Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°11 - 1998 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
GIANCARLO FOLLADOR


SAN GREGORIO BARBARIGO ED I RAPPORTI CON LE
COMUNITÀ VALDOBBIADENESI


Solitamente, nei libri di storia locale, quando c'è stato il tentativo di parlare della parrocchia, si è spesso confuso la vita cristiana di una comunità con la descrizione dettagliata dell'edificio chiesa, delle sue opere d'arte, delle imprese realizzate dai vari parroci che si sono susseguiti nella Cura.
E nello scalino più alto sono stati posti, con dovizia di cenni biografici, i preti come fossero stati i soli motivi della straordinarietà e della quotidianità dell'esperienza religiosa vista poi nella luce e non nelle ombre.
Dunque una immagine assai deludente di questo aspetto che, forse, per secoli, è stato più importante di quello politico.
Questo atteggiamento è stato il risultato di un certo rifiuto da parte degli storici locali di prendere in mano ed analizzare le fonti documentarie:
soprattutto quel poderoso materiale sotto la voce "Relazioni delle visite pastorali".
Anche se questo tipo di fonte può risultare parziale, essa offre la possibilità allo studioso, con una certa continuità temporale di dieci-vent' anni, dal 1400 ai giorni nostri, di addentrarsi nel mondo variegato delle parrocchie e scoprire l'anima della sensibilità religiosa rurale.
Certo i documenti sono curiali, ma ogni vescovo che per uno o due giorni rimane nel ristretto villaggio lascia un segno, perchè egli riesce a trovare il positivo ed a mettere in evidenza anche il negativo della vita socio-morale dei suoi fedeli, lasciando ordini diretti ai rettori, ai parrocchiani, alle confraternite.
Il vescovo non dimentica di indagare sulla corretta gestione delle entrate


GIANCARLO FOLLADOR. Laureato in lettere, giornalista pubblicista, insegnante, autore di numerose pubblicazioni su temi storici interessanti prevalentemente il trevigiano, curatore e coordinatore di importanti testi di storia locale

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e delle uscite del Beneficio, della Luminaria, della gestione dei legati messe, delle entrate delle cosiddette "casselle" delle varie fraglie presenti ed annesse agli altari.
Il vescovo arriva come super-visore e deve sapere. E tutti: massari, parroco, giurati, devono rispondere alle sue domande e alle interrogazioni dei visitatori.
Il Concilio di Trento ha cercato di mettere ordine in questa intricata matassa e sotto tutti gli aspetti. Ma il lavoro è stato difficile e lento. Non èstato facile modificare costumi, relazioni e trasparenze.
Nella Diocesi di Padova, Gregorio Barbarigo, ha realizzato innovazioni profonde. Nel tempo in cui ha coperto la sede, per quattro volte ha voluto passare in rassegna il suo territori. Scrive Liliana Billanovich: "Percorrere l'intera diocesi di Padova era di per sé una lunga e pesante fatica. Diocesi amplissima, comprendeva un territorio del tutto disomogeneo, anzi, per esattezza, due territori nettamente distinti, essendo a quell'epoca formata da due tronconi privi di continuità. A nord una vasta e composita area montana
- pedemontana - ben distante dal centro della diocesi e in gran parte impervia ed isolata - si estendeva dall'Astico al Piave, fino ad inglobare il distretto di Valdobbiadene, includendo l'intero altopiano dei sette comuni e il settore meridionale delle alpi feltrine... A sud si protendeva la grande regione di pianura(1)". E nonostante le difficoltà, questo vescovo arriva nel territorio

1) L. Billanovic Vitale. Per uno studio delle visite pastorali del Barbarigo. 1. Note introduttive alla prima visita (1664-1671) in Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana XIII, Padova 1982, p. 45.
Questa è la procedura della visita pastorale come è stata ricostruita dalla Billanovich: "La visita, generalmente compita dai coordinatori del Barbarigo, seguiva questo ordine: Eucarestia e tabernacolo (di solito visitati dal vescovo), battistero, olii santi, altare maggiore e singolarmente ogni altare, confessionali, sacrestia e suppellettili, libri parrocchiali (registri di anagrafe, registro delle messe, registro dei battesimi, registro dei morti, registro dei matrimoni), tutta la chiesa (con osservazioni sull'edificio, sul suo stato di conservazione), cimitero, campanile e campane, casa parrocchiale (il suo stato e indicazione di chi coabitava col parroco).
Per ciascuno degli oggetti esaminati vi erano, in particolare, determinati aspetti da ispezionare: se per gli olii santi, ad esempio, la preoccupazione principale era di verificare la corretta e sicura conservazione (in quale luogo erano collocati e in quali contenitori riposti, chi teneva le chiavi etc.), per i confessionali l'attenzione era portata al loro numero, onde stabilire s'erano sufficienti, oltre che "ad formam"; così il visitatore, recandosi nel cimitero, osservava soprattutto se era ben chiuso e protetto, e nella sacrestia, mentre posava lo sguardo su più cose, mai trascurava di controllare s'era esposta, e regolarmente compilata, la tabella con gli scomunicati, i casi riservati, con le feste e vigilie di precetto, con gli oneri di messe etc.
Il parroco e i singoli sacerdoti erano personalmente visitati dal Barbarigo, che a ciascuno dava ordini, consigli e moniti. Del rettore e di ogni sacerdote voleva i dati anagrafici, corredati da quelli riguardanti l'ordinazione e le informazioni dettagliate delle modalità e circostanze

