Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°9 - 1996 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

Rassegna Bibliografica

LORENZO DA PONTE. Lettere. A cura di Giampaolo Zagonel, Dario De Bastiani editore, Vittorio Veneto, 1996.

La pubblicazione delle Lettere di Lorenzo Da Ponte, curata da Giampaolo Zagonel per i tipi di Dario De Bastiani editore, è certo stato l'evento più importante della pubblicistica dapontiana del
1996.
Le lettere messe insieme da Giampaolo Zagonel nel libro di cui si tratta sono centonovanta. Di esse centosessantacinque sono testi di corrispondenza normali indirizzati a circa quarantacinque destinatari, mentre venticinque sono le epistole in versi, i "manifesti" con destinatari collettivi, le dedicatorie di varie opere dapontiane.
Le lettere coprono un arco di tempo che va dal 1763 (la prima lettera di Da Ponte quattordicenne, è scritta a Ceneda e ha per destinatario un prete cenedese, don Pietro Bortoluzzi) al 1838, l'anno della morte dell'autore (l'ultima lettera è scritta a New York ed ha per destinataria una persona non identificata): ben settantacinque anni di una vita avventurosa ed errabonda, ricca ma anche travagliata. Nel corso di essa Da Ponte scrive numerose lettere a una quantità di destinatari, e queste lettere per lui non hanno mai finalità letterarie o di tipo accademico: tutte infatti si riferiscono a cose concrete, ai problemi, alle vicende della sua vita quotidiana, ai suoi progetti di lavoro, ai suoi affari. Quando Da Ponte scrive una lettera, non fa mai letteratura; egli ha uno scopo ben preciso e pratico e non ha tempo per svolazzi. Perfino quando pensa di seri-
vena in versi, non è per "cantare", ma per dire cose. E anche quando la scrive "aperta", ad introduzione dedicatoria di qualche opera, non lo fa solo per celebrare le lodi del destinatario. (Sono queste, tra l'altro, le ragioni per cui condivido in pieno la scelta di Zagonel di inserire nella raccolta, in concreta sequenza cronologica, anche le lettere in versi e le dedicatorie). Ma, prescindendo ovviamente da questi ultimi testi, èanche questa finalità pratica delle lettere di Da Ponte che ne ha favorito la dispersione. Ad eccezione di qualche letterato, infatti, che conosceva l'importanza delle lettere di un personaggio come il Nostro e che perciò le conservava accuratamente (leggi: Colombo, Casanova, Gamba, Rossetti), la gran parte dei corrispondenti di Da Ponte ha avuto ben poca cura delle sue lettere. Nè si ha notizia che Da Ponte ne abbia conservata copia sistematica. (E comunque, se Da Ponte ha tenuto un proprio archivio personale, e in esso copia della sua corrispondenza, è andato tutto perduto). Di qui lo smarrimento irrimediabile di parte di essa (e, temiamo, gran parte), ma anche la casuale e dispersa presenza delle lettere conservate nei più disparati fondi, privati e pubblici, in vari Paesi d'Europa e d'America. Ovvia conseguenza, la confusa vicenda editoriale delle lettere dapontiane, di cui sono stati pubblicati nel tempo autonomamente solo i gruppi più importanti conservati dai singoli destinatari (Colombo, Casanova, Rossetti), mentre singole lettere si trovano inserite in pubblicazioni curate dallo stesso Da Ponte, e numerose altre giac171
ciono qua e là più o meno dimenticate sotto la polvere degli archivi da cui volta a volta emergono, anche frutto di casuale rinvenimento, per iniziativa di qualche studioso.
Era proprio necessario assumere una buona volta l'iniziativa di raccogliere e pubblicare tutte insieme le lettere di Da Ponte ancora esistenti, e non tanto per dare forma ad un nuovo documento letterario, quanto per disporre organicamente nella corretta sequenza dei tempile testimonianze dirette che Da Ponte ci propone della sua vita; e non solo per conoscere più a fondo la sua complessa e controversa personalità, ma anche per verificare con a fronte documenti esistenziali, il senso stesso delle sue Memorie (è questo forse il risultato più importante che gli studiosi di Da Ponte si attendevano dall'auspicata raccolta integrale delle lettere dapontiane).
