Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°11 - 1998 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
GIUSEPPINA DE VECCHI

MICHELE COLOMBO E LE CULTURE STRANIERE

Nei salotti italiani tra la fine del '700 e l'inizio dell'800 divampano polemiche roventi e pareri discordanti. Chi può dire quale sia la tendenza più aperta e innovativa o quella più austera e conservatrice a proposito della lingua italiana? Gli opposti schieramenti argomentano e cercano di convincere della bontà dei loro propositi. Questa è la situazione che don Michele Colombo(1) si trova a sostenere e a criticare duramente dalle pagine di alcune sue opere quali Breve relazione della repubblica de' Cadmiti. Ghiribizzo di Agnolo Piccione, illustrato daAgnolino suo figliolo e Ragionamento intorno alle discordie letterarie d'oggidì(2) L'abate trevigiano, che può essere

1) Era nato a Campo di Pietra, frazione di Salgareda, nel 1747 e dopo gli studi condotti presso il seminario di Ceneda era stato ordinato sacerdote e quindi si era rivolto allo studio e all'educazione dei giovani rampolli delle nobili famiglie venete della zona. Successivamente trasferitosi a Venezia, Padova e infine Parma aveva cominciato la sua carriera letteraria in sordina con la poesia, si era poi rivolto a studi scientifici senza abbandonare quelli letterari. Morì a Parma nel 1838, all 'età di 91 anni, universalmente compianto e ricordato per le sue doti umane e letterarie.
Per maggiori chiarimenti sulla sua biografia si possono consultare alcune pubblicazioni edite di recente:
AGAZZI, N., intorno all'abate Michele Colombo, Vittorio Veneto, Kellermann, 1995
ZAGONEL, G.P., Michele Colombo e la sua figura di letterato, bibliofilo e poligrafo nel 250° anniversario della nascita, "Il Flaminio", n°10, 1997, pp.63-78
2) COLOMBO, M., Opuscoli, Padova, coi tipi della Minerva, 1832 COLOMBO, M., Opuscoli, Parma, Giuseppe Paganino, 1831


GIUSEPPINA DE VECCHI. Laureata in lingua e letteratura francese. Ha da sempre coltivato, con quella dello studio delle culture straniere, una grande passione per la storia e la cultura del Vittoriese.

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considerato a buon titolo uno dei principali animatori della questione linguistica in Italia, era giustamente disgustato da un atteggiamento che tendeva a provincializzare la letteratura italiana oramai ai margini delle grandi correnti filosofiche e letterarie del tempo. A ben vedere, lo stesso Colombo non sembra assorbire le nuove idee giunte d'Oltralpe. Ma le sue Lezioni sulle doti di una culta favella ci forniscono il materiale necessario per poter sostenere il contrario. La prima pubblicazione di quest'opera era avvenuta nel 1812 unitamente a quella che secondo il sessantacinquenne Michele Colombo doveva essere la sua opera principale, il Catalogo di alcune opere attinenti alle Scienze, alle Arti e ad altri bisogni dell'Uomo, le quali quantunque non citate nel Vocabolario della Crusca, meritano per conto della lingua qualche considerazione.
Da quel momento furono le Lezioni sulle doti di una culla favella che valsero all'abate trevigiano celebrità e successo presso i contemporanei. Nel 1817 venne insignito del premio che la Crusca aveva istituito perla miglior opera del momento con le succitate Lezioni e nel 1837, sempre grazie alle Lezioni, venne nominato "maestro in fatto di lingua" nella prefazione della nuova edizione della Divina Commedia curata dalla stessa istituzione. La fama di Colombo non sopravvisse però alla sua morte tant'è che soltanto attraverso gli echi dei manuali di storia della lingua si ha una conferma della sua passata importanza, tanto più che le ultime pubblicazioni esaustive della sua opera risalgono alla fine del secolo scorso(3).