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valdobbiadenese per ben quattro volte. Nessun vescovo di Padova aveva dedicato tanto del suo tempo a visitare queste parrocchie emarginate della pedemontana: 1666; 1674; 1686 e 1694.
La visita pastorale programmata non arriva all'interno della comunità in modo improvviso. Il vescovo ne dà le direttive precise: avvisa i rettori, manda i missionari "a raddrizzare le vie storte e ad appianare le erte" e questo attraverso la predicazione.
Insomma per una visita pastorale tutto si mette in moto. Il personaggio che più soffre è il rettore. Per la data fissata dell'impatto, tutte le cose devono essere nella normalità: chiesa, oratori, canonica, libri parrocchiali di anagrafe di battesimo, matrimonio, morte, registri del Beneficio e della Luminaria.
È facile mandare messaggi dal pulpito inneggianti al dovere delle offerte per imbiancare le pareti ammuffite della chiesa, per riparare la canonica, per rattoppare le pianete, per mettere in condizioni decenti gli altari.
Spesso la comunità non raccoglie il messaggio e le cose rimangono come stanno, anche perchè i villici sono qualche volta stanchi di essere comandati da Padova da una parte e da Venezia dall'altra.
In fatto di soldi Dominante e Chiesa si assomigliano. Il contadino, il villico, valdobbiadenese, deve sempre e sempre, bestemmiando, inchinarsi ai proprietari di quella terra dalla quale, pagando il dovuto, non riesce a mettere da parte un soldo per riscattare un livello pattuito.
Sta di fatto che in quel lontano settembre 1666, dal primo al sette, Gregorio Barbarigo è nel Vicariato di Valdobbiadene e visita la Pieve, Bigolino, San Pietro di Barbozza, Guia, San Giacomo, Santo Stefano, San Vito e Segusino. Poi se ne va in quel di Quero.
Giunge nella Pedemontana in carrozza assieme al vescovo di Chioggia Francesco De Grossi. Prima aveva fatto due tappe: una Camposampiero, presso il cugino Marcantonio Barbarigo e poi a Fanzolo presso i conti Emo. Prima di lui, le parrocchie del vicariato erano state invase dai predicatori per "radrizzare le vie torte e ad appianare le erte".
Il cerimoniale rimane sempre, in tutte le quattro visite, immutabile. Per il vescovo è una gran fatica, per il suo seguito un po' meno (ha la possibilità di mangiare e bere a dovere), per il volgo sono giorni di festa. Per una volta tanto quelle giornate diventano memorabili e ci si può vestire a festa: di

dell'investitura e dell'immissione nel possesso del Beneficio, con riferimento alla relativa documentazione esibita.
Della visita ai massari e del controllo sull'amministrazione delle confraternite generalmente se ne occupava il Chiericato che metteva a verbale i nomi dei governatori, le eventuali notizie sulla fraglia, il reddito annuo ed altri dati variabili a seconda delle situazioni circa le spese sostenute, crediti o debiti, tenuta dei libri contabili.
Al termine della visita il cardinale lasciava gli "ordeni" da eseguirsi sotto pena".

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mezzo c'è anche la cresima e per l'occasione religione e tavola ben si conciliano. Per i rettori delle parrocchie sono anche giorni infuocati di tensione e preoccupazioni.
Il Barbarigo non è un vescovo qualsiasi: per lui vivere il cristianesimo non significa solo edifici in ordine, conti perfetti, ma insegnamento della dottrina, frequenza ai sacramenti, onestà dei rettori fuori dalle tentazioni del sesso femminile, osservanza scrupolosa dei decreti tridentini. Il Barbarigo interroga, indaga, ascolta le lamentele della gente, consiglia, rimedia al male, indica la strada delle possibili redenzioni. Vuole e pretende che il curato abbia compilato scrupolosamente il questionario fatto pervenire a suo tempo sullo stato materiale e morale della Cura, non ammette assenteismi, non accetta che il prete o i preti si diano a gozzovigliare spesso e volentieri nelle case dei notabili del paese. Non perdona che qualche parrocchiano sia passato a miglior vita senza aver ricevuto il sacramento dell'Estrema Unzione.
E per verificare questo, come si è detto, riceve di persona i massari degli altari e delle confraternite ed accetta di buon grado che, in piena sincerità, chi abbia lamentele, le dica.
I suoi decreti non perdonano nessuno.
Il Barbarigo si sente un pastore di anime e soprattutto uomo di chiesa che cerca di capire il suo secolo da una parte e quello che il Concilio di Trento ha dato nelle direttive.
Purtroppo le cronache lasciate negli atti sono fredde e spesso stereotipate e solo attraverso piccoli fatti si riesce a capire la portata dell'evento "visita" e radiografare lo stato spirituale di una parrocchia.
E così arriva il vescovo: sul sacrato della chiesa parrocchiale il popolo èinginocchiato in perfetta riverenza. Gli uomini si levano i cappelli, le donne si inchinano. Le notabili sono in prima fila, le popolane, stanno più indietro a capo chino, rosse in volto, coperte da "fazuoli", ma più linde che mai. Intorno si leva il canto dei fanciulli. La mano tesa del vescovo è pronta per benedire e per essere baciata dagli astanti. Scorre qualche lacrima di commozione. Tanti non hanno mai visto un vescovo. E poi tutto quel codazzo di preti al seguito fornisce una coreografia indescrivibile. Molti sono magri, soprattutto chierici, altri paciocconi dal viso rubicondo e già stanchi prima di iniziare il lavoro di sali e scendi per quelle vie impervie del valdobbiadenese e del segusinese.
L'ingresso in chiesa verso l'altare Maggiore è solenne. Poi viene il sermone. È l'attimo in cui i popolani, fedeli di Dio, spalancano gli occhi:
sentono il Vescovo parlare di vizi, di virtù, di peccati, di volontà di riconciliazione con la Chiesa e con Cristo che ha patito e trovato la morte in croce.
E facile immaginare che qualche parrocchiano brontoli fra sè, visto che i sermoni son sempre diretti verso i poveri, che già hanno tanto da tribolare.

