Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°9 - 1996 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
I Galli nel Venetorum angulus.

A partire dal TI secolo, in concomitanza con le "esplorazioni" di Lepido, si registravano le pressioni dei GALLI sui territori orientali dei Veneti. Nel 186, dodicimila Transalpini 'senza atti di guerra o saccheggio', secondo quanto scrive Livio, sarebbero penetrati nella zona per vie montuose fino allora sconosciute' al mondo romano, ed avrebbero apprestato una cittadella fortificata, un oppidum, a 12 milia dal luogo dove sarebbe sorta la colonia di Aquileia Il fatto compiuto non fu accettato da Roma, molto sensibile alle manovre di quei popoli e, memore del 'metus gallicus', il Senato ponderò a lungo sul da farsi. Alla fine, nel 183, a scanso di futuri pericoli nel settore orientale, il console M.Claudio Marcello ebbe l'ordine di rispedire gli intrusi al di là delle Alpi e 1' oppidum celtico, secondo Plinio, venne distrutto(35). L'operazione, che era stata oculatamente organizzata, ebbe pieno successo:
l'invio di ambasciatori presso i popoli al di là delle Alpi e lo spiegamento di forze agli sbocchi prealpini avevano scoraggiato e bloccato il sopraggiungere di consistenti rinforzi. Non dovrebbero esserci dubbi che in quell' occasione le truppe romane avessero accortamente preso d'infilata gli invasori, incuneandosi sulla nostra via pedemontana e tagliando loro le normali vie di comunicazione con le altre tribù delle Alpi e del Norico.
Ai Galli non restò altro che cedere le armi e protestare per via diplomatica a Roma. Nel dibattito che ne seguì al senato, i Galli contestavano l'imposizione di essere rinviati nelle sedi di origine, e protestavano il loro buon diritto a rimanere sui terreni occupati poiché questi - dichiaravano - erano liberi da colture e da città; il loro titolo sarebbe derivato dal pacifico possesso di un territorio considerato res nullius. Ad ogni modo promettevano di vivere in pace e di accettare il protettorato di Roma ove avessero avuto il permesso di restare. Il ricorso fu rigettato da parte del senato romano e gli invasori dovettero abbandonare le terre dei Veneti. Il rifiuto senatorio di accogliere quelle popolazioni appariva immotivato a molti commentatori, cui sembra essere sfuggito il fatto che i Galli, sedicenti pacifici, erano stati privati dall'intervento romano - secondo il racconto di Livio che sembrava contraddittorio - 'delle cose e delle armi che essi avevano rapinate nei campi'(36).
Questa citazione di "campi rapinati" indica che il territorio conteso non risultava nè privo di culture né disabitato, come viene ampiamente confermato dalle recenti indagini archeologiche. Gli invasori venivano quindi aspramente rimproverati da Roma, e giustamente veniva imposto il ripristino dello status quo ante.
Una tale difesa degli interessi dei Veneti, di un popo1o a detta delle fonti tradizionalmente alleato di Roma contro i Galli, trova il suo fondamento giuridico nell'antico patto di amicitia, ma forse si spiega meglio ormai sulla

34) 'Eodem anno Galli Transalpini transgressi in Venetiam sinepopulatione aut bello haud
procul inde, ubi nunc Aquileia est, locum oppido condendo coeperunt.' (LIVIO, XXXIX,
22,6). Forse sul colle di Medea.
35) PLINIO, N.H., III, 19,131 - riferito da Pisone Frugi: 'Et ab Aquileia ad XII lapidem
deletum oppidum etiam invito senatu a M.Claudio Marcello L.Piso auctor est.~ in PELLEGRINI GB.- PROSDOCIMI AL., 1967, La lingua venetica, PD, vol.II, p231.
36) Cfr.LIVIO, XXXIX, 54-55; in QUAI, cit., p. 15. PASCHINI, 1975, Storia del Friuli, UD,
p20.