Per capire meglio il pensiero di questo insigne studioso può servire il confronto con uno dei più importanti uomini di cultura dell'epoca, Melchiorre Cesarotti(4). Basandosi sulle idee guida di questo filosofo della lingua, infatti, possiamo capire la posizione di Colombo nel dibattito linguistico di quel periodo.
Cesarotti e, assieme a lui, ma in misura diversa, Giuseppe Baretti(5), erano


3) Recentemente è stata pubblicata solo un florilegio di massime e citazioni Trattatelli tradotti dalla lingua malabarica nell'italiana favella in A.A.V.V. Scrittori italiani di aforismi, Vol. I, Milano, Mondadori, 1994
4) MELCHIORRE CESAROTTI (1730-1808) Autore di Saggio sulla filosofia delle lingue dell 800, fu colui che fornì la soluzione più organica e più coerente possibile al problema della lingua. Traduttore di Ossian, Cesarotti ben conosceva la tradizione letteraria francese e basandosi sulla corrente filosofica del Sensismo francese cercò di creare un modello linguistico agile e ricco. Nella sua ricerca tentò di evitare sia ogni forma di conservatismo che riduce la lingua a strumento solo letterario, sia l'eccessiva permissività che la riduce a mezzo pratico di comunicazione.
5) GIUSEPPE BARETTI (1719-1789) Mediatore fra culture differenti, viaggiatore instancabile, fu il fustigatore degli scrittori italiani. Dalle pagine della sua "Frusta letteraria", i suoi

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i divulgatori in Italia delle nuove idee provenienti dall'estero. A questo proposito è da ricordare che l'Europa tra Settecento e Ottocento è dominata dal pensiero illuminista. Il francese diventa la lingua di comunicazione più diffusa tra le classi più elevate e la sua letteratura viene presa a modello per le tematiche e per lo stile coinciso e chiaro. Sul piano linguistico, poi, la circolazione delle nuove tendenze era un'esigenza condivisa dalla maggioranza. Lo stile latineggiante e difficile fino allora dominante in tutta Europa stava per cedere il passo alla scoperta di una lingua più flessibile ed agile, adatta ad una comunicazione chiara e diretta. I pricipi fondamentali che rivoluzionano il modo di concepire la lingua - chiarezza, forza e grazia - sono i punti salienti del Razionalismo e del Sensismo d'Oltralpe.
I referenti italiani di queste due correnti, il cosmopolita Baretti con il suo pensiero logico ispirato al Razionalismo e, dall'altra parte, Cesarotti con la modernità della sua riflessione linguistica tratta dal Sensismo, fondano su basi più solide una problematica delicata e difficile.
Anche l'abate Colombo, come abbiamo avuto modo di dire, interviene attivamente nelle discussioni incentrate sul problema linguistico. Amico di Cesarotti, di cui conosceva l'attività letteraria, l'abate trevigiano trova delle soluzioni personali alla concezione della lingua. Mentre Cesarotti accetta nell'uso quotidiano i forestierismi, Colombo afferma che il genio nazionale non può essere alterato da questi perché non appartengono al retaggio culturale della nazione. A ben vedere quindi, il problema verte sulla concezione di "genio nazionale"(6), dove per Colombo bisogna identificare con questo termine il carattere originario tipico di un idioma e di un popolo. Questa posizione viene espressa, assieme a Colombo, da molti altri studiosi dell'epoca, tra cui Antonio Cesari(7), che può essere definito l'anima del purismo per l'intransigenza della sua posizione riguardo a questo problema.
Cesarotti invece non si pone il problema di difendere le bellezze della lingua italiana. Egli introduce infatti la scissione di "genio delle lingua" in "genio grammaticale" e "genio retorico". Con il primo termine egli intende


giudizi spiccano non tanto per coerenza ma per la vivacità del temperamento, per l'impegno, che è in ogni pagina, per le simpatie e le antipatie marcate, per i suoi pregi e i suoi difetti, sicchè si può dire che egli inventò un nuovo modo di leggere, non più da "letterato" ma da "uomo". Nei confronti della lingua creò un modello teorico che risentiva dell'influsso culturale dell 'Illuminismo, in particolare del Razionalismo secondo il quale l'ordine diretto della frase è quello più naturale.
6) MARAZZINI, C., La lingua italiana, Bologna, Il Mulino, 1994, p.322
7) ANTONIO CESARI (1760-1828) veronese, è conosciuto per le sue teorie reazionarie e arcaicizzanti. E' l'autore di un dialogo intitolato Le Grazie dove espone il suo punto di vista strettamente purista.
mezzo pratico di comunicazione.