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Nella sua immaginazione vorrebbe un vescovo incisivo contro chi èpadrone della terra, che pretende le regalie di capponi, uova, frutta, contro il prete mai contento di offerte, oboli e prestazioni per mantenere chiesa e canonica.
Ma il villico è abituato ad ascoltare a testa bassa e bruciare i suoi rancori nelle viscere dello stomaco, troppo spesso vuoto. Magari potrà dire la sua, dopo che il vescovo ha fatto le valigie, in una bettola del paese, nella quale con un boccale divino in pancia, senza farsi sentire dai preti si può dire anche la propria ragione e a voce alta.
Sul coro i notabili tengono la testa alta. Le signore si guardano per verificare il miglior vestito e la migliore acconciatura.
Il sermone termina e le cerimonie continuano. Viene impartita la Cresima. Poi il vescovo visita il cimitero. Nel pomeriggio c'è l'incontro con i ragazzi della Dottrina Cristiana, la visita agli oratori ed il ricevimento di tutti coloro che hanno da comunicare con il prelato.
Per la ricognizione alle chiese campestri, spesso il Barbarigo, già affaticato, demanda ad altri il compito di raggiungere gli edifici sacri situati in montagna, ad esempio San 'Alberto nellaparrocchia di San Pietro di Barbozza. Ma vuole poi avere in mano una relazione dettagliata dei casi. Anzi pretende che nella relazione siano descritte le rendite, gli eventuali debitori del beneficio, gli usurpi, quali sono i massari, come e quando si celebra.
Non è una impresa facile. Nel valdobbiadenese le chiese sono tante. Già quelle di matrice parrocchiale richiedono finanziamenti continui per la manutenzione, altre campestri sono in abbandono, alcuni oratori di jus privato sono a discrezione dei proprietari, come quello di San Biagio di Stana jus di un arciprete di Montegalda, poi lasciato, quasi in affitto, a dei mercanti Ferrari di Venezia, i quali hanno acquistato tutte le proprietà circostanti.
E poi c'è il convento dei Cappuccini a San Gregorio. Una spina nel fianco per il Monsignore della Pieve di Valdobbiadene. Il convento distoglie i popolani dalla sua Cura, esso è una attrazione devozionale che non riesce a digerire, e protesta: il convento rappresenta una violazione di "jus"; e poi i frati sono molto più accondiscendenti nelle confessioni e poi, a dir il vero, le offerte che vengono lasciate in San Gregorio, non vengono riposte nelle cosiddette "casselle" della chiesa matrice di Santa Maria Assunta. Ancora, dalla sua prima visita pastorale, il Barbarigo si trova di fronte ad una insistente protesta del clero valdobbiadenese. I preti sono stanchi di far parte della Pieve di Quero. Vogliono essere autonomi ed incitano il prelato a dividere quelli al di là e quelli al di qua del Piave. Lamentano che è difficile passare "la Piave" soprattutto in periodo di piena, lamentano la distanza e poi, sotto sotto, non si sentono minimamente legati a Quero. Già la vallata valdobbiadenese da Segusino a Guia San Giacomo è per estensione consistente ed i problemi non mancano. Nella seconda visita pastorale poi deve risolvere anche la ormai decennale diatriba fra San Giacomo di Guia e Santo

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Stefano. Le due comunità non vogliono assolutamente più stare insieme, perchè un solo prete non è sufficiente neppure a seppellire i morti e dare il battesimo ai neonati: sono in lotta da più di cento anni.
Il Barbarigo è paziente: ascolta tutti, sente i bisogni, cerca di rimediare, non vuole che le due comunità siano in continuo conflitto, perchè ha capito che spesso gli interessi di confini vengono scambiati con faccende di fede.
Venendo alla cronaca spicciola: nella prima visita del settembre 1666, a Segusino il vescovo rileva che nell'oratorio di San Gervasio c'è un eremita, ma questi deve sottostare al parroco.
E un certo fra Pietro Curzato da Sarcedo vicentino. In quella chiesa non si celebra messa, perchè è diroccata. La sua elezione, dato interessante, avviene da parte della Regola di Segusino(2).
Rettore della parrocchia è don Antonio Rochesan il quale, nella sua relazione annota che il vescovo deve cresimare ben 92 persone. Circa gli abusi confessa al Barbarigo che i banchi della parrocchiale sono disposti malamente, tanto che sono di impedimento a tutti coloro che vanno all'altare maggiore per la Comunione. Continua il Rochesan: "Alcuni uomini stano in su la porta delle done et molte volte da me ammoniti non volgiono desistere(3)".
115 settembre 1666 il Barbarigo è in Guia San Giacomo. Fra le tante cose in discussione, il Cardinale vuole sapere, ancora una volta, l'identità di un altro eremita presente in paese. Questo proliferare di frati che occupano oratori abbandonati non gli va a genio. Troppi cadono in errore dottrinale e spesso il volgo rimane attratto inconsapevolmente da questi nuovi asceti. Il tutto deve essere ricondotto nei confini della Chiesa post-tridentina. Gasparo Poletti, rettore, a garanzia, così dichiara per iscritto al vescovo: "Attesto io infrascritto a Vostra Eccellenza Reverendissima come l'eremita fra Giacomo Da Genova, hora abitante in Guia, Diocese di Padova per lo spatio d'anni nove habbi visuto e vive di buonissimo essempio e di vita lontana d'ogni scandolo e frequenta le sante confessioni e communioni nella chiesa parochiale di San Giacomo di Guia e per tanto humile riccorre alla benignità di Vostra Eminenza per esseer confirmato nel suo Eremo(4)".
In Bigolino il 3 settembre, dalla relazione del rettore Carlo Mazzolenis si viene anche a conoscere che la chiesa contiene altari di pregio. Quello maggiore titolato a San Michele Arcangelo è ligneo e dorato con una pala di cui non si conosce l'autore; quello dedicato alla Vergine Maria è ancora di legno con "le imagini di rilievo tutto dorato"; quello di Sant'Antonio Abate

2) Archivio Curia Vescovile Padova, Visitationes, voi. XXXIII, f. 90r.
3) Ibidem, f. 86r.
4) Ibidem, f. 87r.

