Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°9 - 1996 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

Rassegna Bibliografica

FULVIA DAL ZOTTO. Epigramma, Cornuda, Grafiche Antiga, 1985,
s.d.

Dopo Epigrammata 1975 è questa la seconda raccolta di "epigrammi" dell'autrice di Valdobbiadene che intende "epigramma" non già nell'accezione retorico-formalistica del termine, manell'accezione radicalmente etimologica di "scrittura sopra", la poesia diventa perciò espressone di coraggio delle parole oltre la cosalità inerte di un mondo privo di rapporti linguistico-comunicativi, dove 1 'alterità rimane estranea e assente, e lascia l'uomo nella sua solipsistica chiusura. La parola poetica, perduta la propria funzione di riconoscimento intersoggettivo del reale, diventa volontà ulteriore di dire nonostante tutto, nonostante la desolazione del vuoto, del silenzio, esorcizzati proprio attraverso la loro "rappresentazione" in questa parola necessaria, in questa parola-evento, in questa parola icastica e centripeta, nella cui consistenza anti-letteraria e nel cui radicalismo viscerale si condensa l'accanita sopravvivenza di un amore contraddetto dal limite "inetto" dell'esistere.
L'urlo trattenuto, il "sussurro" dell'arte linguistica della Dal Zotto si rivelano, allora, nell'incarnare, attraverso sapienti modalità ellittiche, il vuoto e il silenzio nel linguaggio: un linguaggio circondato da un incombente, allusivo silenzio; da un vuoto antico che riguarda così la matrice etnica - quella di una civiltà agreste giunta lentissimamente alla cultura della parola - come la matrice soggettiva, segnata da una frattura originaria, non eludibile dall'istinto poetico dell'autrice; ne deriva la fortissima rappresentatività agreste e etnica di una parola che si rivela come poetica perchè motivata da un'esigenza intrinsecamente attivo-volitiva di essere in quanto dire.
Sono le radici ataviche del mondo collinare a manifestarsi nella coscienza etico-linguistica della Dal Zotto. E davvero, inoltre, una parola-amore quella dell' "epigramma", che si realizza al di là della finitezza conflittuale dell'esistere:
oltre l'universo scipita coseria; oltre le spoglie del regno umano; oltre l'infinito privativo dell'amore umano. Le modalità compositive rendono ardua la citazione testuale; gli stacchi, gli spazi vuoti sulla pagina, adottati come alternanza del dicibile e dell'indicibile fin dall'esordio di Spazio/Tempo (1973) (a cui seguono Tarlo della mia indagine - 1976-Epigramma 75; Disorizzonte - 1982) si accampano in Epigrammata 1985 con una "inversa" significatività, sempre più densa e "necessaria". Le dislocazioni verbali costituiscono il tramite visivo di una irrelata discontinuità, dove il senso
emerge e si occulpa, manifestando, anche graficamente, la propria contraddetta tensione, in un linguaggio che rifiuta in assenza, e non già per un'operazione di tipo "sperimentale", di essere formalisticamente codificato. Potremmo parlare, per la Dal Zotto, di un raro caso di sperimentalismo integrale, dove l'esito linguistico, apparentemente sperimentale, rappresenta, invece, l'immagine speculare e "necessaria" di una sofferta motivazione interiore.
Questo alternarsi vuoto/pieno, parola/silenzio, assenza/presenza, possiede un suo ritmo interno, una sua dinamica espressiva, un movente autentico ed aperto che trattiene il percorso linguistico al di qua di schematismi ripetitivi. Nei venti brevissimi testi di Epigrammata 1985 possiamo seguire un articolarsi che dalla coscienza della finitudine illusoria ritrova nelle percezioni visivo-tattili una possibilità di contatto con una naturalità pre-umana e sacrale (quella medesima che aveva motivato i riuscitissimi testi della sezione matria savana di Disorizzonte) permettendo il ricupero di una verbalità dove si corrispondono il motivo dell'origine con quello dell'oltre e dell'altrove: occhi compiangono/il cuore esausto... levità di microsorrisi / velluto degli occhi... pelle dolce di panna/peluria incolore di petali sono segnali linguistici maggiormente resistenti alle delusioni e alle contraddizioni, e trovano il loro compiersi nella "invocazione" finale: il soave acero / tenere latifoglie / agganciate al materico blu / il soave acero / il soave acero / il soave acero.
Qui la iterazione allitterativa si pone,
infine, come densissimo approdo di senso: l'amore sacrale per il mondo agreste, mentre implica il limite struggente dell"intatto amore", si rivela come possibilità di ascesi mondana e di veritiera catarsi.

Paolo Leoncini


<<< indice generale
http://www.tragol.it