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la struttura grammaticale di una lingua, struttura fissa che non può essere alterata; con il secondo termine invece viene intesa la parte più espressiva della lingua soggetta a continui cambiamenti. E' a quest'ultimo settore che appartiene il lessico(8).
Un'altra differenza tra Cesarotti e Colombo è anche il modo in cui viene concepita l'idea di poter arricchire il lessico. Se per Cesarotti, una volta che il termine "elettricità" è entrato nell 'uso corrente, sono possibili espressioni come "si elettrizzano gli spiriti", che metaforizza il concetto trasportandolo al di fuori del campo delle scienze fisich(9), per Colombo, invece, legato com'è alla concezione di "genio della lingua", queste acrobazie stilistiche non sono possibili. Nelle Lezioni sulle doti di una culta favella, l'abate trevigiano chiarisce il suo punto di vista.
Nella prima lezione intitolata Della chiarezza Colombo, esponendo il suo dissenso nei confronti di uno stile troppo elaborato e fantasioso, annovera tra le cattive abitudini da eliminare l'uso impropno di alcune immagini giudicate troppo ricche e pompose. Secondo il suo parere, le metafore, introdotte in quantità massiccia dalle culture straniere, hanno guastato il gusto delle giovani generazioni. Infatti la gioventù italiana non sa più distinguere fra il genio della lingua e la logica che è necessaria per la formulazione di un messaggio chiaro, e, dall'altra parte, la fantasia eccessiva e a volte incomprensibile delle altre culture. In modo specifico, questi rimproveri di Michele Colombo si riferiscono all'esagerato accostamento di aggettivi che, sebbene accuratamente scelti, diventano incongrui e discordanti in rapporto al soggetto. Questo caso si verifica a causa delle sfumature di senso che turbano la coerenza della frase. Riproponendo, quindi, il modello fornito dagli scrittori antichi come il più valido da seguire, diventano incomprensibili gli esempi seguenti: "figlio della spada", "gran signore de' brandi", "vergine della neve", "fiacchi figli del vento che a cavalcare sen vanno per le aeree campagne", "leggiadrie che cingono come fascia di luce", "bianco petto che gonfiasi all'aura de' sospiri"(10) Tutte queste metafore che egli ricava dai libri dell'epoca guastano la purezza originaria della lingua italiana.
E' sbagliato però credere che Michele Colombo non accettasse, in assoluto, l'introduzione di parole straniere nel lessico italiano. Nella quinta lezione intitolata Dello stile che dee usare oggidì un pulito scrittore egli si scaglia contro gli Illuministi italiani de "Il Caffè" che, in tono di provocazione, avevano pubblicato la nota Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della


8) MARAZZINI, C., Op. cit. ,
9) MARAZZINI, C., Op. cit., p. 322
10) COLOMBO, M., Opuscoli, Padova, coi tipi della Minerva, 1832, pp. 15-16

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Cruscd"(11), dove si auspicava l'uso frequente di parole straniere anche molto diverse dalla lingua italiana. Dalle pagine della stessa lezione don Michele Colombo rilancia la sua proposta di introdurre parole straniere, qualora sia proprio necessario, rendendole italiane alterando la loro forma fonica. Quest'ultima necessità era resa necessaria dall'esigenza che egli sentiva di avvicinare il più possibile il modello linguistico al concetto neoclassico di bello assoluto. Per Colombo l'armonia del tutto con le parti era un canone che cercava continuamente di interiorizzare nella sua vita.
Nella successiva lezione Del modo di maggiormente arricchire la lingua senza guastarne lapurità, egli chiarisce meglio quali siano i campi nei quali l'adozione di parole straniere sia necessario. In conformità, quindi, con il suo lavoro di lessicografo nel Catalogo di alcune opere attinenti alle Scienze, alle Arti e ad altri bisogni dell'Uomo, le quali quantunque non citate nel Vocabolario della Crusca, meritano per conto della lingua qualche considerazione, scritto con l'intento di dare cittadinanza a quei campi del sapere più tecnici che riguardano arti e mestieri giudicati fino allora di minore importanza, Colombo difende il prestito di parole inesistenti in italiano perché designano nuovi lavori, incarichi pubblici, piante e animali la cui esistenza nemmeno si sospettava nei tempi andati(12). Allo scopo di chiarire ulteriormente la sua posizione, egli dichiara di ritenere più idonee al prestito le lingue che con l'italiano intrattengono un rapporto di parentela, vale a dire:
lo spagnolo e il francese perché derivano dal latino e il latino e il greco per gli stretti rapporti culturali esistenti. Ma è soprattutto la lingua francese che viene messa in rilievo. Attraverso una lunga dissertazione sulle differenze culturali tra le due nazioni, Colombo cerca, anche scherzosamente, di spiegare la peculiarità del prestito dal francese(13).
Tuttavia è importante ribadire che, sia per Colombo che per Cesarotti, l'introduzione di parole straniere era sentita come possibilità non sempre necessaria e volentieri se ne auguravano il ricorso solo nei casi più estremi.
In un altra occasione, però, Colombo si schiera risolutamente dalla parte dei tradizionalisti, mentre Cesarotti si trova dalla parte opposta. Alla base di tutte le teorie stilistiche dell'abate trevigiano ritroviamo sempre il concetto di barbarie e civiltà. La moda straniera(14) viene da lui definita come barbara, poco incivilita, bisognosa di effetti clamorosi: "Le maniere di favellare entusiastiche, e ripiene di esagerazioni e di sforzo, sono familiarissime e, direi quasi naturali a' popoli non ancora inciviliti. E perché ciò? Perché in un


