Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°10 - 1997 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

I CASTAGNETI DELLE PREALPI TRE VIGIANE

Come è noto, la provincia di Treviso, detta un tempo Marca Trevigiana, è considerata comunemente una provincia di pianura posta all'estremità orientale del Veneto a confine con la regione Friuli - Venezia Giulia.
Verso l'estremità settentrionale essa presenta, però, una serie di rilievi collinari e montani (a confine con la provincia di Belluno) sui quali è presente il 90% dei suoi boschi e tutti quelli di castagno.
Le due zone, collinare e montana, possono essere comprese in un ideale rettangolo molto allungato che si estende dal Monte Grappa al Cansiglio. Il limite settentrionale è dato dalla serie di cime delle cosiddette Prealpi Bellunesi, quello meridionale dalla strada nazionale "Pontebbana" e dalla provinciale "Schiavonesca". I confini orientali ed occidentale sono dati, rispettivamente, dal fiume Meschio e dal limite di provincia con Vicenza.
Questo rettangolo è diviso in due parti disuguali dal Piave, parti che in seguito verranno chiamate sottozone: la Destra (dal Grappa al fiume) e la Sinistra (dal fiume al Cansiglio) in analogia a quanto fu determinato dalla statistica agraria e forestale del 1929. Fra la zona collinare e quella più propriamente montana, di diversa origine geologica, corre una strada che in pratica ne segna il limite.
Una caratteristica dei comuni "pedemontani" è quella della loro topografia allungata, tale da occupare il monte, il colle e il piano. Questo fenomeno, particolarmente evidente in Destra Piave, è probabilmente legato alla storia dell'origine e dell'evolversi di quei Comuni, i cui abitanti potevano godere


PROF. ANTONIO GABRIELLI. Già funzionario del Corpo Forestale dello Stato e Consigliere dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali di Firenze. Studioso ed esperto di storia forestale, del paesaggio e di selvicoltura.

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dell'agricoltura (in piano) dei pascoli e della legna (in colle ed in monte). Analoga la situazione in Sinistra Piave ma assai meno evidente, date le scarsissime pianure interposte, saldandosi spesso la parte montana a quella collinare sottostante.
Se l'ISTAT divide la provincia di Treviso nelle due zone orografiche di pianura e di collina, la legge sulla montagna del 1952 ebbe a classificare "montani" ben 15 comuni (3 interamente e 12 parzialmente). In tal modo la superficie "montana" della nostra provincia assume un valore di un certo rilievo portandosi al 12,2% di quella territoriale, con una superficie di oltre 30.000 ettari (pari al 29% di tutta l'area d'indagine) mentre l'area collinare raggiunge 73.000 ettari costituendo quasi il 30% dell'intera superficie della provincia.
Su 3990 ettari di boschi di castagno, fra cedui e fustaie, 1029 ettari appartengono al bacino del Soligo, il più importante della zona in Sinistra Piave.
Le Prealpi Trevigiane, ed in particolar modo la parte sub-alpina e collinare, sono abitate ininterrottamente fin da epoche preistoriche. Ritrovamenti antropici del Paleolitico si sono avuti ad Asolo, Castelcucco, Crespano del Grappa.
Più abbondanti i reperti del Neolitico in alcune zone di pianura o di bassa collina (Fonte, Maser, S. Zenone degli Ezzelini) che stanno a dimostrare come quei popoli avessero trovato in loco un ambiente favorevole di vita (pendici esposte al sole, anfratti e caverne, sorgenti d'acqua). Nel secondo millenio a.C. arrivano i Veneti (Paleoveneti) dall'Illiria, di tradizioni mercantili, che giungono nella regione in un periodo climatico caldo-arido (il cosiddetto optimun climatico postglaciale) e si trovano di fronte a boschi di tipo xerotermico, in presenza di numerose specie mediterranee (leccio, rosmarino, fillirea, ecc.).
Successivi periodi climatici più freschi ed umidi dovrebbero aver consentito la "discesa" del faggio se, come risulta da documenti medievali, le pendici settentrionali del Montello furono occupate da questa specie in consociazione col castagno.
In alcune ricerche palinologiche della Bertolanì-Marchetti, (1974) effettuate nei pressi di Arquà Petrarca, "il castagno compare e si afferma in concomitanza di un aumento del querceto misto ed una diminuzione del faggio" e non comparirebbe "prima del periodo subatiantico (dall'800 a.C. in poi) nell'area d'influenza della cerchia alpina, in quantità apprezzabili, anche se era già presente in tracce nel periodo precedente subboreale (dal 2500 all'800 a.C.)".
Secondo Lorenzoni (1977) "lo smoderato utilizzo del querceto nei boschi prealpini ha fatto sorgere un'associazione diversa, quella dell'ostrieto, caratterizzata da carpino nero, orniello, bagolaro. I querceti vengono così ad assumere un'importanza del tutto marginale tanto da pensare ad un ostrieto climax mentre esso è una formazione secondaria.