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ha la stessa architettura del precedente ed il quarto, del Rosario, di legno, porta "una pitura bellissima(5)".
Complessa è la visita nella Pieve di Santa Maria Assunta in Valdobbiadene.
L'allora arciprete don Domenico Pateano diligentemente fornisce al Barbarigo ogni tipo di informazione relativa alla struttura sia materiale che spirituale della parrocchia.
Oltre l'interessantissima descrizione di ciò che contiene l'edificio, la varietà delle confraternite annesse agli altari, il numero dei legati, non dimentica gli oratori,i benefici, il numero dei preti, dei medici e delle comari.
Ma in particolare si sofferma al capitolo caro al Barbarigo, quello della Dottrina Cristiana.
Infatti scrive: "La Dottrina Cristiana s'insegna et questa si prattica nel seguente modo. Ogni domenica dopo il mezo giorno si da il segno tre volte, in breve spatio, con la campana minore, tratanto nel confine della parochia verso oriente incominicano alla Villa di Riva, se ne viene verso la chiesa un homo da bene guidando fanciulli con una croce et nel confine verso occidente (dov'è la parochia più numerosa) due altri huomini pur con la croce, cantando le Litanie della Beata Vergine, vanno guidando come sopra.
Dopo di questo, distribuiti i fanciulli mezzi per parte del coro, più o meno et divisi in sei classi, conforme i segni affissi et asiegnato per ciascun luoco un maestro o anco due conforme il numero de maestri e di figlioli, s'è l'insegnano ai più piccoli il Pater e l'Ave ad uno ad uno et così similmente in un altro luoco il Credo, latino e volgarmente. In un altro i Comandamenti, in un altro i Sacramenti, in un altro il resto della Dottrina breve, hauto sempre riguardo alla capacità de' figlioli, li quali per lo più non sanno leggere et sono idioti et grossolani et nella penultima classe, dove io sogli assistere, oltre la precisa del testo della Dottrina, procuro d' eccitarli con qualche interrogatione et dichiarationi con qualche espressione breve, facile e famigliare. Et il sestile, in altro loco dei Commandamenti, suol praticare un altro maestro sacerdote, che è il signor don Regino, il quale anco ha cura di sciegliere quei che sanno leggere et imparano la Dottrina a mente et li manda nel sesto luoco a studiare la loro lettione, et nel fine della Dottrina s'ellegono di quelli, due et alle volte quattro, che ripetino con voce alta sopra de pulpitini a tal uso, una parte o due della Dottrina breve. Il che fornito, si canta in Choro le Litanie, il Pater, l'Ave Maria, il Credo etc. come nel fine della Dottrina et in ultimo, la Laude et poi si dice il Vespro consueto".
Questa descrizione è forse una delle più interessanti e complete riportate nei questionari forniti dal vescovo. Spesso esse sono incomplete, mancano di dettagli, si rivolgono con qualche accenno: segno questo che la Dottrina

5) Ibidem, f. 38r.

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Cristiana si insegna a bocconi. A volte il discorso si chiude con l'affermare che questa fondamentale pratica religiosa viene penalizzata perchè i fanciulli sono addetti ai lavori campestri, a pascolare capre, pecore e vacche, a fare fienagioni. Oppure incide la stagione con neve, pioggia. Stadi fatto che nelle piccole parrocchie rurali, insegnare la Dottrina è un vero proprio dramma. E questo anche perchè i genitori poco sono propensi a mandare i propri figli a questa scuola, visti gli impegni all'interno della casa. Tante volte il parroco cala le "braghe" e si appella al vescovo che rimproveri i fedeli a mandare i fanciulli alla Dottrina, considerando un tale insegnamento fondamentale per la vita spirituale.
Ed il Pateano conclude la sua relazione: "Li maestri per l'ordinario sono il Reverendo signor Reghini, singolarmente assiduo, il signor Giovanni Prodocimo, cappellano; il signor don Gregorio Zanoni, sacerdote, don Horatio, chierico, Agostino Bello da Ron, Piero Dall'Acqua da Martignago, Simone Vernazza da Funer, Domenico detto Croppo (che conducono anco fanciulli alla Dottrina massime questi due ultimi), Antonio De Vidi detto Romano. Vengono poi spesse volte don Tomaso Schirato, don Antonio Bottignolo, Domenico Picolo da Ron et altri ancora. Io sempre procuro d'intervenire, mentre io non sono da legittimo impedimento trattenuto.
Il numero de' figlioli è vario conforme la varietà de tempi et affari di contadini. Io havendo la mira al numero cento cinquanta de fanciulli e figliuoli che si ritrovano nella parochia veduto ciò dalla Descrittione delle Anime, procuro d'esser non spesso i padri e madri ad esser in ciò solleciti, perchè venghino et l'inverno et la Quadragesima sogliono essere molto numerosi.
La dottrina per le figliole s'insegna nella chiesa di Santa Giustina nella soddetta guisa rispective, cioè distribuita in diverse classi. V'intervengono maestre la signora Felicita relitta del quondam signor Valentin Dalle Armi, sua figlia Bona, madonna Maria figlia di messer Andrea Dalle Armi, madonna Marietta moglie di messer Zuanne Dal Ceio, Maria moglie di Zuanne Martinello, Margarita relitta del quondam Francesco Bioto et altre diverse. Et vi sono anco molte putte che recitano della dottrina breve a mente. Molte volte l'ho vedute ch'empiono la chiesa et alle volte anco pocche conforme ai tempi et suoi affari(6)".
La seconda visita pastorale Gregorio Barbarigo la compie nel mese di ottobre del 1674.
Alla Pieve di Valdobbiadene ad attenderlo è sempre 1' arciprete Giovanni Domenico Pateano il quale si lamenta con il prelato di alcuni abusi che non riesce a togliere nei suoi fedeli.