11) COLOMBO, M., Op. cit., pp. 107-108
12) COLOMBO, M., Op. cit., p131
13) COLOMBO, M., Op. cit., p. 133-135
14) COLOMBO, M., Op. cit.. pp 14-16

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tale stato essendo eglino poco disposti a delicate sensazioni, non rivolgono la loro attenzione se non ad oggetti onde gli organi dei sensi ricevono scosse molto gagliarde; perché molto povera essendo la loro lingua, è ad essi d'uopo ricorrere, nell'esporre i loro concetti, a strane forme di dire, da una sregolata immaginazione lor suggerite; e perché incolto essendo l'ingegno loro, e non purgato il giudizio, e il gusto non affinato, mancar debbono necessariamente di giustezza e di regolarità le loro espressioni. Ma, secondo che una selvaggia nazione va spigolandosi dell'antica sua ruvidezza, e nuovi abiti prende, e più polite maniere, va facendo presso a lei sempre nuovi progressi eziandio la favella, in cui la rozzezza a poco a poco all'eleganza dà luogo, e la stravaganza e lo sforzo alla regolarità ed alla vera energia"(15). In particolare Colombo, proprio per questa linea di tendenza si dichiara contro il Romanticismo: "Vengano i nostri Ossianeschi, e mi dicano s'e' sanno fare altrettanto con il fracasso del loro altisonante stile. Ma gli occhi volgari (per servirmi de' termini della pittura) più di forza ritrovano in que' dipinti, in cui le figure, senza che si sappia il perché, hanno muscoli oltre al convenevole risentiti, occhi stralunati, ed atteggiamenti di persona convulsa"(16).
Al suo opposto Cesarotti dichiara che "il concetto di barbarie non ha senso se lo si vuole utilizzare nel raffronto tra le lingue, perché tutte servono ugualmente bene all'uso della nazione che le parla"(17).
Colombo rileva, d'altro canto, un intento diffamatorio nei confronti della letteratura italiana da parte di Baretti. Questo eclettico viaggiatore, infatti, nota il ritardo culturale italiano e dalle pagine della sua "Frusta letteraria" scaglia osservazioni pertinenti che feriscono lo spirito patriottico del nostro polemico abate(18).
Forse proprio come risposta a questo atteggiamento, Colombo nella sua Repubblica de 'Cadmiti descrive con intento derisorio e sarcastico un episodio accaduto al protagonista, Agnolo Piccione, che per ben tre volte cerca di scrivere dei racconti, successivamente bocciati nel giudizio dei letterati, imitando la maniera dei Francesi. Ma ecco i fatti dal punto di vista di Colombo: "O Francesi, Francesi, sciamavasi, perché non ispirate nelle menti e nel petto degl'Italiani, un poco di quel genio de' vostri Marmontel e de' vostri Arnaud Quando mai chi legge le novelle de' nostri scrittori sentì bagnarsi le ciglia da una sola di quelle lagrime che i Francesi sanno cavar così bene dagli occhi di quelli che leggono le loro?