Buon per noi che Giampaolo Zagonel si è accinto all'impresa, mettendo a frutto la sua tenacia e la sua abilità di ricercatore, scomodando bibliotecari, archivi pubblici e privati, antiquari, discendenti dei corrispondenti di Da Ponte, istituti culturali e singoli studiosi d'Italia, Austria, Boemia, Francia, Inghilterra, Stati Uniti d'America. Anni di lavoro intenso e intelligente, che hanno avuto come frutto una raccolta forse non definitiva (c'è sempre la possibilità che saltino fuori da qualche parte altre lettere del Nostro) ma certamente di gran lunga la più completa oggi possibile.
Ordinate in ineccepibile sequenza cronologica (le lettere senza data sono collocate al loro posto sulla base di

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congetture ampiamente condivisibili) corredate da un apparato di note giustamente misurato, particolarmente prezioso nelle notizie biiografiche sui destinatari e sui personaggi citati, precedute da una cronologia della vita di Da Ponte sintetica ma molto puntuale; integrate da un corredo iconografico straordinariamente interessante e largamente inedito, le lettere di Da Ponte curate da Giampaolo Zagonel costituiscono anche dal punto di vista editoriale un'impresa di eccezionale rilievo (nella quale anche l'editore merita la sua parte di lodi).
Uno splendido volume che realizza un perfetto equilibrio tra forma editoriale (sontuosa) e importanza sotto il profilo critico (straordinaria).
Quanti hanno provato e provano curiosità per questo singolare personaggio hanno oggi uno strumento utilissimo per conoscerlo di più, ma anche (e per qualche aspetto soprattutto) coloro che hanno dedicato e dedicano il loro tempo allo studio di Da Ponte, dispongono ora di un documento fondamentale con quale confrontarsi per una ennesima verifica delle loro posizioni critiche, verifica sempre necessaria su un tema così dibattuto e stimolante come quello della personalità di Lorenzo Da Ponte, da Ceneda.
I destinatari delle lettere sono una sessantina, ma quelli interessati da pezzi di corrispondenza in senso proprio non superano i quaranta e, tra questi, una ventina sono destinatari di una sola lettera.
Dei 75 anni che costituiscono l'arco temporale entro cui sono state scritte le
lettere, 43 costituiscono data di almeno una lettera: come dire che di ben 32 anni noi non abbiamo alcun segno di attività epistolare da parte di Da Ponte.
Alcuni "vuoti" sono importanti: non abbiamo lettere degli anni 1782-84 (Da Ponte a Vienna), dal 1803 al 1808 (Da Ponte a Londra, poi a Elizabeth Town, quindi a New York), dal 1810 al 1815 (Da Ponte a New York e poi a Sunbury).