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Quindi troviamo gli ostrieti un po' dappertutto nelle situazioni mesofile e termo-mesofile con eccezione di ambienti troppo umidi dove invece troviamo il castagneto".
L'antica presenza di zone boscate è confermata da numerosi toponimi, come quelli di origine germanica (Longobardi) (gai, braida, silvarotunda) latina e veneta (selva, castagne, roveredo, radego). Il nome Refrontolo, oggi comune autonomo ma un tempo frazione di Pieve di Soligo, sembra derivare da un "rex frondium" cioè di zona disboscata. Tutta la vasta zona, compresa fra Refrontolo, S. Pietro di Feletto, Barbisano e Collalto, sembra che fosse, fino a circa due secoli or sono, una grande boscaglia di castagni, faggi e roveri dove vivevano diverse famiglie dedite al taglio dei legnami per conto della Serenissima.
Verso la metà del Secolo XVI tutto il territorio trevisano aveva una densità di popolazione di circa 70 abitanti per chilometro quadrato ed in una relazione del Capitano di Treviso Bragadin, fatta al Senato veneto nel 1537, si diceva "che mò è stà disboscando e redutto a pascoli comuni da circa 130 mille campi" cioè un'estensione pari a L. 70.000 ettari essendo il campo trevisano poco più di mezzo ettaro.
Analogamente in un'altra relazione del Podestà di Conegliano del 1609 si legge che "è assai ristretta la terra di Conegliano al presente di legne per esser stati distrutti i boschi ed in particolare cimate e stramate moltissime roveri... ed è manchevole medesimamente di legna da fabbricare e di carboni servendosi di questi da Serravalle e Ceneda e del resto dal Cadore e Cividale". Va detto anche che negli statuti del comune di Conegliano (che fu libero fin dal 1112) era prescritto che si facessero obbligatoriamente piantagioni di viti e di ulivi, mentre nel '600 e nel '700 vigeva ancora, sul territorio comunale, il diritto di pensionatico per i bestiami di passaggio.
Altrove, come a Cison Valmarino (il cui toponomi sembra derivare da cesa = bosco tagliato) si sviluppava una intensa attività agricola, ad opera della famiglia feudale dei Brandolini, che tenne la località per più di tre secoli ,con abbondanti vigneti e pascoli per le greggi che rifornivano di lana alcuni opifici dislocati sulla pedemontana.
Forse uno dei motivi per i quali il comune di Borso del Grappa non ha avuto castagneti era quello della prevalenza dei pastori i quali ,alla fine del XIII secolo, si ribellarono alle autorità comunali per i limiti loro imposti all'accesso e all'uso dei boschi e dei pascoli.
L'agricoltura della Trevisana, come del resto quella di tutto il Veneto, si dilata enormemente nel XVII e XVIII secolo ed anche i pascoli cominciano a far difetto, come risulta da una relazione di Domenico Pisani del 1762. Per rifarsi delle enormi spese subite con la guerra di Candia, la Serenissima fu costretta alla vendita di una parte dei beni comunali, cioè di quelli che si stimavano superflui rispetto ai fabbisogni locali. In tal modo vastissime

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estensioni di terre furono allineate o quanto meno sottratte ad ogni restrizione. L'esercizio continuo del pascolo e l'intensa produzione di carbone portarono alla definitiva scomparsa di molti boschi, specialmente sui Lessini, in tutta la bassa montagna e nelle colline dove un tempo c'erano anche estesi castagneti.
Un indice indiretto della "colonizzazione agraria" della repubblica veneta può essere fornito dalla presenza delle ville patrizie nell'entroterra, le quali hanno rappresentato centri di progresso agricolo. Il Sereni (1962) ne ha fatto una statistica notando che su un complesso di 1411 ville di interesse artistico oggi esistenti nella regione, non più di 22 risalgono ai secoli tra l'XI e il XIV, 84 al secolo XV, ben 257 al XVI, 322 al XVII e 403 al XVIII secolo.
Già dal 1756 la Serenissima aveva imposto, con una legge agraria, la piantagione, per ogni campo di terreno adatto, di quattro piante di ulivo o, in mancanza, di quattro castagni o altri fruttiferi. Le ripetute gelate che si verificarono fra il 1782 ed il 1789 spensero completamente l'olivicoltura nella Marca Trevigiana. Fra i boschi si salvarono, ancora per poco tempo, quello demaniali, fra i quali l'esempio più famoso, nella zona che ci riguarda, è quello del Montello.
Andrea Saccardo, in una breve nota del 1894, scriveva che il Montello "alla fine del Medio Evo non era una foresta compatta ed uniforme giacché vi rimanevano inclusi degli appezzamenti lavorati (detti masi) appartenenti a diversi proprietari che causavano molti danni al bosco". Di questi si ha notizie in una relazione di Angelo Correr del 1539 che dice di aver visto ceppaie tagliate fra le due terre e ricoperte in modo da non essere notate. Per questi motivi Venezia indemaniò il Montello nel 1587 facendo abbattere le case ivi esistenti. Nei governi che succedettero dopo la caduta della Serenissima, i danni aumentarono quanto più furono severe le leggi per contrastarli, ed in tal modo si arrivò alla completa distruzione del bosco.
Il Montello fu infatti sdemanializzato e quotizzato nell' 892 ed il commissario ripartitore delle terre fu, ironia della sorte, il noto ispettore forestale Carlo Giacomelli, che provvide a spartire i 5913 ettari del bosco in 1224 quote di circa 2 ettari e mezzo l'una da concedere ai "bisnenti" (poveri nullatenenti) e l'altra metà in 389 poderi, della superficie variabile da 6 a 14 ettari, da porsi in vendita dopo l'apertura dii 29 chilometri di strade poderali.
Il Saccardo (1984) notava che anche "dopo l'avvenuta distruzione dell'alto fusto di quercia, le ceppaie vegetano meravigliosamente e daranno in breve un ricchissimo ceduo".
Tuttavia "a nostro sommesso parere - continua l'insigne botanico - il ripristinamento del bosco, specie di castagno, più utile ai privati della quercia, sarà il prodotto più numerativo che si possa cavare dal Montello".
In base alle ricerche di Giampaolo Cagnin (s.d.), il castagno si trova citato nella zona del Montello fin dal 1291, in un contratto livellare a Giàvera; in un altro del 1331 a Volpago ed un altro ancora a Castegnè del 1344. "Nei