6) Ibidem, ff. 12v-13r.

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In primo luogo i parrocchiani sono soliti "star con poca riverenza in chiesa e ciò appoggiati agli altari e dentro li cancelli, come altresì in certi luochi troppo in prospettiva alle donne". Qualcuno sarebbe poi da scomunica in quanto è spesso propenso a metter mano alle armi e a scatenare risse all'interno del cimitero, senza alcun rispetto al luogo sacro. E continua:
"Parmi un grande abuso quello che pur spesso avviene et è che a petitione del terzo e del quarto a sacerdoti si celebri missa in dì festivo in vanii oratorii di questa parochia avanti la missa parochiale, anco che sia per sodisfattione di qualche legato, potendosi e dovendosi ciò diferire, aciò non resti smembrato il popolo con tanto danno delle anime dalla loro chiesa principale e in questo sarà di molto bene anzi necessità che Vostra Eminenza ne faccia Decreto, aciò aprendino l'importanza del fatto. Di più: che per segno di ossequio alla Matrice, che almeno una volta all'anno, il dì di Pasqua, si cessi anco di celebrar in detti oratori o chiese, ma si dia la messa in la chiesa Matrice soddetta".
Ma al Pateano sta a cuore un altro disordine: "Vi è anco un altro abuso et è di quelli e quali sopravenendo qualche accidente d'infermità incognita alla loro pocca capacità, overo ai loro figlioli subito credendosi d'essere maleficati, corrono a farsi segnare o benedire da padri cappuccini, dove dandosi, com'è giusto, le beneditioni et essorcismi della Chiesa, ma andarli a ricevere con suppositione d'aver il male senza sufficiente segno e fondamento, è una cosa fomentatrice di mormorationi, di giudicii temerarli, di odii, di denigration della fama, come l'esperienza m'insegna e tanto più se avviene che chi lo segna parli con poca cautella". E non è finita la sequenza delle lamentele: "Vi è in questa parochia un altro abuso o disordine infra gl'altri si essorbitante e massimo che solo esso vale per mille et è la trascuratezza la maggior parte de parochiani di venir a messa et altri divini uffici la festa questa chiesa parochiale. Ascoltano una semplice messa nella chiesa de padri cappuccini (situata nel cuor della parochia, il che è l'unica cagione di questo disordine) nel resto addio dottrina Cristiana e mill' altre cose che infra l'anno doverebbero venir a sentire dalla boca del paroco, quindi nasce, a mio credere, l'ignoranza di tante cose necessarie per questa colpevole ommissione e negligenza e per questa causa Dio non provvede, sarà sempre questa parochia al vero irreparabile. Vego difficile il rimedio, trattandosi di Regolari, innamovibili il vero per mille altri capi, ma per questo, sempre poco utili in luoco". E conclude abbastanza ferocemente!' arciprete: "Tuttavia se Vostra Eminenza ha qualche authorità l'eserciti, che certo sarà molto ben impiegata e se non in altro, almeno può essercitarla verso il popolo suo suddetto in quel modo che si dice(7)".

7) Ibidem, Visitationes, voi. XLIII, ff. l85r-186v.

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L' 11 ottobre il Barbarigo è in Bigolino. Ed in questa parrocchia non ci pensa due volte a sospendere "a divinis" il parroco don Carlo Mazzolenis, responsabile di non insegnare la Dottrina Cristiana. Infatti, il vescovo iniziato l'esame della Dottrina e questo pubblicamente, chiese al rettore il registro. Si sentì rispondere che non l'aveva ancora fatto e che non c'erano nè classi, nè "operarii", nè elenchi di iscritti. Il Barbarigo volle interrogare il popolo di queste manchevolezze gravi e ricevutane risposte allarmanti non fece altro che rimuovere il prete, ammonirlo di non aver eseguito gli ordini della visita del 1666 e di delegare il cappellano nell'amministrazione dei Sacramenti(8).
1113 ottobre il vescovo arriva a San Pietro di Barbozza. Fra le altre cose si trova a dover risolvere una penosa questione dagli abitanti del colmello di Saccol, i quali protestano che appartenendo alla Regola di Bigolino, ma da sempre alla parrocchia di San Pietro, sono costretti a pagare alla chiesa di "san Michiel di Bigolin" delle "spese, nè utili, nè necessarie, nè meno superflue o arbitarrie".
Dunque chiedono al Barbarigo un Decreto che ponga fine a questo scandalo. Ed il Barbarigo non si fa attendere: "uditi gli oltrascritti habitanti in Sacol, addimandanti che essendo retti in spirituale dal parocho di San Pietro, non siano rattati alle spese della visita di Bigolino et altre spese concernenti il governo spirituale della chiesa di Bigolino... concorrendo a quella di San Pietro senza pregiudicio nel resto delle colte temporali(9)".
E finalmente il 15 ottobre il cardinale, in visita a Guia San Giacomo, pone fine al secolare scontro tra le due comunità di San Giacomo e Santo Stefano, istituendo la parrocchia autonoma di Santo Stefano.
Così afferma il Barbarigo: "Devono i pastori d'anime attendere sempre alla salvezza di quelle, sia procurando quanto è necessario a sostentarla, sia rimuovendo quanto è di ostacolo. Abbiamo dunque appreso nella presente visita pastorale alle popolazioni e alle chiese di Guia e di Santo Stefano, che gli abitanti del paese e del Comune di Santo Stefano possono attendere a questa chiesa di San Giacomo di Guia per ricevere i sacramenti ed assistere gli uffici divini solo con grandi difficoltà, per la distanza e l'asprezza delle vie. D'altra parte, neppure il parroco e la popolazione di Guia per gli stessi motivi possono facilmente raggiungere la chiesa di Santo Stefano. Inoltre, a causa della pretesa di quelle popolazioni di udir messa a feste alterne in dette chiese di San Giacomo di Guia e di Santo Stefano, sono divampate liti, non solo con grandi spese, ma che con pericolo e pregiudizio della salvezza eterna.

