Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°9 - 1996 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
La via di Lepido.

Secondo quanto riportato da Strabone, i consoli M.Emilio Lepido e Gaio Flaminio avrebbero aperto, attorno al 187 a.C., due strade: la prima da Roma ad Ariminum, la seconda da Rimini a Bononia(7); di qui la strada sarebbe proseguita per Aquileia, sempre secondo il racconto di Strabone, correndo 'alle radici delle Alpi, aggirando le paludi '(8).
Strabone avrebbe però in parte frainteso le sue fonti, poiché da altri storici antichi si ricava che la via Flaminia da Roma era stata costruita circa trent'anni prima, attorno al 220, mentre i consoli M.Emilio Lepido e Caio Flaminio nel 187 avevano aperte la via Aemilia da Ariminum a Placentia (dedotta nel 218 assieme a Cremona) e la 'Flaminia minor' dalla piazzaforte di Arretium fino al territorio bolognese(9). Malgrado la confusione delle notizie in Strabone molti autori moderni tra cui Fraccaro, Scarpa, Bosio, Capozza, Dall'Aglio non escludono che Lepido abbia "aperto" a suo tempo anche una via che da Bononia si inoltrava nei territori dei Veneti. Difatti


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come console M.Emilio Lepido era presente in forze nel settore nord-orientale per rimediare alla impulsiva requisizione delle armi ai Cenomani da parte del pretore Furio Crassipede nel 187(10), e qualche anno dopo accorreva a Padova per sedare i tumulti interni del 175~174(11). L'apertura di una nuova via consolare prima del 181 a.C., cioè avanti la fondazione della colonia di Aquileia, non sembra convincente a molti commentatori, e su questa considerazione si può facilmente convenire. D'altra parte non ci dovrebbero essere dubbi che per le operazioni di polizia nel settore alpino orientale, proprio all'inizio del TI secolo a.C., i Romani dovevano usare una pista preesistente attraverso i territori degli alleati Veneti. E' realistico anche ritenere che la pista "aperta da Lepido" sia stata eventualmente consolidata dai legionari in transito nei ripetuti interventi nel settore nord-orientale e fatta passare più tardi come costruita de novo, per quel che ne sapeva Strabone.
Dalle fonti storiche è difficile ricavare particolareggiate indicazioni sull 'itinerario seguito da Lepido, o dai suoi precursori, ma in via preliminare, se non si vuole stravolgere la chiara indicazione di Strabone 'alla radice delle Alpi, aggirando la paludi', appare molto improbabile l'utilizzazione ed il consolidamento da parte del console di una preesistente pista paleoveneta in prossimità del litorale, come viene proposto dal Bosio(12). A parte la labilità e la lenta percorribilità di un tale tragitto tra lagune, paludi, risorgive e numerosi corsi di fiumi a regime torrentizio, dal punto di vista strategico


10) CAPOZZA M., 1987, La voce degli scrittori antichi, in Il Veneto nell'Età Romana, a cura di BUCHI E., VR, vol.I, p. 17. DORIGO W., 1983, Venezia: Origini, vol.I, VE, p19 e n.29:
'..Ar,na reddere Cenomanis, decedere provincia praetor iussus', (LIVIO, XXXIX, 3, 1-3). Nel 175 secondo il CESSI R., 1957, Da Roma a Bisanzio, in Storia di Venezia, VolI, VE. 11) LIVIO, XLI, 27,3-4: 'Consules votis in Capito/io nuncupatis inprovinciasprofecti sunt. Ex iisM.A emilio senatus negotium dedit, ut Patavinorum in Venetia seditionem comprimeret'. Cfr. CAPOZZA, 1987, p.l7-l8, in cui viene però messo in dubbio che il "proconsole" M.Emilio Lepido fosse intervenuto di persona a Padova, per problemi di cronologia e contraddizioni in Livio.
12) Per il Bosio la via aperta da Lepido seguirebbe un percorso lungo le lagune, passando per Altino e per l'area della "Concordia" paleoveneta (BOSIO L., 1987,11 territorio: la viabilità e i/paesaggio agrario, in Il Veneto nell'Età Romana, a cura di BUCHI E.,VR.).
Non si spiegherebbe però come mai i romani nel 148 a.C. ponessero mano alla costruzione della Postumia sulle terre di metà pianura per collegare i territori della Transpadana con Aquileia, e poi nel 132 ripiegassero ancora verso le lagune e munissero la più importante Annia (se già esisteva?), completando la Popilia lungo il litorale.
Un quesito a questo punto: se la colonia di Julia Concordia venne fondata sul territorio dei Carni, a detta di Tolomeo (PTOL., III, 1, 25), come e quando questo popolo poteva esservi arrivato e stanziato, se la ipotizzata litoranea a partire dagli inizi del Il secolo e poi la Postumia, nel tratto Oderzo-"Annia", erano controllate dai consoli?.