15) COLOMBO, M., Op. cit., pp. 34-35
16) COLOMBO, M., Op. cit.. p.36
17) MARAZZINI, C., Op. cit.. p.320
18) COLOMBO, M., Op. cit.. vol. 2, pp. 238-240

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Per poter spiegare i gusti di Colombo in fatto di letteratura straniera è bene soffermarsi su quest'ultima voce. Da una prima veloce lettura dei titoli èsubito chiaro che i libri francesi costituiscono la parte preponderante dei libri stranieri. Su un migliaio di volumi, novecento circa sono i volumi francesi mentre il resto è rappresentato da libri inglesi e spagnoli. Si nota soprattutto la forte presenza di libri a soggetto religioso benchè vi siano anche libri filosofici e antireligiosi o per lo meno laici. Un'altra categoria ben nutrita èquella dei libri scientifici che ci obbliga a sottolineare la curiosità intellettuale di Colombo.
Analizzando ancora più accuratamente questa lista si può rilevare il fatto che Colombo, da buon intenditore, sceglieva le migliori edizioni quando non quelle originali. Questo era il criterio principale con il quale sceglieva i libri da comprare così come la caratteristica più importante della sua biblioteca. In particolare egli aveva acquistato l' 'editio princeps dei capolavori di Bossuet, Bordaboue, Pascal e molti altri.
Da questa osservazione deriva un'altra considerazione che conferma l'interesse di Colombo per il panorama internazionale: egli era al corrente delle dispute e dei dibattiti più significativi della vita culturale della sua epoca; accanto a ciò mostrava un interesse profondo per le letture che iniziava. Per esempio, quando leggeva le opere di Bossuet e di Fénelon, leggeva anche i libri sui dibattiti che esse avevano suscitato. La biblioteca di Michele Colombo, quindi, non solo abbonda di opere eccellenti ma anche di studi critici suscitati da tali opere. Dopo un soggiorno attivo nelle biblioteca di Michele Colombo il lettore odierno, digiuno di ogni nozione sulla letteratura e la filosofia del '600 francese, potrebbe uscire esperto (e probabilmente appassionato).
Ma vediamo da vicino i più celebri fra questi libri.
Il XVII secolo, in Francia, non è l'epoca serena come si può pensare all'apparenza; era invece un secolo caratterizzato da scontri e confronti fra differenti correnti filosofiche e religiose. Giansenisti, gesuiti, libertini, cartesiani e spiriti critici arrivavano fino al punto di negare i valori che difendeva Bossuet, vescovo e capo della chiesa gallicana. Sotto un regime assolutista che imponeva una calma e un ordine falso, la Francia, nella sua essenza, era sconvolta da idee nuove.
L'aspetto di Bossuet, difensore dei valori stabiliti, il più appariscente e grandioso, è stato colto anche da Michele Colombo che possedeva le prime edizioni delle Oraisons scritte per Henriette de France, per Marie Thérèse d'Autriche, Anne de Gonzague, Louis de Bourbon e Michel Le Tellier. Per considerare un altro aspetto dell'attività religiosa di Bossuet, bisogna ricordare lo stretto legame che univa la politica e la sua missione sacerdotale: egli era infatti il difensore incontestato del re di fronte al papato. Il Gallicanesimo che professava, tendeva ad affermare l'indipendenza del re di Francia da Roma, inoltre la stessa dottrina tendeva a ribadire la predominanza del re nei