8) Ibidem, ff. 195v-196r.
9) Ibidem, f. 268r-v

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Perciò volendo, come siamo tenuti, rimediare a questi mali, sia in virtù della nostra autorità ordinaria, sia agendo per delegazione della Sede Apostolica, secondo le disposizioni del sacro Concilio di Trento, col presente Decreto separiamo l'una dall'altra le dette chiese e popolazioni di San Giacomo di Guia e Santo Stefano e costituiamo ed erigiamo in parrocchiale la chiesa di Santo Stefano con la concessione del Fonte Battesimale e con tutti gli altri diritti propri delle chiese parrocchiali(10)".
La terza visita il Barbarigo la compie nel maggio del 1686.
Il 22 è presso la Pieve, dove trova sempre l'arciprete Pateano, il quale fa presente al cardinale ancora degli abusi persistenti: "abuso è in questi luochi di villa l'amoreggiare secretamente i giovani e le giovane nubili che parlano da soli e sole con permissioni de loro genitori et indi ne nasce il darsi clandestinamente e fede di futuro matrimonio quale poi o non mantengono o gli serve di occasione d'avanzarsi a maggiori eccessi. Abuso è lasciar dormir assieme i figlioli e le figliole dopo arrivati ad una certa età e molto peggiore il tenerli seco coniugati senza le dovute cautele(11)".
Non era facile risolvere questo problema. Le case dei contadini erano piccole, spesso abitabili erano solamente due stanze: la cucina e la camera degli sposi. Quando c'erano due camere era un lusso.
Nel momento in cui la famiglia tendeva ad aumentare, i problemi venivano risolti semplicemente ricoverando i vecchi in cucina e piazzando i figli nel piano superiore, in tutta promisquità; quelli che non trovavano spazio nel luogo destinato, dovevano per forza dormire con i genitori, i quali spesso, non aspettavano di certo che i figli fossero presi dal sonno per adempiere ai doveri matrimoniali. E poi c'era il costume di far dormire in un unico letto i maschi al capezzale e le femmine al "cavezale". Certamente, a quindici anni l'incrociarsi delle gambe, i cosiddetti toccamenti involontari, erano diventati motivo di confessione ed il Pateano si preoccupa, anzi èconsapevole della gravità del problema ed è pur consapevole che tanti nascituri vanno a finire presso gli esposti di Treviso.
Dunque al vescovo non si può nascondere questa verità. Non si preoccupano assolutamente gli altri parroci della Valdobbiadene, i quali tacciono e fanno finta di non conoscere assolutamente quello che succede all'interno delle case coperte a paglia. La Pieve di Valdobbiadene raggiunge i duemila abitanti, le parrocchie soggette dalle ottocento alle cinquecento anime e dislocate non solo in centri abitati, ma in quelle case sparse fra le colline raggiungibili con difficoltà. Perciò il rettore può sapere o non sapere ciò che

10) Ibidem, Dismembrationes.
Il) Ibidem, Visitationes, voi. LIV, f. 20 r.

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accade in casa. Ha solo in mano, al momento della visita pastorale, la certezza che le anime da Comunione hanno assolto l'obbligo della Confessione e della Comunione Pasquale, perchè ha visto il penitente accostarsi al confessionale ed alla balaustra. Per tutto il resto è buio assoluto. Ed è facile immaginare che nessun villico si sia recato dal parroco a lamentarsi che la sua casa non è in grado di contenere le persone: vecchi, figli, genitori, parenti e che possono accadere certi fatti.
Diventa spesso un fatto scontato e con tutte le conseguenze.
In Bigolino, il 24 maggio, il Barbarigo trova finalmente la parrocchia funzionante, Don Pietro Mazzolenis, sospeso "a divinis", ha cominciato veramente a fare il rettore e tralasciare gli affari della sua famiglia. Ha presentato, per l'occasione, una relazione puntigliosa e corretta dello stato della sua Cura, sia a livello materiale che spirituale. Ha ripreso a funzionare anche la Dottrina Cristiana, la quale nella visita precedente era stata motivo di dolorosi ed inqualificabili provvedimenti. E così scrive per il cardinale:
"La Dottrina Cristiana s'insegna ogni domenica e perciò per il buon progresso della medesima sono destinati gli operarii e sono distribuite le classi con li loro maestri e silentieri notati nella cartella nella quale anco si legono li fanciulli a' quali devono insegnare.
Ogni domenica si fanno fare le dispute sì de fanciulli, come de fanciulle se vene sono, si fa la interogatione et ogni cosa si registra dal cancelliere destinato.
Ogni giorno che si fa Dottrina, con chiarezza maggiore da me et anco da altri viene spiegata la dottrina punto per punto et nel fine si fanno cantare una delle Lodi, il Pater Noster, l'Ave Maria come nella Dottrina medesima ci vien prescritto et in questa pia opera non si scorge nessun abuso(12)".
In San Pietro di Barbozza, il 25 maggio il Barbarigo è in visita. Non si lascia un momento di tregua. E non solo lui, ma anche le popolazioni soggette che da mesi si son messe in agitazione ed apprensione.
Il 26 è nelle due parrocchie di Guia e Santo Stefano. In Guia, il parroco
è esasperato perchè le donne durante le processioni sono distratte dai maschi
e nelle funzioni in chiesa gettano sguardi altrove, invece di seguire la messa.
Afferma: "Queste sono degne d'esser riprese dall'Eminentissimo che ne
sperarà frutto doppo esser avvertite dall 'Eminentissimo( 13)".
E questo diventa eternamente un problema: le donne, come la maledizione, l'immagine della perversione, la corruzione degli uomini perfetti, sia in casa che in chiesa. Dunque separare. Mettere veli in chiesa per non contaminare i sessi, intervenire all'interno delle pubbliche processioni, soprattutto

12) Ibidem, 22r-v.
13) Ibidem, f. 68r.