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contratti d'affitto - nota l'Autore - troviamo il castagno presente in una grande varietà di situazioni: in boschi di piccole dimensioni, sui prati, accanto a talvolta dentro i seminativi (dimidietatem nucum et castanearum dicte pecie arratorie)". Ma nel complesso dei contratti "le clausole riguardanti il castagno costituiscono una minoranza quasi trascurabile. Forse questa prassi, comune nell'Alto Medioevo, sembra dovuta al fatto che le attività economiche silvo - pastorali sfuggivano alla contrattazione scritta". Lo stesso Cagnin, infatti, informa "di non aver mai trovato negli elenchi di scorte alimentari, raccolte negli inventari, alcun accenno alla presenza di castagne". Inoltre "all'interno di grandi comunità, come i monasteri, la castagna come alimento appare appena di sfuggita. Nei bilanci dell'abbazia di Follina, ma siamo nel sec. XVI, si trova solo uno statio (Kg. 76 circa) ed una calvia di castagne, contro 530 statia di frumento, 101 di miglio, 50 di sorgo e 8 di fave".
Oggi il Montello è coperto da un bosco quasi puro di robinia (introdotta nel Lombardo - Veneto verso la fine del Settecento) ma anche una sessantina di anni fa il castagno aveva, come vedremo, superfici modeste.
In Destra Piave il Comune di Pederobba possiede "il più antico statuto che parli di castagni ed è un probabile frutto della grande carestia del 1347 e successiva peste del 1348 quando i cittadini decideranno lo sfruttamento alimentare della castagna che prima aveva un ruolo del tutto marginale" (Cagnin, op. cit.).
Bisognerà arrivare alla metà del XV secolo per sentire la necessità di obbligare le comunità agricole a piantare o incalmare annualmente un certo numero di pedali di castagno.
Comunque, sempre in Destra Piave, il documento più antico che parli di castagni è del 1192 a proposito di un bosco chiamato "Castagnedum". Identici toponimi troviamo a Paderno nel i325, a Crespano nel 1342 e ad Obledo nel i367.
È interessante fare qualche altra osservazione.
Pare ormai accertato che le migliori cultivar di marroni presenti nelle Prealpi Trevigiane siano da ascrivere, con lievi varianti, alla coltivar del "marrone fiorentino o casentinese". I possibili interrogativi che si pongono a questo proposito potrebbero riguardare la sua origine, se sia stata individuata in loco o introdotta e quindi comunque diffusa e coltivata nell'alto Trevigiano. Può darsi che nel pedemonte di Miane, di Combai odi Cison di Valmarino questa varietà sia stata naturalmente presente, apprezzata dalle popolazioni locali per i suoi frutti e da esse propagata artificialmente nelle migliori situazioni pedelogiche, climatiche, morfologiche ed economiche delle varie comunità. Del resto il Gera(i838) nel suo Dizionario nota che "è da credere che in più di un luogo l'agricoltore abbia incontrato, fra le infinite varietà di castagni, quella pianta a frutto straordinario e l'abbia moltiplicata. Questo caso accaduto in più luoghi, ha fissato molte varietà a frutto grosso