Particolarmente interessanti alcuni "blocchi" di lettere riguardanti determinati destinatari e importanti periodi della vita del Nostro: come le lettere dal 1770 al 1776, ben ventidue, datate alternativamente Portogruaro e Venezia, tutte indirizzate a Michele Colombo (destinatario di altre sette lettere in anni successivi); le 14 lettere a Giacomo Casanova; le 31 a Domenico Rossetti; le 7 a G. Cromwell Verplank; le 12 a Bartolomeo Gamba; le 7 a Giacomo Montresor; o come le 120 lettere dall'America, di cui 59 riguardanti i 3 anni dal 1828 al 1830, che probabilmente sono i più prolifici, in fatto di attività epistolare, di tutta la vita di Da Ponte. Interessante e importante, ai fini di uno studio attendibile dell'epistolario dapontiano, anche la valutazione comparata del materiale epistolare diviso per aree di provenienza: ci sono le lettere "venete" del primo Da Ponte (24, dal 1763 al 1776); quelle del periodo "austriaco" (30, dal 1779 al 1792); quelle del periodo "inglese" (16, dal 1792 al 1802); le lettere americane del primo periodo (quello di cui possediamo pochissimi documenti: solo 8 lettere in 15 anni, dal 1805 al 1819); infine l'ultimo Da Ponte, quello newyorkese, il più
prolifico: 112 lettere dal 1819 al 1838. Come si vede, le Lettere di Da Ponte, per la discontinuità di cui si è detto, per l'eterogeneità dei destinatari e la conseguente casualità della loro conservazione e, spesso, anche del loro rinvenimento, pongono precisi problemi di approccio critico e la necessità conseguente di una organica griglia di lettura, dalla quale si possano almeno intravedere la struttura dell'insieme e il suo rapporto con la vicenza esistenziale dell'autore. Stabiliti così i percorsi dell'analisi, risulta più semplice mettere a fuoco il senso e l'importanza di questa raccolta delle Lettere dapontiane, e pervenire in merito ai necessari punti fermi. (Tra l'altro, riscattando i commenti su di esse almeno da qualcuna delle banalità superficiali che si son lette qua e là).
Primo punto. Non ha senso trarre dal rarefarsi o dal moltiplicarsi delle lettere in certi periodi, elementi di valutazione biografica; oppure considerare l'abbondanza di lettere a un certo destinatario o, al contrario, l'assenza di lettere a qualche importante personaggio della sua vita (si è parlato di Mozart, ma non abbiamo lettere "normali" di Da Ponte nemmeno a suo padre) come fatti significativi: vero è che molte lettere di Da Ponte sono andate perdute, e stupirsi che siano andate perdute, o chiedersi perché, è cosa priva di significato.
Si veda per esempio il caso Mozart
- Da Ponte: tutt'al più possiamo lamentare che non esista un carteggio tra i due; ma arguire da ciò chissacché, o almanaccare sul fatto che non sono stati in corrispondenza tra loro, o sognare in173
torno a che cosa si sarebbero potuti dire, sono cose senza senso, quanto meno senza senso critico.
Punto secondo, conseguente al primo. Le Lettere dapontiane debbono essere prese - e lette - come sono: un insieme di documenti altamente significativi della sua vita e della sua personalità, disposti dall 'intelligente solerzia del raccoglitore secondo un corretto ordine cronologico.
Di qui un terzo punto, il più importante di tutti, la "scoperta" più interessante offertaci da questa raccolta. Che èuna chiave di lettura capace di suggerire una ulteriore (ulteriore, non nuova) chiave di lettura anche dell'opera maggiore di Da Ponte: Le Memorie.
Le Lettere vanno lette come testo a fronte delle Memorie. L'io narrante al presente (Lettere) a fronte dell'io narrante al passato (Memorie). Il fatto vissuto nell'immediato, accanto alla sua visione nel ricordo.
La discontinuità della raccolta delle Lettere non consente in questo senso una lettura pedissequa: ci sono fatti ricordati nelle Memorie che nelle Lettere non appaiono, e viceversa.
Ma i momenti paralleli e/o coincidenti sono i più numerosi, e valgono a provare inconfutabilmente ciò che anche una lettura disorganica fa intuire: e cioè che tra il Da Ponte delle Memorie e quello delle Lettere non c'è contraddizione, ma anzi c'è un filo nitidissimo e saldo di continuità psicologica, morale e, nelle Lettere in cui si diffonde nel racconto dei suoi casi, anche stilistica. Il Da Ponte che ricorda e racconta il romanzo della sua vita è sostanzialmente

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quello stesso che rende testimonianza immediata delle sue vicende: stesso tono, stessi umori, stessi argomenti, stessa passione.