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sarebbe stato insensato il pattugliamento di una via molto arretrata rispetto ai punti potenzialmente caldi sulle propaggini alpine. Una tale tattica di retroguardia e rinunciataria, riferita ad un'epoca di espansione del mondo romano, risulterebbe incomprensibile. Senza contare che una tale modalità di inserimento di legionari attraverso la bassa pianura, in un territorio tradizionalmente amico ed alleato, poteva essere vista come ostile dagli autoctoni. Ovviamente agli inizi del secondo secolo un tale progetto sarebbe apparso controproducente e politicamente improponibile anche al senato romano(13), considerato il vigente patto di alleanza fra i due popoli. Difatti l'amicitia con Roma venne rispettata lealmente dai Veneti durante le due tranches di lotte contro i Galli, concluse con la vittoria di Telamone del 225 e di Clastidio del 222(14), e venne mantenuta persino nei momenti critici della seconda guerra punica(15), finita nel 201. D'altro canto dal punto di vista tattico, per non ripetere in qualche modo gli errori, per esempio quelli compiuti nel 232 dal tribuno della plebe C.Flaminio Nepote - che Polibio ritenne avessero scatenato la reazione gallica del 225(16) - eventuali interventi operativi nei territori propriamente veneti potevano essere effettuati velocemente sia dalla linea di costa tramite l'appoggio della potente flotta, sia via terra lungo le normali piste commerciali, partendo dalla piazzaforte di Rimini. Questo era il caposaldo romano della provincia Ariminum, come


13) La cautela del senato si era palesata con l'opposizione alla legge agraria di G.Flaminio del 232, per l'agro 'piceno-gallico' a sud di Rimini (CASSOLA F., 1974,1 rapporti tra Roma e la Gallia Cisalpina nell 'età delle guerre puniche, UD, p.l 2), e con i gravi dissensi espressi al tempo dell'invasione dei territori transpadani degli Insubri (CAS SOLA, p. 14).
14) CASSOLA F., 1974, cit., p13: 'Le truppe degli alleati Cenomàni e Venetifigurano infatti nelfamoso censimento del 225 (Fabio Pittore,fr.23 Peter)'; e POLIBIO, lI, 23,2, prima della battaglia di Telamone, racconta che: 'Le tribù dei Celti tennero saldamente fede ai patti stabiliti fra loro, ma i Veneti e i Cenomani, in seguito a messaggi ricevuti dai Romani preferirono allearsi con loro' (in PELLEGRINI-PROSDOCIMI, Il, p.223). Difatti, sempre secondo POLIBIO, Il, 24, 7: 'e ad essi si aggiunsero ventimila Veneti e Cenomani. Queste truppe furono schierate ai confini del territorio gallico, affinché con una contromanovra nel paese dei Boi, costringessero gli invasori a ritornare'.
15) STRABONE, 5, 1,9,216: '.. Cenomani e Venetifurono alleati dei Romani sia prima della spedizione di Annibale, quando combattevano i Boi e gli Insubri, sia dopo'; e LIVIO, XXI, 55,4: 'auxilia Cenomanorum: ea sola infide manserat Gallica gens' (in CAPOZZA, 1987, cit., p15). Silio Italico (ID., De bello punico, XII, 212-222) ricorda la partecipazione alla battaglia di Canne nel 216, di militi veronesi 'Athesi circumflua' (DORIGO, p.l8, nota 20. Vedi anche CESSI, 1957, cit., p.l86). Silio ricorda anche l'episodio di Pediano della "juventuspatavinaAsconia" che nella battaglia di Nola, del 215, tolse ai Cartaginesi le armi di L.Emilio Paolo morto a Canne l'anno prima (in SILIO ITALICO, XII, 2 12-222).
16) CESSI, Da Roma, p.l 87: 'L'acuta analisi polibiana, che addita nella politica agraria romana inaugurata dal tribuno C. Flaminio Nepote, nel 232, una delle cause contingenti della riscossa gallica ..'. Cfr. anche CASSOLA, 1974, p.l2-l4.