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tutte distinte da qualche leggiera differenza, ma però così somiglianti fra loro che sono state credute una sola e hanno ricevuto il nome della prima che la coltura ha posto in commercio".
Ma quando possono essersi verificati questi miglioramenti? E impossibile dare una risposta certa.
Le notizie riportate da Danilo Gasparini (1986) nei tre volumetti sulla "Civiltà del castagno", relative agli atti preparatori del catasto austriaco del distretto di Valdobbiadene, indicano una scarsa produttività sia quantitativa che qualitativa di quei castagneti. Va notato, tuttavia, che gli atti del catasto hanno una veridicità opinabile trattandosi di uno strumento fiscale. Del resto le stesse caratteristiche di scarsa produttività si ritrovano anche nei castagneti in Destra Piave.
Questi fatti potrebbero spiegare un miglioramento delle piante avvenuto dopo il 1825 che, peraltro, sembra testimoniato da una relativa "gioventù" dei soprassuoli (100-150 anni). Ma "1' incalmatura" con innesti pregiati e più produttivi poteva essersi verificata fin dal XV secolo o anche prima, come sostiene Gasparini, poiché, come si è visto, la Signoria veneta imponeva alle comunità di piantare ed innestare castagni.
Forse che le marze di "marrone fiorentino" furono importate nella Marca Trevigiana? La cosa certa è che Venezia e l'entroterra, e la Trevisana in primo luogo, furono centri di affari per molti mercanti fiorentini, fra i quali si distinsero, per durata, gli Alberti del Giudice, le cui carte sono state indagate da Armando Sapori (1982). Essi furono attivi in Venezia almeno dal 1302 al 1350 secondo i libri di commercio superstiti. Famiglia originaria del Casentino (Alpe di Catenaia), gli Alberti tennero vari e vasti Possedimenti, oltre che in Firenze, anche nel contado. Fra questi ultimi un nucleo di proprietà si era formato in Val di Lamone nell'Appennino di Marradi. Si noti che in Casentino, sull 'Alpe di Catenaia e a Marradi, il marrone diffusamente coltivato è il "marrone fiorentino o casentinese"!
Gino Luzzato (1961), nella sua storia di Venezia, afferma che i panni fiorentini erano presenti nel Trevigiano fin dal XV secolo e che quelli che affluivano a Venezia dovevano essere mandati a lavare in terraferma per scarsità di acqua dolce in città. Comunque la data più antica, documentariamente rintracciabile, della presenza dei panni fiorentini nella città lagunare, è il 1225.
Infine un ultimo caso, quello dei Soderini, non mercanti ma profughi da Firenze. Un tal Mico Soderini fu confinato a Treviso nel 1356. Niccolò fu esule anch'esso a Treviso nel 1466. Da un Antonio Soderini "procede un ramo stabilitosi a Venezia dove conseguì il patriziato nel 1656" per aver prestato alla Serenissima ben 140.000 ducati per la sfortunata guerra di Candia. Questo ramo dei Soderini ebbe una villa presso Nervesa, affrescata dal Tiepolo intorno al 1754 e distrutta durante la prima guerra mondiale.
Un'ultima interessante notizia è quella secondo la quale il "marrone

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fiorentino", sembra sia stata "importato" nella media Valsugana (comuni di Torcengo, Roncegno, Strigno e Spera) verso la metà del XVIII secolo su sollecitazione dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa che lo aveva, probabilmente, apprezzato presso i suoi stretti parenti in Toscana. Non è da escludere che esso provenisse da sud, forse proprio dal Trevisano o dal Vicentino, o che sia stato introdotto contemporaneamente nelle due regioni.


I boschi di castagno e le loro vicende

La statistica forestale ISTAT (1987) assegna alla provincia di Treviso 20.862 ettari in complesso, mentre per quelli di castagno il dato riguarda solo le fustaie: 641 ettari, di cui 389 da frutto. I cedui, dati in cifra globale e non distribuiti per specie, sono 13.128 ettari fra semplici e matricinati.
Dall'inventano dei boschi non pubblici del Veneto (1987) si desume che, per la provincia di Treviso, il ceduo di castagno rappresenta oltre il 25% di tutti i cedui, con 3349 ettari i quali, sommati a quelli della fustaia, danno 3990 ettari di boschi a prevalenza di castagno. Essi rappresentano poco più del 19% di tutti i boschi della provincia, che si colloca così a prima provincia castanicola del Veneto (per i boschi non pubblici).
La superficie dei castagneti a livello comunale è stata desunta planimetrando le relative superfici rappresentate nella Carta Forestale del Veneto del 1981, che risulta essere stata elaborata anche con rilievi a terra. Nella Tab. i sono riassunti i dati relativi alle zone di Destra e Sinistra Piave ed alle rispettive aree collinari e pedemontane.
Per il passato le informazioni statistiche sono assai frammentarie ed incerte. Fanno eccezione i dati catastali riportati da Scarpa(1963) e quelli del catasto forestale del 1929 ai quali ultimi si farà costante riferimento.
I dati dello Scarpa riguardano le tariffe d'estimo del catasto austriaco del 1980-45. In essi il castagneto da frutto (inserito fra i frutteti) si estende per
1248 ettari, il "bosco ceduo con castagni" per ettari 209, il "bosco castanile" per ettare 455, il "bosco castanile da taglio con castagni" per ettari 15. Sorgono delle perplessità sul modo di intendere in termini attuali questa classificazione. In particolare il bosco castanile, che non si trova né fra i cedui né fra i frutteti, poteva essere forse una fustaia da legno. In quell'epoca, infatti, nel comune di San Pietro in Feletto sembra si ricavasse del legname da opera di castagno nella misura di due taglie per pianta (circa 6 metri di tronco per albero). Ed ancora il bosco Castanile da Taglio con castagni poteva essere, forse, un ceduo matricinato o composto, oppure una fustaia da legno con qualche pianta da frutto.
Il catasto austriaco fa menzione del castagno anche in altre qualità di coltura, come nei prati e nei pascoli. Sembrerebbe trattarsi di prati e pascoli alberati con piante di castagno, il tutto per una superficie di circa 1300 ettari.