Così le Lettere diventano un filtro attraverso il quale è possibile cogliere il "colore" vero delle Memorie e leggere in esso la verità della vita vissuta, mentre le Memorie si rivelano racconto in cui l'estro della fantasia non smarrisce mai l'ancoraggio con la vita vera. E' possibile leggere le Lettere come lacerti delle Memorie, e le Memorie come trasfigurazione narrativa di una lunga lettera, indirizzata a un destinatario cangiante.
La struttura dell'opera, in questo senso, ci aiuta. Nelle prime quattro Parti delle Memorie i luoghi, i fatti, gli uomini, gli anni del racconto sono lontani. Da Ponte, che non ha mai scritto diari o raccolto appunti sulle sue vicende personali, rivive eventi a partire da una settantina di anni prima (nato nel 1749, comincia propriamente a scrivere le Memorie a New York all'inizio degli anni venti dell'Ottocento); i pochi elementi che gli servono da pro-memoria sono i suoi libretti di teatro - non tutti -e le sue poesie - neanche queste tutte -; lavora quindi, proprio di memoria; ricorda quello che può (o vuole): e scrive propriamente un romanzo di cui è autore e protagonista, auctor e agens. L'autore parla a qualcuno, l'estensore della lettera-racconto ha ben individuato i destinatari: sono, soprattutto, gli americani, amici e nemici, e rivali, allievi, colleghi, protettori, clienti. Ad essi egli offre la storia della sua vita come una specie di autoritratto. Vuole far loro
"vedere" chi era e com'era Da Ponte.
Poi i tempi degli eventi del racconto si avvicinano: la quinta Parte riguarda vicende chevanno dal 1819 al 1830. Da Ponte scrive di pochi anni prima, poi in contemporanea. Non deve dimostrare né rivelare più niente. Personaggio noto, parla di fatti in gran parte noti, in cui èstato o è ancora coinvolto.
Di qui lo stile sempre più epistolare, 1 'accantonamento conseguente delle fantasie, il ricorso sempre più frequente ai documenti - articoli, lettere inviate e ricevute, manifesti, poesie d'occasione
- più atti a dimostrare una verità che ad animare un racconto. Di qui anche, ineluttabilmente, i" seguiti", 1 "Aggiunta", I' "Appendice", la "Storia incredibile ma vera"; scritti di un Da Ponte irriducibile al silenzio, che vive i suoi ultimi anni come spinto da un desiderio irresistibile, di continuare a dire di sé e della sua vita, di rivendicare i suoi meriti, di levare le sue denunce, di scrivere....
Una vita tutta a sipario aperto, quella degli ultimi anni di Da Ponte.
Immerso nel cuore della grande città americana, egli non è capace di stare nascosto: si fa sentire, si fa vedere, si fa leggere. E chi lo sente e lo legge - i neworkesi, ma non solo - ne avverte, e ammira, la vitalità, ne coglie il respiro generoso. Non c'è traccia di malevolenza, nei documenti americani che parlano dell'ultimo Da Ponte, e poi ne commemorano la morte; c'è solo ammirazione e umana simpatia.
La quinta Parte delle Memorie e le successive integrazioni - l'ultima, lunga "lettera" di Da Ponte ai suoi contem
poranei - hanno trovato l'indirizzo giusto, sono state lette e capite, e nessuno ha pronunciato sulla tomba del poeta cenedese - tomba metaforica almeno, ahimè, se non reale - insulti o parole blasfeme, o accuse di mendacio autoapologetico.
Ci si domanda come in questa direzione si sia potuto muovere il curatore della prima edizione "critica" delle Memorie uscita in Italia (Fausto Nicolini, Bari 1918) e come sull'immagine che di Da Ponte egli ha dato nel suo commento - moralista "untuoso, ipocrito e sentimentale", "canagliesco", "essere femminilmente immaginoso e vagheggiante", "pettegolo, intrigante e maldicente": sono solo alcune delle definizioni di cui Nicolini gratifica Da Ponte
- si sia potuto modellare lo stereotipo dapontiano cui nel recente passato si sono ispirate quasi tutte le improvvisate biografie del Nostro. Per il vero, contro questa deformante rappresentazione del poeta cenedese si battono generosamente un po' tutti i più recenti studiosi e biografi di Da Ponte; ma resta la domanda: come è stato possibile un simile sostanziale travisamento?