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veniva allora chiamata la Gallia Cisalpina(17), e di là infatti sarebbero partite le operazioni di polizia dirette sia verso il settore veneto-cenomane che verso quello carnico-istriano.
La via pionieristica "di Lepido", più efficace sotto tutti i punti di vista per le manovre dei consoli, e meno problematica dal punto di vista politico, doveva ricalcare gli antichi percorsi "franchi" sulla linea delle Prealpi. E qui calza perfettamente il ricordo della famosa via di Ercole, citata da Aristotele, lungo la quale i viandanti venivano considerati inviolabili(18), costellato come doveva essere l'itinerario da una lunga sequenza di santuari. In un'area marginale rispetto al mondo veneto-euganeo, in una zona di cerniera con quello composito veneto-alpino, la marcia lungo la via pedemontana poteva contare anche su punti di appoggio presso gli oppida e gli stabilimenti commerciali allo sbocco delle valli. Ovviamente l'inserimento romano attraverso i territori prealpini doveva essere supportato dal consenso della confederazione delle tribù venete di pianura e di quelle delle montagne,


17) LIVIO, XXVIII, 38,13; VOLTAN C., 1992, Rapporti politico militari tra Roma e la Cisalpina durante la seconda guerra punica: il caso mantovano, in "PADUSA", a.XXVIXXVII, PD, p221. CASSOLA F.,1974, cit., p.l6.
18) I santuari di Ercole nell' Italia del Nord sono legati al ricordo di vie commerciali che risalgono all'età del bronzo; Ercole, 'dieu des eaux, au pied des Alpes', copre il nome di un qualche dio italico il cui ricordo non era scomparso in epoca storica (vedi CHE VALLIER R., 1976, Un aspect de la personalité de / 'Hercule Alpin, in Ce.S.D.I.R., vol.VII, 1975-76, MI, p.l38-l4O). E una tradizione ricordata già da Aristotele parla di una via di Heracles verso occidente lungo la quale ogni passante era inviolabile (CHIRASSI COLOMBO I., 1976 B, Acculturazione e moifologia di culti alpini, in Ce.S.D.I.R., vol.VlI, 1975-76, MI , p163, nota 12). Attributi di Ercole sono stati rinvenuti al santuario di Lagole di Calalzo (BL), ed a Gùrina nella valle del Gail, dove un'iscrizione testimonia un tempio dedicato al dio (PELLEGRINI-PROSDOCIMI, 1967, La lingua Venetica, p612). Bronzetti raffiguranti Ercole sono presenti ai santuari di Este (stipe Baratela), Altino, Lagole, Gùrina, Trieste (stipe di Gretta), nonché a Cividale e Aquileia; dediche latine a Zuglio, Cividale ed Aquileia. Una dedica all'eroe è documentata anche presso il Timavo. Infine, nel Cenedese, al santuario di Villa di Villa (Cordignano) dal braccio sinistro della divinità, raffigurata sulle lamine votive con figure di bovidi, pende la leontèa, attributo di Ercole. Il dio era molto venerato dalle varie stirpi italiche, in particolare dai popoli di allevatori, in ricordo dell'episodio della mandria tolta da Ercole al mostro Gerione dalle tre teste, e invocato come presidio contro i razziatori, che colpivano prevalentemente durante le lunghe transumanze del bestiame. Il culto di Ercole è anche connesso con santuari oracolari, e si ricorda l'oracolo di Gerione alle acque salutari di APONOS, a Montegrotto (CHIRASSI COLOMBO 1,1976 B, p162, nota 129).
Quindi il culto dell'eroe risulta spesso connesso con acque termali, e lungo importanti percorsi commerciali. Cfr. BASSIGNANO MS., La religione: divinità, culti, sacerdoti, in Il Veneto nell'età romana, I, a cura di BUCHI E.,VR, 1987, pagg.3 11 segg.; CHEVALLIER R., 1976, cit.; CHIRASSI COLOMBO I., l976a, I culti locali nelle regioni alpine, in Antichità Altoadriatiche, IX, UD, p. 173-206; CHIRASSI COLOMBO I., 1976b, pp.l 57-189; MASTROCINQUE A., 1987, Santuari e divinità dei Paleoveneti, PD.