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In conclusione il dato certo è che il castagno (da frutto, da legno e ceduo) in provincia di Treviso, verso la metà del secolo scorso, è presente su 1930 ettari.
Dalle brevi descrizioni fornite dallo Scarpa pare che la densità media di piante nei castagneti da frutto in Destra Piave fosse di 90 piante, con un minimo di 20 ad Asolo ed un massimo di 140 a Caerano. In Sinistra Piave la densità media doveva essere di circa 40 piante ad ettaro. Il ceduo sembra avesse un turno dai 5 agli 8 anni.
La situazione dei castagneti della Trevisana (fustaie e cedui) nel 1929, secondo il catasto forestale, è riassunta nella Tab. 2 dove le fustaie sono divise tra quelle a prevalente produzione legnosa (F.L.) e quelle a prevalente produzione di frutto (F.F.) Per ciascuna di esse è indicata la produzione annua media di legno e di frutto rispettivamente in mc./ettaro e qli./ettaro. Va notato tuttavia che i comuni presenti nel 1929 sono in numero minore di quelli attuali poiché alcune frazioni sono passate, nel dopoguerra, a comune autonomo. Va detto, inoltre, che nella statistica della Tab. 2 sono stati considerati solo quei comuni che nel 1929 possedevano soprassuoli di castagno.
In conclusione il catasto forestale censiva per la provincia di Treviso 1140 ettari di fustaia di castagno da legno, 1671 ettari di castagneto da frutto e 1009 ettari di ceduo semplice e/o matricinato. La Provincia aveva quindi una superficie complessiva castanicola di ettare 3820 che la poneva seconda in tutto il Veneto dopo quella di Vicenza. Di questa superficie, il castagneto puro occupava 2950 ettari mentre gli altri 870 erano costituiti da boschi a prevalenza di castagno. A suo volta il castagneto puro si ripartiva in 998 ettari di fustaia da legno, 1671 di fustaia da frutto, 157 ettari di ceduo matricinato o composto, 124 di ceduo semplice.
Nei novant'anni intercorsi fra il catasto austriaco e quello forestale italiano, si inseriscono i dati dell'inchiesta agraria Jacini del 1878 (solo per la Sinistra Piave) con i quali possiamo fare un interessante raffronto che dimostrerebbe come alcuni comuni collinari abbiano perduta molta superficie a castagneto a favore di altre colture.

 
1878
 
1929
 
ettari->
Fustaia
Cedulo
Fustaia
Cedulo
Vittorio Veneto
100
-
86
10
Cison di Valmarino
128
-
30
207
Follina
50
-
158
17
Revine Lago
25
-
186
15
Tarzo
190
500
249
16
Conegliano
81
102
1
-
Pieve di Soligo
-
480
38
4
S. Pietro in Feletto
-
205
36
6
Susegana
-
300
-
-
Valdobbiadene
233
-
245
165
Farra di Soligo
65
160
16
10
Miane
127
-
245
125
Segusino
70
-
47
-
Sernaglia della B.
2
-
-
-
Vidor
-
-
13
3
Totali
1071
1922
1350
578


Il ceduo sarebbe diminuito di 1344 ettari. In parte, forse, convertito in fustaia ed in parte eliminato per far posto ad altre colture viticole, con un decremento netto di oltre 1000 ettari.
In uno studio dell'Accademia di agricoltura di Verona, relativo alla dinamica delle qualità di coltura nel Veneto nei secoli XIX e XX, si nota che nella provincia di Treviso le colture legnose agrarie sono più che raddoppiate nel periodo 1878-1929, passando da 1958 ettari a 4651, mentre i seminativi passano da 149.000 a 163.000. Del resto anche in una relazione ministeriale del 1874 si legge che "nel Coneglianese vi è la tradizione da parte di amministratori e di amministrati a sradicare le selve.., e crescere a dismisura il prezzo del combustibile con impedimento reale dei lavori del fabbro ed altri artefici mentre il carbone fabbricato nelle Alpi vicine non è sufficiente a somministrare il combustibile richiesto dal giornaliero bisogno". Il catasto forestale, facendo uguale a 100 la superficie boscata nella Trevisana, individuava come questa si sarebbe ridotta col passare del tempo:

  1870 1904 1910 1929
Collina 100 89,5 72,4 61,4
Pianura 100 60,5 57,6 24,8
Provincia 100 86,2 70,7 57,4

Con la sola legge del 1877 furono svincolati inizialmente, in tutta la provincia di Treviso, ben 6712 ettari di bosco, pari a circa il 30% di tutta la superficie boscata del 1870. Ciò renderebbe inattendibile il dato del 1904.
Dall'altro lato sta l'aumento della popolazione che, da una densità di circa
109 abitanti per chilometro quadrato (di tutta la provincia) alla caduta della
Serenissima, si porta a 119 nel 1857, a 142 nel 1871, a 166 nel 1901 e a ben
226 nel 1931. Nel 1981 la densità della popolazione in Destra Piave è di 225
abitanti (260 in collina e 147 nella pedemontana) con sensibili variazioni da
comune a comune. In Sinistra Piave la densità media è di 250(328 in collina
e 121 nella pedemontana) anche qui con sensibili variazioni locali.
Un dato interessante è quello relativo alla popolazione che vive sparsa per