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base di un accordo di protettorato, analogo a quelli che Roma stipulava con molte città della Grecia in funzione antimacedone, proprio in quegli anni. Ovviamente l'operazione nella Venezia orientale, dal punto di vista romano, si inquadrava in una politica di difesa preventiva in funzione anti-gallica, strategia già collaudata nei territori degli Insubri quasi mezzo secolo prima.
In conclusione, la debellatio delle popolazioni del territorio orientale dei Veneti e la cacciata degli aggressori offriva spazio all'inserimento di una testa di ponte latina. Infatti, la presenza incombente dei Galli Carni sulle Alpi e degli Istri verso il mare, consigliavano l'inserimento nel Nord-Est di un forte scalo marittimo nelle acque interne, appoggiato a terra da un congruo presidio di coloni. Nel 183-181 Roma "patteggiò" coi Veneti la deduzione di Aquileia presso la foce del fiume Natiso, con un agro di 50 mila ettari~37~. La stessa necessità strategica che aveva fatto sorgere Aquileia, farà succedere nello stesso settore, dopo quasi due millenni, la fortezza veneziana di Palmanova.
I Galli però non desistevano dal tentativo di inserirsi sul territorio e tre mila dei loro nel 179 chiedevano ospitalità e terre, ma il console Quinto Fulvio recapitava ancora un rifiuto da parte del senato(38). L'inserimento dei coloni latini non doveva essere stato molto tranquillo se, oltre al tentativo dei Galli, l'anno successivo, nel 178 si inviarono le truppe di A.Manlio Vulsone contro gli Istri, che avevano disturbato la fondazione della colonia(39). Si fa l'ipotesi che i continui transiti romani verso oriente di coloni e di truppe formalmente alleate, ma pur sempre accompagnate dai disagi di una hospitalitas onerosa e dai pericoli di ingerenza abbiano suscitato dei torbidi in quel di Padova, fomentati da un probabile partito filo-gallico, organizzato da quella dinastia di oriundi celti, gli "ANDETICI", i cui nomi compaiono in alcune epigrafi patavine(40). Come conseguenza, nel 175, M.Emilio Lepido veniva inviato nella zona a risolvere la crisi, che si chiudeva positivamente(41),

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37) LIVIO, XL,34,2: 'Aquileia colonia latina eodem anno in agro Gallorum est deducta. Tria milia peditum quinquagena jugera, centuriones centena, centena quadragena equites acceperunt'. La deduzionvia e venne attuata dai triumviri Publio Scipione Nasica, Gaio Flaminio il Censore e L.Manlio Acidino.
La veneticità del toponimo Aquileia viene argomentata dall'eminente Prosdocimi in FOGOLARI G.-PROSDOCIMI AL., 1988, I VenetiAntichi, La Lingua, PD, p316. Cfr. però nell'Origo civitatum Italiae seu venetiarum (in CARILE, 1978, Origini, p60): 'civitatem Aquilegia nomine, idest aquis ligata'.
38) PASCHINI, 1975, p.2l.
39) LIVIO, XL, 26,2.
40) FOGOLARI G.-PROSDOCIMI A.L., 1988, I Veneti Antichi, La Lingua, PD, p381.
'Andetici' sono presenti anche nell'iscrizione di Canevoi di Cadola (BL), cfr. PROSDOC., La Lingua, cit, p.307.