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patteggiato sulla base della politica del Senato che in quel periodo privilegiava gli accordi di alleanza o di "protettorato" con le popolazioni locali. Difatti, fin dal 218 circa, L.Leturio Filone e C.Lutazio Catulo erano riusciti a guadagnare all'amicizia romana le popolazioni che abitavano le valli alpine al di sopra di quelle dei Veneti e degli Istri: lo storico bizantino Zonaras - dell'XI secolo, che però riprende da Dione Cassio del TI sec.d.C.
- racconta che i due consoli 'andati avanti infin alle Alpi, senza combattere, tirarono molti dalla loro parte '(19) Erano evidentemente riusciti, nell'imminenza e in previsione della seconda guerra punica, a sottrarre alcuni popoli alpini alle lusinghe di Pilippo V di Macedonia, potente alleato di Cartagine, che aveva però preferito impegnarsi solo finanziariamente nella lotta contro Roma, e agire diplomaticamente come longa manus punica nel settore alpino e dinarico.
Ti tracciato della via di Lepido, la cosiddetta "Aemilia Altinate", secondo Dall'Aglio, da Bononia toccava Este e faceva capo a Padova; Scarpa Bonazza ha invece l'impressione convincente che il percorso dovesse transitare lontano dai centri paleoveneti più importanti(20). Sembrando sicuramente prematuro un passaggio lungo la pista di Este e di Padova, il percorso da Bononia doveva puntare decisamente a Nord su Ostiglia, evitando anche le paludi attorno a Mantova, verso i territori dei Cenomani. Queste tribù galliche, da sempre alleate di Roma, si erano dimostrate infide attorno al 200-197, a partire dal Gallicus tumultus suscitato dal cartaginese Amilcare, ma erano state recuperate all'antica alleanza dall'intervento di C.Cornelio Cetego(21). Infine Lepido, che era personalmente intervenuto nel 187 per restituire ai Cenomani le armi requisite da F. Crassipede, potè sicuramente utilizzare nelle sue esplorazioni, e senza problemi diplomatici, un tratto viario verso il pedemonte "cenomane" fino ad intercettare una antica pista diretta ad Oriente. I "battistrada" di Lepido, muovendosi quindi verso Est lungo la pedemontana, dopo il Brenta (l'antico Medoacus) incontravano il centro paleoveneto di Montebelluna, punto focale dei traffici commerciali sia verso il feltrino, il bellunese e il Cadore, sia verso il cenedese


19) In QUAI F., 1982, Protostoria del Friuli, I Celti, UD, p. 26: "Auicio~ Se Overvpioc icai Faioc-Avraro~ r~9ovps~pt rcovAÀiraov, cxvev &~uaz11; ,rc&t2Lu;oncetoxrairo". Vedi anche PASCHINI P., 1975, Storia del Friuli, UD, p19.
20) DALL'AGLIO, La così detta "Via Aemilia A Itinate ", 1992. Secondo la Scarpa, Strabone alluderebbe 'ad una via Bologna Ostilia - Verona - Vicenza - Bassano - Montebelluna -Conegliano - Sacile - Fontanafredda' (SCARPA BONAZZA B., Concordia Romana, 1978, p.l23, nota 378).
21)! legati appresero che la volontà dei Cenomani non era unanime e che solo la iuventus si era armata 'non exauctoritate seniorum ' CAPOZZA, 1987, cit., p.l 5-16 e note 131-136, p.S4, con citazione delle fonti).

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e le Alpi orientali, 'che nell'antichità venivano dette Venete'(22). A Montebelluna, di cui non si conosce il nome antico(23), la pista pedemontana incrociava l'attivissima commerciale "patavina", che viene evidenziata, per la media età del ferro, dalla diffusione delle ciste cordonate in bronzo e dai lebeti a due manici, rinvenuti nelle necropoli, lungo una direttrice nel senso dei meridiani Padova - Montebelluna - Valbelluna - Cadore(24). Nulla osta a ritenere che anche tale percorso, come scorciatoia da Este - Padova a Montebelluna, venisse utilizzata da Lepido e dalle legioni nei momenti di crisi acuta sul fronte gallico orientale, dato il patto di amicizia o di protettorato coi Veneti; ma forse solo dopo la composizione dei tumulti patavini del 175 diventava la via normale, e senza tante formalità le truppe si potevano inserire più velocemente sull'antica "pedemontana". Anche in questa ipotesi viaria, il proconsole aveva cura di evitare le zone umide presso il litorale, come affermava Strabone, e lo stesso storico-geografo greco riconosceva il territorio altinate come paludoso(25). Da Montebelluna volgendo a Est, il percorso poi superava facilmente il Piave nei pressi di Covolo (necropoli), sulla riva destra, e di Vidor (presso Valdobbiadene) sulla sponda sinistra del fiume. In alternativa si poteva passare il fiume a guado nella zona di Colfosco vicino a Susegana, dove si sarebbero incrociate molto più tardi la Claudia Augusta 'ab Altino' e la Opitergio-Tridento. La via "Aemilia submontana" quindi, ben a monte della linea delle risorgive con percorso tortuoso che seguiva 1 'orografia (stranamente finora non abbiamo documentazioni paleovenete per il Quartier del Piave), forse lambiva Tarzo (piccola stipe) e toccava Ceneda (necropoli ai Frati e santuario sul M.Altare), altro importante nodo stradale verso il Cadore ed il Norico, al centro di una vasta rete di luoghi di culto(26). Questi sembrano congegnali ad un'ampia area di mercato,


