene incontro accattivante, e induce a immediata simpatia anche chi ha visto e deprecato, in mezzo alla nutritissima pubblicistica dapontiana di questi ultimi anni, esempi talora perfino squallidi di superficialismo e disinformazione, quando non di pura e semplice ignoranza, sia pure in vesti editoriali splendide.
Ma la simpatia non impedisce, ad una analisi più attenta, una certa delusione. Provocata, la delusione, già dal "sottotitolo" delle Memorie in copertina: "Abate, libertino, letterato: una vita a caccia di donne, soldi e musica": un vero e proprio spot pubblicitario, sommario, superficiale e falso al limite del travisamento; e consolidata già alla lettura della prima riga del risvolto di copertina, contenente uno svarione - (Da Ponte) "poeta cesareo" - che dimostra che l'estensore di quella nota non ha nemmeno letto il libro che sta presentando.
L'opera dapontiana è introdotta da due brevi saggi: "Da Ponte, colto libertino", di Armando Torno, il curatore della pubblicazione; "Le maschere dell'abate Lorenzo", di Max Braschi.
Il primo saggio è infarcito di tutti i luoghi comuni su cui ha fin qui giocato tutta la critica dapontiana orecchiante:
quella di coloro che, partendo dai superatissimi giudizi di Fausto Nicolini, basa tutti i ragionamenti sullo stereotipo dell' "abate libertino", prete spretato, donnaiolo, eccetera eccetera, e finisce inevitabilmente col discettare sulla scarsa attendibilità storica delle Memorie e, quindi, su Da Ponte incorreggibile bugiardo. Discorsi fritti e rifritti, ostinatamente respinti da tutti gli studiosi seri di Da Ponte ma, come si vede, con scarsa fortuna.
Il secondo saggio, a dir poco sorprendente, sembra fatto apposta per confutare il primo, smontandone alle radici il senso e gli argomenti.
Una felice sorpresa, per il vero, perché il saggio dimostra, tra l'altro, come
si faccia ormai strada una scuola di lettori di Da Ponte non disposti a seguire gli schemi triti della critica degli scorsi decenni, procedente immutabilmente e pigramente dalle astiose e preconcette premesse nicoliniane. Chiaro e lucido nella pur breve esposizione, Braschi propone al lettore la chiave giusta di lettura delle Memorie, che non vanno intese come una specie di "deposizione" dell'imputato-autore, di cui ci divertiamo a scoprire e denunciare, nella veste abusiva di giudici, le omissioni, le amnesie, le bugie. "L'autobiografia èinnanzitutto un'opera letteraria". E l'affermazione in premessa, perno su cui ruota l'intero ragionamento di Braschi, che salutiamo con la soddisfazione di chi legge finalmente un discorso corretto intorno al memorialista cenedese, dopo anni di battaglie in tutte le sedi, combattute con quella manciata di appassionati studiosi che chiedono solo che su Da Ponte si parli a ragion veduta, da informati, non solo sulla base dei giudizi (e pregiudizi) altrui.
Segue una serie di considerazioni garbate e acute, di cui sottolineiamo, per l'originalità dell'impostazione (che l'autore rivendica e che va riconosciuta), quella nella parte conclusiva, secondo cui l'abilità di Da Ponte "sta anche nel costruire il proprio alter ego letterario adattandolo ai diversi ambienti e ai diversi contenuti culturali in cui si trova ad agire, e così lo troviamo studente scapestrato, ma di buon cuore, nella Venezia dei caffè, dei cicisbei e delle case da gioco; poeta sodale di duchi e imperatori alla corte di Vienna, ancora poeta e imprenditore teatrale a Londra; droghiere, libraio, professore e impresario sfortunato, quasi caricatura dell 'american dream, tra Sunbury, New York e Philadelphia. Le quali ultime trasfigurazioni gli consentivano anche di presentarsi in modo rispettabile (anche se sottilmente burlesco) di fronte ai suoi nuovi concittadini (per i quali un commerciante era indubbiamente più presentabile di un teatrante)...".
Due saggi introduttivi, insomma, dall'impostazione profondamente diversa, perfino in contraddizione tra loro, ma proprio per questo da leggere in sequenza immediata. Insieme, essi giustificano un giudizio sostanzialmente positivo dell'impresa editoriale, giudizio avvalorato anche dalla buona qualità complessiva delle note, in genere essenziale e infornate.

Aldo Toffoli

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