Si potrebbe rispondere che i tempi e la situazione in cui Nicolini ha scritto il suo commento non gli hanno consentito dii provvedersi di adeguata documentazione. E che quelli che sono venuti dopo hanno sceltola via comoda di prendere per oro colato quanto affermato da Nicolini, stante anche il prestigio dell'edizione da lui curata (fa parte degli "Scrittori d'Italia", di Laterza).
Ma ora abbiamo un'altra risposta:
Nicolini e i suoi ... discepoli non hanno

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potuto leggere, a "fronte" delle Memorie, la raccolta sistematica delle Lettere dapontiane.
La pubblicazione della raccolta integrale delle Lettere di Da Ponte produce quindi un primo effetto, vorrei dire definitivo: quello di sgombrare il campo dalle polemiche che hanno impropriamente investito le Memorie fin dall'uscita della edizione laterziana: polemiche improprie perché riguardanti puramente e semplicemente la veridicità delle notizie riportate nel racconto dapontiano, e quindi, in ultima analisi, la personalità e i difetti umani dell'autore. Che è, come ognun vede, questione di rilevanza critica nulla, pur avendo invischiato molti, da Nicolini in poi.
Ora, le Lettere di Da Ponte, lette nel loro insieme e in corretta sequenza temporale, dimostrano senza possibilità di ulteriori discussioni la sostanziale veridicità delle Memorie.
Vengono così finalmente separate le due chiavi di lettura delle Lettere e delle Memorie: da una parte quella finalizzata all'indagine sui documenti della vita e della personalità di Da Ponte; dall'altra quella che ha per oggetto, puramente e semplicemente, un'opera di narrativa autobiografica, cioè di letteratura: che nel nostro caso è una delle più vive e moderne dell'intera memorialistica italiana ed europea. E la prima chiave di lettura può, anzi deve mettere a fronte - ci sembra opportuno ripeterlo - Memorie e Lettere sullo stesso piano di documento esistenziale.
In questo senso la lettura delle Lettere è piena di scoperte, di conferme, di stimoli, ed apre la via a suggestivi per corsi di approfondimento.

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A cominciare, per esempio, dallo stile epistolare dapontiano, sempre vivo, frizzante, ricco di umore, inconfondibile anche nei testi più schiettamente utilitaristici, felice soprattutto nei momenti di più intenso coinvolgimento emotivo, quando è più libera la vena narrativa. Da questo punto di vista sono particolarmente rilevanti le lettere al Casanova, quelle al Colombo, qualche lettera al Gamba; assai notevole la lettera al Rossetti del 26 luglio 1828: una specie di sintesi della vita e degli umori di Da Ponte in America, piena di rabbia, di arguzia, di incontenibile vitalità, anche - caso non rarissimo in Da Ponte - di autoironia, più o meno ringhiosa; altrettanto importante la lettera al Mathias del 12novembre 1827, tutta piena dell'orgoglio di essere italiano e di aver contribuito all'affermazione e alla diffusione della lingua e della cultura italiana in America. Capitolo a sé formano le lettere all'amico Michele Colombo, le più immediate e sincere: piene di notizie e di esuberanza giovanile, ma anche di dubbi e di inquietitudini esistenziali negli anni di Venezia e di Portogruaro (ben 22 lettere dal 1770 al 1776); rare e dolorosamente riflessive negli anni americani, traboccanti di autentico bisogno di confessione all'amico lontano, di bei ricordi della giovinezza cenedese, di rinnovato affetto per questo antico compagno di scuola, i cui ultimi anni di vita si accompagnano a quelli di Da Ponte, in una vecchiaia altrettanto lucida e vigorosa.