22) AMMIANO MARC., XXXI, 16,7: 'ad usque radices Alpium Iuliarum, quas Venetas appellabatantiquitas'; testimonianza che viene sempre più chiarita dall 'odierna archeologia. Cfr. SASEL J., 1976, IuliaeAlpes, in Ce.S.D.I.R., vol.VII, 1975-76, MI, p613, 15 e p.616. 23) Si ipotizza che l'antico nome di Montebelluna sia trasmigrato sul nuovo centro amministrativo romano di Acelum; così sembra sia capitato d'altra parte al grosso insediamento minerario e politico sul Magdalensberg nel Norico, che avrebbe ceduto il proprio nome, Virunum, alla città di pianura.
24) Cfr. CALZAVARA L., 1984, La zona pedemontana tra Brenta Piave e Cadore, in Il Veneto nell'antichità, vollI, Protostoria, VR, p856.
25) STRABONE, 5, 1,7:" 'ean & icai roA Àrivovsve2~rt "; e VITRUVIO,De arch., 1,4,11:
'Exemplar autem huius rei Gallicae paludes possunt esse quae circum Altinum Ravennam Aquileiam ...'; in TOMBOLANI, A/tino, cit., p.98, nota 21.
26) Per i santuario piccoli sacrari paleoveneti a Tarzo, M.Altare, Scomigo, Caste! Roganzuolo, Orsago e Villa di Villa, vedi ARNOSTI, 1993a, cit., cui bisogna aggiungere per Caste! Roganzuolo i recenti ritrovamenti di dracme venetiche, di fibule Certosa e 'plastic style', una

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per la presumibile confluenza o raggruppamento delle mandrie durante la transumanza verso i pascoli estivi sulle Prealpi e nella Valbelluna, con basi d'appoggio nei centri commerciali o minerari, rispettivamente di Mel e Cavarzano (BL), massimamente attivi fino alla media età del ferro(27). Da Ceneda la pista toccava Castel Roganzuolo (sacrario, ed epigrafe funeraria di LAVSKOS) e correndo alla radice delle colline (santuario ed insediamento di Villa di Villa presso Cordignano)(28) portava al Livenza, che veniva scavalcato facilmente alle sorgenti presso Polcenigo (necropoli di S .Giovanni)(29). E' importante far notare che solo in questa zona, a circa metà del percorso in terra veneta, i contingenti militari potevano ricevere rifornimenti in profondità, utilizzando la navigabilità del fiume Liquentia fin quasi alle sorgenti(30). Di qui, passando per Montereale Valcellina (necropoli, e arula al TEMA vo)(31), la pista puntava sul Tagliamento dove si biforcava. Volgendo a Nord, dirigeva verso i territori alpini, in seguito occupati dai Galli Carni, e, attraverso il passo di M.Croce Carnico (santuario ed epigrafi), raggiungeva i Norici (santuario con notevoli presenze paleovenete a Gùrina nella valle del Gail); proseguendo dritto a Est, oltre le Alpes Venetae, toccava i centri dei Taurisci e, a Sud-Est, quelli degli Histri e dei Iapudes(32).
Il tratto pedemontano risulta frequentato fin dai tempi più remoti, sulla