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e probabilmente il console otteneva di imporre una definitiva "servitù di passaggio" sulla scorciatoia Este - Padova - Montebelluna.
Nel 171 veniva registrata la marcia dimostrativa di Caio Cassio Longino ancòra contro gli Istri; il console coglieva l'occasione del transito, verosimilmente lungo la pedemontana, per devastare anche le terre dei Carni sulle montagne (oltre a quelle dei Giapidi), e il loro alleato Cincibilo, regulo dei Galli transalpini, si doleva con il senato di Roma(42).
Il continuo riferimento ad attività militari contro le tribù sulle Alpi indica che queste zone erano fonte di relativa preoccupazione, e che il percorso lungo la pedemontana doveva essere costantemente sottoposto ad intrusioni stagionali da parte di popoli alpini(43), difficilmente normalizzabili a meno di una massiccia operazione militare contro di loro.
Se ne ricava anche che gli insediamenti veneti delle Prealpi erano in serie difficoltà nel contrastare la pressione dei popoli dell'arco alpino nord-orientale. Con questi presupposti è molto probabile che alcune tribù celtiche si siano inserite fino ai margini della pianura, come risulterebbe dalla documentazione archeologica, a minacciare direttamente i territori ed i transiti ad Est del Livenza.
Verso la metà del TI sec.a.C. quando qualcosa cominciò a cambiare nel rapporto politico tra Veneti e Roma, o meglio sotto la spinta di eventi esterni, i consoli romani si apprestarono a rafforzare la loro presenza nel settore costruendo de novo una via più arretrata sui terreni della media pianura, la Postumia. La pista "submontana", cioè la via di Lepido, e gli sbocchi prealpini venivano declassati, e non solo poiché imprevedibilmente pericolosi per i traffici civili o molto onerosi da presidiare adeguatamente.
Gli antefatti della costruzione della nuova strada si dovrebbero ricercare nella necessità di consolidare la presenza romana nel settore orientale e di rafforzare il presidio dello scalo marittimo aquileiese in un periodo di pericolose lotte contro Perseo di Macedonia. Questi era riuscito ad attirare dalla sua parte nuovi alleati nell 'Epiro e nell'Illirico (terza guerra macedonica, 171-168) e ormai minacciava da vicino le Alpi Orientali. Come rafforzamento dell'area, nel 169 furono aggiunti altri 25 mila ettari alla pertica di


41) LIVIO, XLI, 27,3-4: 'Consules votis in Capito/io nuncupatis in provincias profecti sunt. Ex iis M.Aemilio senatus negotium dedit, ut Patavinorum in Venetia seditionem comprimeret, quos certamine factionum ad intestinum bellum exarsisse et ipsorum legati adtulerant. ..Patavinis salutisfuitadventus consulis;' (CAPOZZA, 1987, cit., p17).
42) LIVIO, XLIII, 5 (PASCHINI, 1975, p.2l. QUAI, p.4I).
43) Dei Reti si ricordavano ancora in tempi storici pericolose incursioni nella pianura (STRABONE, 5, 1, 6,212; in MANSUELLI G.A., 1965, Formazione delle Civiltà storiche della Pianura padana Orientale, in "Studi Etruschi", XXIII, SI!, FI, p.8, nota 22).

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Aquileia, con l'inserimento di 1500 nuove famiglie di coloni latini(44). Intanto Perseo, abile diplomatico ma pessimo stratega, veniva sconfitto nella battaglia di Pidna del 168, e la diminuita tensione nei Balcani lasciava in Aquileia un notevole peso politico ed economico. Sicché quando nuove esigenze strategiche nel settore orientale resero necessaria la costruzione di una nuova via attraverso i territori in aperta pianura non furono sollevate difficoltà da parte dei maggiorenti veneti(45), e i cantieri poterono procedere senza difficoltà, e senza problemi di reperimento di manodopera.

44) LIVIO, XLIII, 17,1: 'postulantibus Aquileiensium legatis, ut numerus colonorum augeretur..' (in DORIGO, p18, n.22). L'inserimento venne affidato ai triumviri T.Cassio Lusco, P.Decio Sabulo e M.Cornelio Cetego.
45) CESSI, 1957, p202: "Livio parla di principes, di seniores, di publicum consilium, lasciando intravvedere l'esistenza di organi, che ad un certo momento assurgono alla funzione di governo comune". Questa considerazione può essere estesa anche ai Veneti, se puri! brano di Livio riguardi i Cenomani di Brescia (in CAPOZZA M., 1987, La voce degli scrittori antichi, p16).

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