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confronti del clero francese. Questa posizione è ben espressa nella sua opera Politique tirée des propres paroles de l 'Ecriture Sainte; il libro, presente nella lista di Colombo, sostiene il concetto di monarchia conforme alla natura.
Difensore dell'ortodossia, Bossuet considerava come suo nemico integerrimo il Quietismo e contro il suo principale rappresentante, Fénelon, egli scrisse la Relation sur le Quiétisme e le Remarques sur la Réponse de Monseigneur de Combrai à la Relation sur le Quiétisme. Presenti nella biblioteca dell'abate anche le teorie misticheggianti di Fénelon, in particolare 1' Explications des maximes des Saints sur la vie intérieure. Nella lista dei suoi libri effettuata da Colombo stesso, sotto questo titolo appare una nota manoscritta molto interessante: "questa è l'opera di Fénelon che diede origine alla famosa disputa lungamente sostenuta fra esso e Bossuet". Tale nota testimonia l'interesse con cui Colombo seguiva il dipanarsi di questo dibattito religioso. E' da citare ancora la presenza della Réponse à 1 'écrit de monseigneur de Meaux intitulé Relation sur le Quiétisme con cui Fénelon tenta di difendere, purtroppo con esito negativo, la sua misteriosa e libera visione religiosa.
Il Giansenismo è uno dei grandi movimenti filosofici e religiosi che caratterizza il '600 francese. Pascal si era lanciato nella brillante polemica contro i nemici del Giansenismo con Lesprovinciales. Colombo possedeva una copia del 1699 di questo celebre pamphlet ma dello stesso anno era anche l'esemplare delle Pensées. Egli, inoltre, sembra apprezzare Pascal anche come scienziato perché possedeva la prima edizione del Traité de l 'équilibre des liqueurs et de la pesanteur de 1 'air che Pascal aveva redatto prima della conversione.
Il filosofo più conosciuto del secolo, René Descartes affascinò Colombo per la forza e la determinazione del suo pensiero. Tra le opere in possesso dell'abate trevigiano figurano Les passions de l 'ame. Da tale lettura si trae la conclusione che egli condivideva con Descartes la passione per il viaggio come esperienza viva da contrapporsi alla sterile conoscenza libresca.
L'ideale dell"honnéte homme" è un altro aspetto importante del '600 francese. Tra i testi che riguardano questo fenomeno sociale vi sono gli Entretiens d'Ariste et d'Eugène e la Manière de bien penser dans les ouvrages d'esprit del P. Bouhours, che testimoniano la curiosità di Colombo verso questo mescolanza di galanteria e ricercatezza stilistica che era propria della vita sociale nella Parigi di quell'epoca.
La letteratura mondana nel Catalogo di Colombo ha però dei rappresentanti più insigni. Le Maximes di La Rochefoucauld brillano come un diamante prezioso in una collana di perle. L'asprezza ma nello stesso tempo anche la bellezza di questa raccolta sull'amor proprio, avranno certamente ispirato il nostro abate che rifletté e scrisse molto su questo argomento.
Le riflessioni e le sentenze morali dei Caractères di La Bruyère hanno

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lasciato un segno tangibile nell'inventiva del nostro scrittore. Infatti una chiara testimonianza di quest'influenza si può ritrovare in due opere di Colombo: i Trattatelli tradotti dalla lingua malabarica nell 'italiana favella e i Paralipomeni22. Ma, mentre per i primi si può parlare solo di somiglianza stilistica e di contenuto, nel secondo caso la riproduzione e la traduzione di alcuni ritratti sono apertamente dichiarate. In alcuni casi è Colombo stesso che cita direttamente la fonte. Tramite una comparazione incrociata fra i Trattatelli e i Paralipomeni e l'opera di La Bruyère si può determinare quanto vasto fosse il debito di Colombo nei confronti dell'autore francese.
Charles Perrault, M.me de La Fayette e Racine si ritrovano tra gli scaffali dell'abate, e evidenziano il suo interesse per gli scrittori più innovativi del "Grand Siècle".
La Mothe Le Vayer, così come Montaigne, costituiscono le letture laiche di Michele Colombo, molto importanti per la sua formazione filosofica dato che si ritrovano alla nascita di un nuovo modo di concepire l'uomo e il suo universo. Naturalmente anche questi due autori erano apprezzati da Colombo che gli annovera tra i suoi libri preferiti.
Il '700 viene definito come il secolo dei filosofi perché si pensa che ci fosse coerenza d'idee e di interessi tra i suoi rappresentanti. La realtà era ben diversa e attraverso un'analisi più dettagliata si può dimostrare che questa compattezza filosofica non si manifestò mai. Si può affermare però che esistevano varie correnti e tradizioni letterarie provenienti dai secoli passati, nuove idee in campo scientifico e interessi progressisti. La storia dell'Illuminismo è costituito dalle divergenze dei suoi membri, desiderosi di dare il loro contributo personale al progresso.
Condillac, l'ispiratore di interessanti teorie filosofiche sulla lingua, è ben conosciuto da Colombo. Una mole notevole di lavori di questo sensista si ritrova tra i volumi appartenuti all'abate; tra gli altri si possono ricordare Les oeuvres philosophiques, La logique e La langue da calcul.
D'Alambert , direttore del progetto dell'Encyclopédie, è compreso nella lista dell'abate trevigiano con i suoi Mélanges de littérature, e gli Eloges, ma la personalità di maggior spicco che ritroviamo nella Colombiana è senz'altro Rousseau. Lo scrittore trevigiano più di una volta ha dimostrato di essere molto attratto da questo precursore del Romanticismo, dato che raccoglie, quando può, le prime edizioni dei libri di questo grande filosofo. L'Emile, il Contrat social , il Discours sur l'origine et lefondement de l 'inégalité parmi les hommes, il Discours sur l 'économie politique, le Lettres écrites de la