chiave "celtico-alpina" assieme ad altri reperti dell'età del ferro, riferibili sempre ad un luogo di culto, oltre ai bronzetti itifallici già documentati.
I reperti provenienti da santuari, da necropoli o da insediamenti della zona, in gran parte inediti, sono esposti o nei depositi del Museo del Cenedese di Vittorio Veneto o della Soprintendenza Archeologica del Veneto. Questo studio fa largo uso degli inventari del Gruppo Archeologico del Cenedese, che ha recuperato i materiali e che ha recentemente allestito una mostra fotografica itinerante sull'argomento.
27) I reperti delle necropoli di Mel e Cavarzano sono in gran parte inediti. Per una prima documentazione AA.VV., 1993, I Paleoveneti ne/Bellunese, VR, Ed. Cassa di Risp. di VR, VI, BL e AN.
28) MAIOLI M.G., 1984, La stipe votiva di Villa di Villa a Cordignano (TV), in 'Archeologia Veneta', VII, PD, pp.99-l 14. ID., 1987, I materiali romani della stipe di Villa di Villa (Treviso): le ceramiche, in 'Archeologia Veneta', X, PD, pagg.71-86.
29) PETTARIN S.-RIGONI A., 1992, Siti archeologici dell 'Alto Livenza, Fiume Veneto (PN).
30) Non è improbabile che già allora si attrezzassero dei depositi, canabae (Caneva), i cui addetti frequentavano il santuario di Villa di Villa. Qui le lamine votive ritagliate in forme geometriche e identificate anche come ponte fortificato su due corsi d'acqua (vedi ARNOSTI G., 1990,1/ nume tutelare della 'stipe'di Villa di Villa, in 'Il Flaminio', n.5, Vittorio V.to, p3-15), sembrerebbero essere in relazione col Livenza e con i suoi traffici.
31) BANDELLI G., CORAZZA 5., CREVATIN F., FONTANA F., PETTARIN S., TIRONE C., VITRI 5., 1990, Montereale fra protostoria e storia, estratto da 'Ce Fastu?', LXVI, 2, Fiume Veneto (PN), p.169-22O.
32) Cfr. cartina geografica in SASEL J., 1976, Iuliae Alpes, p.615.

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base delle testimonianze archeologiche, e più che mai efficiente in tutte le epoche di crisi. Il tratto fra Piave e Meduna, facendo riferimento solo a partire dalla media età del ferro, viene delineato passo-passo dalla diffusione di classi di reperti come la ceramica cordonata con modanature sul bordo e le fibule Certosa. Dal TI secolo a.C. sembra avere una frequentazione privilegiata per la comparsa di numerosi torques a nodi, delle fibule Latène con decorazione plastic style a spirali sull'arco, e infine dei piccoli oboli d'argento del Norico, con la cosiddetta croce dei Tectosagi sul verso(33).
La via, così come risulta delineata dalla diffusione dei suddetti reperti, non viene segnalata in epoca romana da miliari, da 'itinerari' o da indicazioni toponomastiche; però la presenza di circolante romano repubblicano al santuario sul M.Altare sopra Ceneda, assi unciali, un semisse e denari d'argento - la moneta legionaria - con altri assi a testa di Giano raccolti in numerosi depositi "sacri" del Cenedese, assieme a dracme venetiche, suggeriscono una prima frequentazione romana dell'itinerario pedemontano a partire proprio dal TI secolo a.C. Ciò avvenne in concomitanza con la conclusione delle pluridecennali lotte sostenute contro i Galli nella Padania occidentale, e alle prime avvisaglie di infiltrazioni celtiche anche nel settore orientale delle Alpi. In quelle occasioni l'antica commerciale pedemontana si presentava immediatamente disponibile alla politica romana di prevenzione e di contenimento delle manovre dei Celti e delle altre popolazioni alpine sul fronte veneto. La "via di Lepido", la 'submontana', sarebbe stata quindi l'asse portante dell' intromissione romana in questo settore.

33) Citazione in ARNOSTI, 1993a, e foto 7-8. (per i Friuli ampia docum. in BUORA M., 1994, Le monete celtiche del Friuli: la documentazione archeologica, in Numismatica e Archeologia del celtismo padano, Atti del Conv.Intern., AO, pp.7-2l). Tra i piccoli argentei del M.Altare, con lo stesso peso, anche un obolo di MASSALIA (simile in MOLLO MEZZENA R., 1994, 11 celtismo in Va/le d'Aosta, in Numismatica e Archeologia del Celtismo padano, AO, p16!, fig. 23 e-f). Un denario di Rubrio Dosseno risulta tagliato per adeguarlo alla ca~atura di un obolo. Le palline d'argento sul M.Altare del peso degli oboli fanno pensare a un loro conio anche in loco.

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