Un discorso a parte va fatto per le otto epistole in versi, per la freschezza
dello stile, la facilità elegante delle dissolvenze incrociate di registro, la gustosa autoironia, la ricchezza di spunti, di notizie, di efficaci e sinceri quadri autobiografici, che talora richiamano le movenze di certe satire ariostesche: nell'insieme esse sono tra le pagine più importanti dell'intera opera di Da Ponte.
Questa lettura per capitoli, corrispondenti a blocchi di lettere a singoli destinanatari, o di registro simile, potrebbe continuare, consentendoci sorprendenti scoperte e/o succosi approfondimenti.
Ma è anche possibile una lettura integralmente trasversale, per temi, per motivi, per soggetti. Qualche tema: Da Ponte e la musica, e i musicisti; Da Ponte e il teatro d'opera negli Stati Uniti d'America; Da Ponte critico e la letteratura italiana (si veda, qui, l'importanza degli elenchi dei titoli commissionati ai librai italiani, e delle serie di citazioni esibite nei suoi interventi a difesa e insieme apologetici della letteratura italiana: citazioni, tra l'altro, sorprendentemente aggiornate, per uno che abitava al di là dell'Atlantico, cioè, per quei tempi, nell'altra parte del mondo). Un tema sempre citato, ma poco approfondito, dai biografi di Da Ponte, è proprio quello della sua azione per l'introduzione e la promozione della letteratura italiana in America: azione in cui Da Ponte va particolarmente - e giustamente - orgoglioso, e di cui ci dà nelle lettere numerosi documenti. Il Da Ponte libraio - cioè, insieme, committente, compratore, venditore, donatore di libri - meriterebbe uno studio specifi
co, accompagnato da una ricerca in America (a New York in particolare) di notizie sui "fondi" che il Nostro ha lasciato, che potrebbero non essere andati dispersi: in merito le Lettere (nonché le Memorie) potrebbero farci da "guida". Una ricerca interessante, suscettibile di esiti anche sorprendenti, potrebbe riguardare il pensiero politico di Da Ponte, e i suoi comportamenti al riguardo: materia notevole sul tema che ci offrono le Memorie, la stessa opera poetica (si pensi all' "Accademia" del 1776), nonché numerose lettere (specialmente quelle poetiche). Eccetera.
Ma un ultimo tema vorrei citare, su cui potrebbero aprirsi interesse e ricerca "vittoriesi": si tratta della patria, anzi delle patrie di Da Ponte. Che è italiano di lingua e di cultura, veneziano di cittadinanza, cenedese di sangue e di anima.
Di essere italiano, Da Ponte è fiero, e il suo impegno in America di dimostrare l'eccellenza, soprattutto letteraria, della cultura italiana, è senza soste; la "linea" italiana che lega l'intera sua opera propone un insieme di spunti e di motivi di una continuità impressionante, dai tempi di Ceneda fino alle ultime lettere newyorkesi. Anche Venezia èpresente in tutto Da Ponte ma lo spirito con cui ne parla il Nostro varia dai primi tempi, quando per lui Venezia è ancora una specie di terra promessa, piena di lusinghe e di speranze; agli ultimi, quando su tutto prevale il risentimento, come per una madre che gli è stata matrigna e nemica, cacciandolo lontano.
Ma prima di tutto e più di tutto Da Ponte si sente cenedese, anche se a Ceneda ha abitato solo poco più di vent'anni, dei quasi novanta della sua vita.

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I segni di ciò sono numerosi, distribuiti nelle Memorie, nelle Poesie, nelle Lettere, ed è degno di nota che in genere essi ispirino le pagine più
belle del Nostro (si vedano, ad esempio, i capitoli "cenedesi" delle Memorie, i più freschi, animati, perfino commossi, di un sentimento sincero e profondo). Le Memorie, non si dimentichi, che Da Ponte, nelle prime edizioni americane da lui curate, volle intitolare "Memorie di Lorenzo Da Ponte da Ceneda".