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fatte di sera, come quella del Venerdì Santo, dove l'occhio e le mani navigano. Dunque terrore che il sesso diventi un simbolo e schiacci la fede, le regole, l'educazione cristiana costruita sugli oposcoli del libretto della Dottrina Cristiana e sulla Sacra Famiglia.
Tutto questo secolo è infatti attraversato da tensioni relative a questo aspetto. I documenti delle visite pastorali lasciano filtrare queste preoccupazioni dei rettori.
Dopo esser passato per San Vito, il vescovo si reca in Segusino. Ed anche qui il rettore calca la mano sull'aspetto prima accennato: "li abusi sono che volgiono continuare con li suoi filò, benchè siano avertiti li padri et madri di haver cura de suoi figlioli et figliole(14)".
Fortunatamente inconfessi non ce ne sono, pubblici bestemmiatori neppure, ma gli uomini, in chiesa non si comportano nel modo dovuto: "Circa la iriverenza alle chiese è che alcuni stano su la porta delle done mentre si celebra la Santa Messa ed altri divini offitii". Le donne, per gli uomini, secondo il curato, diventano più importanti delle celebrazioni dell 'Eucarestia. Il Barbarigo deve intervenire con un suo decreto.
Ed il cardinale, nel 1694, già aggravato degli acciacchi, intraprende in settembre la sua quarta e ultima visita pastorale nel territorio valdobbiadenese. Morirà tre anni dopo, già a voce del popolo da canonizzare.
Il 24 è in Santa Maria Assunta e a riceverlo, ormai da tanto tempo è il vecchio arciprete Pateano. Come sempre la sua relazione è impeccabile e non trascura di fornire l'elenco di tutti gli ecclesiastici che celebrano nei vari oratori della parrocchia e dei quali pretende la dovuta soggezione.
Fra i tanti nomina don Angelo Fabro, cappellano e confessore; don Pietro Salvadri, confessore; don Giuseppe Dall'Armi, di anni 35, il quale celebra all'altare di San Bartolomeo; don Giovanni Antonio Bindoli, sacerdote oblato di anni 30 e che fa scuola; don Giovanni Canal di anni 59 alle dipendenze del conte Collalto; don Giovanni Battista Marconi, priore di Santo Spirito; don Domenico Donadini di anni 27, insegnante; don Francesco Laverzari di 32 anni e don Pietro Biasiotto, chierico di anni 18, il quale fornisce i suoi servizi nella chiesa. Di più nel convento dei cappuccini a San Gregorio, vivono dodici frati. Con questi, la polemica sembra finita, visto che si limita a citarne la sola presenza. Il Pateano ha un cruccio nello stomaco: l'unico inconfesso è il signor Lodovico Marconi il quale coabita con don Giovanni Battista Marconi nel Priorato di Santo Spirito. Ma di questo personaggio, i cui atti notarili dell'epoca sono pieni zeppi, non sa dire altro(15).

14) Ibidem, f. 96v.
15) Ibidem, Visitationes, voi. LX, ff. 45r. e segg.

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Fra il 25 ed il 26 settembre è in Bigolino. In questa occasione merita segnalare un episodio significativo. Come si è detto, il vescovo dedica parecchio del suo tempo ad ascoltare il popolo per cercare di risolvere i problemi. Questa domenica del 26 chiede udienza un certo Pasquale Bartolomeo del fu Barochei, da poco tempo rimasto vedovo. Deve assolutamente denunciare al prelato per "scarico" della sua coscienza, che nella sua parrocchia di San Pietro di Barbozza, una vecchia abitante nella Regola di Barbozza, dal nome Mattia De Poi, vedova Zotta, è una "dottora che va da per tutto" ad esercitare i suoi riti magici per guarire, a suon di lucro, le persone. Pasquale è un testimone diretto dei fatti. Un mese prima, la megera sarebbe entrata nella sua casa sapendo che sua moglie Lucia era in attesa di un bambino e "havendola veduta gravida", con certi raggiri, le avrebbe chiesto che "in caso la sua creatura nascesse con una teleta gliela rancurasse", visto che altre due donne partorienti erano state disponibili a mettere da parte questa "teleta". Il cancelliere del cardinale non trascura nulla di questa confessione animata di Pasquale e così trascrive: "Ho inteso dire che queste disgraziate che procurano haver dette telete, quando le hanno, le mettono sopra la pietra sacra ove il sacerdote celebra e che poi la levano e le danno a qualch'uno, quale portando detta teleta adosso non può essere offeso con alcun arma(16)". Immediatamente il Barbarigo si preoccupa di questa situazione che certo mette scompiglio all'interno della comunità (il parroco di San Pietro di Barbozza non denuncia nessun abuso in merito) e fa convocare la donna, il giorno dopo, mentre è in visita pastorale a Guia San Giacomo. Le voci immediatamente si spargono nelle Regole. La gente vuole sapere. Ma il Barbarigo, come sempre, vuole essere discreto. Non ripete il gesto del parroco di Bigolino, ma chiama la donna in una stanza delle canonica di Guia. Il Cardinale è ben consapevole di come queste favole siano di dominio pubblico e va immediatamente al sodo. Fa una sola domanda: "Se habbi mai ricercato alcuna donna gravida che in caso la creatura nascesse con una teleta gliela rincurase". La povera Mattia di Poi "tremebunda", esasperata di tutta questa storia calata sulle spalle senza rendersene conto, in paesi poi amici,