22) Tutte queste opere si possono facilmente consultare in COLOMBO, M., Opuscoli, Padova, Minerva, 1832

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Montagne e le Confessions avec les Réveries figurano tutti negli scaffali di Michele Colombo, e per di più nelle prime edizioni. L'abate trevigiano possiede poi la Costitution francaise del 1791 e la Costitution de la République francaise de l'an III influenzate dal pensiero di Rousseau, che fanno parte anch'esse della collezione di libri di Colombo.
Per concludere la rassegna di questa ricca biblioteca si può anche osservare che il nostro abate era in possesso di un'opera molto importante che diede l'avvio alle riflessioni moderne sulla filosofia del linguaggio: si tratta di La logique ou l'art de penser, uscita dal monastero di Port-Royal. Tra i libri di carattere linguistico la presenza del libro di Du Marsais Des tropes e quello del Président de Brosses, Traité de laformation mécanique des langues, testimoniano la conoscenza dirette di Colombo dei nazionalisti, ideatori della concezione della costruzione diretta nella lingua naturale.
Importante è osservare anche il fatto che due grandi autori sono praticamente assenti dalla biblioteca di Colombo: si tratta di Molière, che non ècitato, e di Voltaire, la cui presenza si rileva solo per alcune opere minori. Si possono spiegare queste assenze con il fatto che i gusti di Colombo erano austeri, seri, costruttivi e privi di quella frivola leggerezza che segnava l'opera di Voltaire, oppure di quella libertà giocosa che era propria di Molière? A difesa di queste assenze non vale nemmeno l'argomento che Michele Colombo, da buon abate , aveva voluto evitare l'irreligiosità di Voltaire oppure il sano edonismo di Molière, perché il nostro autore possedeva molti libri sorprendenti per la biblioteca di un ecclesiastico, ancorchè colto: vi si trovano infatti Les oeuvres di La Mothe Le Vayer, le anonime Pièces philosophiques che Colombo stesso aveva annotato come "libro empio" e le Mémoires et Lettres de M.lle de Lanclos. La domanda èquindi destinata a rimanere senza risposta certa.

Questa breve canellata di personaggi e libri famosi ha voluto dimostrare come Michele Colombo, pur avverso ai neologismi sotto certi aspetti, non fosse assolutamente chiuso alla tradizione e alla cultura francese verso la quale tuttavia aveva manifestato una certa avversione. Tale avversione dichiarata verso i Francesi è da attribuirsi piuttosto alla necessità di affrancare la letteratura italiana dall'egemonia di quella che era la cultura predominante in Europa. Inoltre è sempre da tenere presente che questa avversione andava di pari passo con i suoi gusti: è ben vero che egli rifiuta il Romanticismo, ma è altrettanto vero che - e la sua biblioteca lo dimostra - la letteratura del Classicismo e dell'Illuminismo francese diventa il rifugio di un letterato genuino dal temperamento introverso e conservatore qual era Michele Colombo. Nell'ambito letterario è più facile cogliere le apparenti contraddizioni delle scelte operate dall'abate trevigiano. Per quanto riguarda invece il teorico della lingua italiana delle Lezioni sulle doti di una culta favella, va detto innanzitutto che le sfumature e le indecisioni sono più marcate. Per meglio delineare la sua personalità è stato utile considerare Michele Colombo sullo sfondo dei maggiori studiosi della sua epoca. In particolare il più significativo di questi studiosi, Meichiorre Cesarotti, ha fornito a questo breve studio il materiale per un confronto chiarificatore con l'abate trevigiano. E proprio a partire da questo raffronto, le contraddizioni di Michele Colombo ci svelano certi aspetti moderni e dinamici, inattesi eppure autentici della personalità dell'uomo di cultura raffinato e curioso che egli fu.


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