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la campagna, la cui media generale (su 17 comuni considerati) è di 123 abitanti per chilometro quadrato con 154 in Destra Piave e 99 in Sinistra.
I dati del catasto forestale del 1929 inducono a fare alcune considerazioni.
Innanzi tutto le due sottozone presentano, in valore assoluto, quasi la stessa superficie investita a castagno.
In valore relativo, cioè in rapporto alla totale estensione della sottozona, si nota che in Destra Piave si hanno 4,38 ettari di castagneto per chilometro quadrato mentre in Sinistra il rapporto scende a 3,30 ettari.
In particolare, fatta uguale a 100 l'estensione del castagneto, in Destra Piave il 39% spetta alla fustaia da legno, il 38% al castagneto da frutto ed il 23% al ceduo. In Sinistra la situazione è alquanto diversa. La fustaia da legno occupa circa il 21%, il castagneto da frutto va oltre il 49% ed il ceduo si estende per oltre il 29%. È bene chiarire che per fustaia da legno o a prevalente produzione legnosa non si possa intendere una fustaia allevata per scopi commerciali. Si tratta essenzialmente di piante non innestate a scarsissima produzione di frutto. Infatti nei documenti esaminati non compare mai alcuna industria dedita al commercio del legname di castagno locale.
Riguardo ai castagni del Montello, che il Saccardo stimava più utili delle querce per la proprietà privata, i dati del 1929 riportano 68 ettari di fustaia da legno e 8 di ceduo negli allora comuni di Arcade, Nervesa, Volpago e Montebelluna: un cinquantesimo di tutto il castagno della Trevisana ed appena il 5,6% della superficie boscata dei quattro comuni ora ricordati.
Comunque, nella zona di Ciano in Comune di Crocetta esisteva, verso il
1880, l'industria della fabbricazione delle ceste e dei panieri, che utilizzava
i vimini del greto del Piave e i piloni di castagno della zona dando lavoro ad
una cinquantina di persone per due mesi l'anno con una produzione, fra ceste
e panieri, di diecimila pezzi.
Circa la produttività del castagno della Trevisana, essa rimaneva piuttosto bassa: su 2,2 metri cubi di incremento medio annuo. La più bassa di tutte le principali specie forestali, poiché il faggio dava mc. 2,9, la robinia 5,3, il carpino 3,4 e la rovere mc. 4,1. Queste cifre potrebbero spiegare l'enorme diffusione avuta dalla robinia in tutto l'ex Lombardo-Veneto.
All'impianto di questa specie nei campi del Veneto si erano interessati alcuni scrittori di agronomia della prima metà dell'Ottocento, entusiasti delle caratteristiche ecologiche e sevicolturali della pianta, che si dimostrava un ottimo succedaneo agli ormai distrutti boschi di querce. Gli autori esortavano contadini e proprietari a formare nei loro campi siepi e filari di robinia o addirittura ad accantonare la parte meno produttiva del possesso per dedicarla alla costruzione di boschetti di questa pianta.

Fra le cause delle basse produzioni, comuni a tutti i boschi di castagno, sia fustaie che cedui, gli atti del catasto forestale indicavano la mancanza di

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cure colturali, l'eccessivo pascolo e la raccolta dello strame; secondariamente il substrato pedologico poco adatto o la bassa densità.
Anche il Caldart (1952), parlando dei castagneti contermini di Alano di Piave e di Seren del Grappa, in provincia di Belluno , riferisce che "nessuna cura si dedica attualmente (1950) al castagno... anche nei castagneti veri e propri l'agricoltore non entra che al momento di cogliere il frutto: nessuna potatura, nessuna rimodernatura dei rami secchi, nessuna lavorazione del terreno e men che mai concimazioni di alcun genere ma, anzi, asportazione della lettiena".
Un raffronto fra la situazione dei castagneti della provincia di Treviso nel 1929 e quella attuale, desunta dalla carta forestale del Veneto del 1981, è riportato nella Tab. 3.
Ciò che a prima vista colpisce in questo raffronto è che in destra Piave sono praticamente scomparse le fustaie (il cui esempio più vistoso è nel comune di Asolo), in parte convertite in cedui ed in parte scomparse per far posto ad altre colture o insediamenti urbani. Lo strano tuttavia è che, in una indagine del Bergamini (1980) sulle cultivar di castagno nella Trevisana, il 40% di esse proverrebbe dalla zona di Cavaso del Tomba dove non ci sarebbero che 357 ettari cedui; potrebbe trattarsi di matricine da frutto.
In Sinistra Piave si assiste ad un generale regresso della fustaia, ma in qualche caso anche ad un aumento in cifra assoluta ed in particolar modo col ceduo, legato, forse, alla fiorente industria viticola della zona. In questa parte le cultivar più pregiate si trovano a Combai - Miane: insieme a quelle di Cavaso, esse forniscono il miglior prodotto per l'industria dolciaria.
In conclusione, nella Marca Trevigiana il bosco puro di castagno o, quanto meno, a prevalenza di questa specie, è praticamente rimasto inalterato nel tempo nonostante le avverse vicende economiche e patologiche che possono aver favorito lo spostamento della fustaia al ceduo.