16) Ibidem, f. 101 r-v. In merito nel suo saggio L. BILLANOVIH VITALE in Contributi alla storia della chiesa padovana nell'età moderna e contemporanea 2, Padova, p. 96, n. 204 "Ècorrente nel dialetto veneto l'uso di "teleta" per mambrane divario tipo, anche corporee: nel contesto non può che trattarsi di placenta. Del resto il caso qui presentato è espressione chiara di una tradizione culturale assai viva e diffusa che attribuiva alla membrana amniotica virtù magiche (basti il richiamo ai benandanti che traevano dall'essere nati avvocati nella "camicia" il segno della loro elezione) e il rito cui si fa riferimento è ben attestato nella cultura popolare, proprio nella medesima versione della placenta che posta sotto la tovaglia dell'altare acquisiva il potere di rendere invulnerabili".

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non può altro che, baciando l'anello del Barbarigo, rispondere: "Signor no, Signor no, che non faccio di queste cose". Ma poi una affermazione a suo discreto: "Son bene stata ricercata da Valentin Liroi da San Piero a trovarli una teleta, ma li dissi non voler trovar niente, che non faccio di queste cose". Il Barbarigo non vuole procedere oltre. Qualla povera donna, forse ingiustamente accusata di atti di stregoneria, non aveva nessuna colpa di essere ulteriormente inquisita. Mattia avrà fatto certamente tre volte il segno della croce nel momento in cui il Cardinale le avrà detto: vai! Da quel momento le cronache tacciono. E credibile anche che le mormorazioni all'interno della parrocchia di San Pietro di Barbozza abbiano avuto termine. Il Barbarigo non era un uomo qualunque.
Questa visita pastorale per il Cardinale è la più difficile; per arrivare a San Pietro di Barbozza dovettero trasportarlo in una portantina, "vulgo sedia" e come afferma il verbale "ex causa viarum nimis arduarum".
E più difficoltà trova arrivando in Santo Stefano a visitare la parrocchiale situata proprio sotto la montagna e distante dal paese abitato.
Ed il parroco Giovanni Battista Bertuolo si lamenta: "Pocca frequenza in chiesa di tutto il popo1o per esser questa così incommoda e lontana, dalla quale infrequnza nascono disordini e nè matrimonii e nell'osservare le vigilie e feste commandate e che si raccomandarono alla messa parocchiale, onde è di necessità levar l'abuso e la causa e questo si leverà col trasportar il Santissimo Sacramento alla chiesa di San Rocco per essere questa natta, anco fabbricata ad uso e beneficio del Commun di San Stefano, oltre il pericolo et rischo che si espone di qualche svaliggio delle suppeletili sacre in detta chiesa di San Stefano, per esser così lontana dalli habitanti et rischio di lasciar pure l'anime senza il Santissimo Viatico alli poveri infermi, essendo questo pure preceto divino e ciò m'è ocorso più volte per essere gl'infermi lontani et lontana et incomoda la chiesa. Tanto più che la maggior parte della popolazione concorre col suo parere al Jus patronato de Balii, ma servirsi di quella per puro commodo de fedeli et del proprio parocho".
Dunque il Barbarigo non può in questa visita far finta di non conoscere i problemi della comunità. Ma non interviene, lascia le cose come stanno. La popolazione dovrà attendere il 24 febbraio 1784 perchè la chiesa parrocchiale fosse definitivamente trasferita nel centro del paese dove era situato l'oratorio di San Rocco e sempre dietro interminabili dispendi di energie in fatto di petizioni, di accordi e a tutto scapito del buon vivere.
Ma in quell'ultima visita del Barbarigo, Il Bertuolo ha altre cose da dire
al cardinale. In parrocchia ci sono usurai, un certo Francesco Messedaglia
e Paolo Follador e donna Marina Pilizzata moglie di messer Piero. Questi
comprano e vendono. Tengono una sorta di banco dei pegni. La gente ricorre
a loro per bisogno, poi insorgono le tragedie.
E non solo. Nella parrocchia di Santo Stefano il mansionario di San Rocco, Bartolamio Zaniboni non assolve gli obblichi della mansioneria,

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secondo i fondamenti della sua istituzione nella seconda metà del Cinquecento. Dopo aver ascoltato le parti interessate, il Cardinale ordina allo Zaniboni di pagare i suoi debiti di parecchi ducati a Cattarina Dalla Rossa ed ai suoi figli e questo sotto pena di "sospentione a divinis per facto incurrenda in caso di contraffation& 17)"
Nei giorni successivi, il Barbarigo visita le altre parrochie. ascolta i villici e detta gli ordini ai rettori perchè entro breve termine il tutto debba funzionare a seconda dei canoni predisposti: altari, casa canonica, arredi sacri, e soprattutto registri dei battesimi, cresimati, matrimoni, morti, dottrina cristiana, confraternite, Benefici.
Il Barbarigo prima di partire vuole lasciare un segno, ma non solo quello, delle sue osservazioni. La sua chiesa è dentro la comunità, è educazione, prima dei preti, poi dei ragazzi, poi delle persone mature. Perdona gli errori della gente, non perdona quelli dei parroci. Il Barbarigo, in effetti, prima di considerarsi vescovo, si sentiva nell'animo il più povero pastore di anime.

17)Ibidem, ff.136v-137r-v


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