E dall'inizio del racconto della sua vita (dopo il brevissimo pensiero introduttivo) "Il giorno decimo di marzo dell'anno 1749 nacqui a Ceneda, piccola ma non oscura città dello Stato Veneto" egli trae l'incipit del "Breve compendio" del 1829, che a New York annuncia la seconda edizione delle Memorie. Una frase secca, quasi orgogliosa, in cui è tagliato ogni codicillo esplicativo, ritenuto dal Nostro inutile:
"Nacqui a Ceneda il 10 giorno di marzo dell'anno 1749'.
E nel "Discorso" ai suoi allievi, protettori e amici di New York, finalizzato al proposito di aprire una scuola d'italiano, anche per distribuirvi i libri di letteratura italiana che aveva in gran copia. Discorso anch'esso del 1829, egli si definisce "povero figlio del picciol Meschio", e in nota (l'unica nota!) spiega: "Fiume di Ceneda" ("I newyorkesi -pensa Da Ponte - sanno certamente dov'è Ceneda!").
Di fatto, quando sul New York Mirror del 29 settembre 1838, all'indo-

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mani della morte del poeta, Samuel Ward ne pubblica la commemorazione, il titolo che usa è semplicemente "Lorenzo Da Ponte of Ceneda".
Le lettere degli ultimi anni di Da Ponte si richiamano sempre più a Ceneda e, in Ceneda, alla sua prima famiglia. Scrive anche a Colombo, a Girolamo Perucchini e a suo figlio Giovan Battista, ripetutamente al trevigiano Bartolomeo Gamba, al fratello Agostino, alla cognata Caterina, alle nipoti Pasquetta e Giulia (le figlie di Agostino), al marito di quest'ultima Giuseppe Staffier: sono tutte occasioni per pensare a Ceneda, per vivere il ricordo commosso della sua terra, dei suoi vecchi amici, anche per pensare alle sue sorelle, che nella sua memoria si sono come "fermate" al tempo del suoi ultimo soggiorno a Ceneda del 1798 (nella lettera in versi, del 1826 ca., le chiama "sorelline", ma Faustina, "la più giovine", alla quale dedica i versi finali, ha già 47 anni!), e per far pervenire a loro il suo aiuto, come ai tempi di Vienna!
E' impressionante e commovente: a quasi novant' anni, al limite estremo della vita, povero com'è, pensa ancora ai suoi, li vuole aiutare: chiede a Giovan Battista Perucchini (24 gennaio 1837) di dividere 40 colonnati che gli farà pervenire "dandone 16 alla povera vedova d'Agostino, dodici a mia sorella maggiore Angioletta... e dodici a mia sorella Faustina...". L'li aprile 1838, quattro mesi prima di morire, scrive allo Staffier pregandolo di interessarsi delle sue "povere e amate sorelle", di cui desidera avere notizie, e conclude: "... e se venti dollari (possono) esser loro di qualche
ristoro, fate trarre su me a 8 giorni vista, e gioirò nel pagarli".
E' una delle sue ultime lettere.
Poco dopo, il 17 giugno, muore a Parma a novantun'anni il suo più caro amico, Michele Colombo. Lo seguirà a due mesi esatti di distanza, il 17 agosto.
A Colombo, col quale aveva ripreso i contatti dopo più di vent'anni, aveva scritto nell'agosto del 1828 una lettera piena di ricordi gioiosi degli anni cenedesi, in cui cita a memoria numerosi versi del giovane Colombo (anche lui, da seminarista, scapestrato come Da Ponte). Gli dice che ricorda perfino "...un primo sonetto che scrivesti per me, quand'era innamorato di Pienna Raccanelli 65 anni sono - che comincia: Del picciol Meschio in sulla riva amena...".
Là, nella New York già allora immensa, sulle rive dell'Hudson, un fiume largo come il mare, ma freddo e straniero, il vecchio poeta pensa al Meschio, un fiume piccolo come un ruscello, ma dolce e caro come la casa natale, e il ricordo gli riscalda il cuore.

Aldo Toffoli


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