Peraltro la specie risulta assai diffusa come componente secondaria negli altri cedui di Destra Piave costituiti per lo più da robinia, roverella, carpino nero e frassino. La partecipazione del castagno nei cedui misti si aggira mediamente sul 30%. In Sinistra Piave la partecipazione del castagno nei cedui misti è meno abbondante ed è riscontrabile solo nella fascia pedemontana dove la sua presenza è mediamente del 25%. Praticamente assente nelle basse colline di Refrontolo, Pieve di Soligo, San Pietro in Feletto, Farra di Soligo, Susegana, Conegliano, ecc., dove dominano la robinia ed il carpino nero la cui diffusione è imputabile al degrado del querceto caducifoglio troppo sfruttato dall'uomo. Quindi troviamo il carpino un po' dappertutto, eccetto che negli ambienti aridi dove rimangono gli elementi più xerofili del querceto, anche se non di quello originario, ed in quelli più umidi dove prevale il castagno.
In una indagine del Cappuccini (1937) eseguita nelle Prealpi venete poco

37

prima della seconda guerra mondiale, si concludeva di "lasciare intatte tutte le limitate zone a coltura agraria; analogamente i piccoli boschi di castagno, che sono disseminati nelle zone eoceniche verso la parte più bassa delle pendici, dando loro ogni possibili miglioramento; di promuovere la trasformazione dei prati naturali della parte più bassa in una ininterrotta fascia di prati coltivati e possibilmente alberati con piante boschive e fruttifere fino al limite superiore che si aggira sui 500 metri".


La situazione attuale dei castagneti da frutto delle Prealpi Trevigiane non è molto confortante anche se si nota un rinnovato interesse per questa coltura.
Le superfici investite a "frutteto" sono esigue (forse qualche centinaio di ettari) ed estremamente frazionate.
Talvolta solo due o tre piante isolate di castagno formano un castagneto da frutto.
Da notare che aziende con almeno 30040 castagni sono pochissime e non è un caso che quelli meglio curati si trovino in località come Fais, Maren, Valmareno presso le aziende agricole rimaste, pur con una densità che non supera le 30 piante ad ettaro.
La grande maggioranza dei popolamenti sembra essere costituita da cedui composti con una rada fustaia di castagni da frutto la cui produzione si rivela molto bassa mentre le piante tendono a sfilansi per andare a cercare la luce sopra il ceduo.
La produzione dei marroni (Combai e Miane) è del tutto insufficiente ad alimentare un certo commercio e tanto meno un'industria.
Nessuna cura culturale è praticata. Attualmente, a iniziativa della C.M.P.T., alcuni proprietari più intraprendenti hanno iniziato interventi di ripristino per cercare di rimettere in buono stato i loro castagni abbandonati da tempo. Altrove si cominciano a vedere nuovi impianti, provenienti da ceduazione di vecchie ceppaie, con polloni innestati con le migliori cultivar disponibili.
Il ceduo, il cui turno si aggira sui 10-15 anni, fornisce abbondante paleria piccola e grossa impiegata per lo più nei vasti vigneti, tenuti a palo secco, delle aree collinari e buona parte della legna da ardere per uso familiare. Il legname delle matricine o delle piante isolate è utilizzabile in loco a livello di proprietario o al massimo comunale.


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VENETO (IL) PAESE PER PAESE. 1982. Volumi 5. Firenze, Bonechi.


Tab. 1 - Superficie (ha) dei boschi di castagno della Provincia di Treviso

DESTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
 
Fustaia
Ceduo
ASOLO
non ha boschi a prevalenza di castagno
CASTELCUCCO
non ha boschi a prevalenza di castagno
CORNUDA
 
54
FONTE
16
108
MONFUMO
 
106
5. ZENONE DEGLI EZZELINI
 
102
Totale
16
370
     
DESTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
BORSO DEL GRAPPA
non ha boschi a prevalenza di castagno
CA VASO DEL TOMBA
 
357
CRESPANO DEL GRAPPA
 
120
PADERNO DEL GRAPPA
 
60
PEDEROBBA
 
368
POSSAGNO
 
210
Totale
16
1539
     
SINISTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
CONEGLIANO
non ha boschi a prevalenza di castagno
FARRA DI SOLIGO
 
44
PIEVE DI SOLIGO
non ha boschi a prevalenza di castagno
REFRONTOLO
non ha boschi a prevalenza di castagno
S. PIETRO DI FELETTO
non ha boschi a prevalenza di castagno
TARZO
10
146
VIDOR
10
108
VITTORIO VENETO
108
54
     
SINISTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
CISON DI VALMARINO
146
270
FOLLINA
137
205
FREGONA
 
27
MIANE
75
303
REVINE LAGO
173
 
SEGUSINO
 
32
VALDOBBIADENE
150
443
Totale
626
1805
     

TAB. 2 - Superficie dei castagneti nel 1929

DESTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
 
Bosco
T.Fust.
Legn.
Fust.
Frut.
Ceduo
 
 
Ettari
Ha.
mc/ha
Ha.
Qli./ha
ha
mc/ha
ARCADE
273
17
7
       
ASOLO
522
137
3
149
7
135
4
CORNUDA
202
 
49
       
CROCETTA MONT
83
           
FONTE
131
       
1
6
MASER
290
   
21
4
43
4
MONTEBELLUNA
67
 
27
5
7
5
 
NERVESA
349
21
7
       
5. ZENONE
135
7
4
43
6
56
5
VOLPAGO
674
30
4
       
               
DESTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
BORSO
271
 
3
10
     
CAVASO
332
110
2
119
7
36
3
CRESPANO
222
69
2
9
10
   
PADERNO
288
10
2
39
10
44
1
PEDEROBBA
419
161
3
53
10
84
2
POSSAGNO
299
161
2
48
12
16
2
Totale
4575
723
3
708
6
431
3
               
SINISTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
CAPPELLA MAGGIORE
28
 
3
10
     
CONEGLIANO
66
1
4
       
FARRA DI SOLIGO
106
3
?
10
4
10
3
PIEVE Dl SOLIGO
316
18
?
20
8
4
3
SARMEDE
255
 
6
10
     
S. PIETRO DI FELETTO
183
 
36
4
6
3
 
TARZO
348
12
4
237
4
16
3
VIDOR
70
4
3
9
4
3
3
VITTORIO VENETO
951
4
2
82
5
10
4
Totale
1793
42
13
403
49
49
19
               
SINISTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
CISON DI VALMARINO
570
 
30
6
207
3
 
FOLLINA
429
89
2
69
4
17
2
FREGONA
1727
24
7
       
MIANE
620
 
245
5
125
3
 
REVINE LAGO
426
90
4
96
5
15
3
SEGUSINO
374
37
3
10
8
   
VALDOBBIADENE
1232
159
3
86
8
165
3
Totale
7737
417
3
963
5
578
3
               

TAB. 3 - Rapporto fra le superfici recuperate da boschi di castagno nel 1929 e nel 1981


DESTRA PIAVE
Comuni
Catasto forestale Carta forestale
 
Fustaie
Cedui
Fustaie
 
Cedui
ASOLO
282
135
 
NBC
 
BORSO DEL GRAPPA
3
0
 
NBC
 
CASTELCUCCO
Ad Asolo
   
NBC
 
CAVASO DEL TOMBA
229
63
0
 
357
CORNUDA
49
0
0
 
120
CRESPANO
78
0
0
 
54
CROCETTA DEL MONTELLO
0
1
 
NBC
 
FONTE
21
43
16
 
108
GIAVERA DEL MONTELLO
17
0
 
NBC
 
MASER
152
0
 
NBC
 
MONFUMO
Ad Asolo
0
160
   
MONTEBELLUNA
27
7
 
NBC
 
NERVESADELLABATT.
21
0
 
NBC
 
PADERNO DEL GRAPPA
49
44
0
 
60
PEDEROBBA
214
84
0
 
368
POSSAGNO
209
16
0
 
210
5. ZENONE
50
65
0
 
102
VOLPAGO
30
0
 
NBC
 
Totale
1431
431
16
 
1539

SINISTRA PIAVE
Comuni
Catasto forestale Carta forestale
 
Fustaie
Cedui
Fustaie
 
Cedui
CAPPELLA MAGGIORE
3
0
 
NBC
 
CISON DI VALMARINO
30
207
146
 
270
COLLE UMBERTO
NBC
 
NBC
 
CONEGLIANO
1
0
 
NBC
 
CORDIGNANO
NBC
 
NBC
 
FARRA DI SOLIGO
13
10
0
 
44
FOLLINA
158
17
137
 
205
FREGONA
24
0
0
 
27
MIANE
245
125
75
 
303
PIEVE DI SOLIGO
38
4
     
REFRONTOLO
La Pieve di Soligo
NBC
 
REVINE LAGO
186
15
0
 
173
S. PIETRO DI FELETTO
36
6
NBC
 
SARMEDE
6
0
NBC
 
SEGUSINO
47
0
0
 
32
SERNAGLIA
NBC
NBC
 
SUSEGANA
NBC
NBC
 
TARZO
239
16
10
 
146
VALDOBBIADENE
245
165
150
 
443
VIDOR
13
3
0
 
108
VITTORIO VENETO
86
10
108
 
54
Totale
1380
578
626
 
1805
TOTALE GENERALE DESTRA E SINISTRA PIAVE
 
2811
1009
642
 
3344

N B C = non possiede boschi a prevalenza di castagno

NOTA

Ricerca effettuata con il contributo finanziario delle Comunità Montane delle Prealpi Trevigiane, del Grappa e del Consorzio Comuni del Montello. Indagine svolta presso l'Istituto di Selvicoltura dell'Università di Firenze, coordinata dal Prof. Raffaello Giannini.

*Memoria edita nel vol. XLIV degli "Annali" della Accademia italiana di Scienze forestali, 1995.
Si ringrazia dell'apporto tecnico e logistico fornito dall'Ufficio Forestale Regionale di Treviso diretto dal dott. Arduino Graziottin

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