Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°10 - 1997 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
LOREDANA IMPERIO

IL CASTELLO DEI BRANDOLINI A CISON DI VALMARINO

Lo sguardo di quanti percorrono la Valmareno, comunemente detta la Vallata, é attratto, quasi inconsciamente, dalla mole del castello Brandolini che, maestoso e dominante, si erge a testimone di passate glorie.
Ma la storia del maniero é la storia della Valmareno.
Dai reperti archeologici trovati nella zona, sappiamo che il sito fu abitato in epoche antichissime.
Vi risiedettero paleoveneti, romani o forse indigeni romanizzati e ostrogoti, documentati dal ritrovamento di monete di Teodato (536) e Vitige (542). Che queste popolazioni prediligessero i luoghi d'altura, le cosiddette coste, per i loro insediamenti non deve meravigliarci e si spiega, con maggior chiarezza, esaminando il toponimo che indica la valle.
Il termine Mareno deriva dalla radice indoeuropea che ha dato origine al sassone mersc, al franco marés (da cui il francese marais), al veneto mara, al longobardo mar e tutti questi vocaboli significano: palude, stagno, acquitrino.
Quindi, i primi insediamenti umani, nei luoghi ove oggi sorge il castello Brandolini, furono dettati dalla necessità di evitare una zona resa acquitrinosa dal dilagare dei corsi d'acqua.
E probabile che l'importanza strategica del sito sia stata valorizzata dai romani se, come ritenuto da alcuni storici, la strada che sale al Praderadego sarebbe stata un tratto orientale della Claudia Augusta Altinate.


LOREDANA IMPERIO. Storica medievalista, la sua attività di ricerca é rivolta, in special modo, all'ordine monastico cavalleresco dei Templari. Autrice di numerosi saggi, pubblicazioni, interventi anche relativi alla storia locale. É presidente del Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche.


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Delle dominazioni franche e longobarde sopravvive il ricordo nel culto dei santi guerrieri e nei numerosi toponimi. Precisiamo, a questo proposito, che la chiesa sita nel castello Brandolini é sempre stata intitolata a uno di questi Santi militari: San Martino.
Durante l'alto Medioevo sorsero numerose fortificazioni nei punti nevralgici per la difesa della Valmareno e la principale di esse dovette essere il fortilizio di Costa, sostituito in seguito dal castello Caminese, sulle cui residue fondamenta sorse l'attuale castello.
É probabile che prima dell'antico maniero, detto Castello di Costa, vi sia stata eretta una torre, all 'epoca delle invasioni degli Ungari nella prima metà del X secolo, poiché per sfuggire alle rapde scorrerie e ai saccheggi di queste popolazioni che non conoscevano le tecniche di assedio, l'unico sistema di difesa era l'incastellamento.
Per contrastare il dominio acquisito da alcune famiglie di origine franca
e longobarda che si arrogarono privilegi di natura feudale, praticando la
quasi ereditarietà del feudo, l'imperatore Ottone I il Grande, prese a favorire
i vescovi conti ed a concedere loro, sempre più, le prerogative feudali; fu così
che con il diploma del 6 agosto 962 egli concesse al vescovo di Ceneda
Sicardo tutto il territorio della Valmareno.
Sembra che verso il Mille i presuli cenedesi abbiano infeudato la Valmareno ai conti di Porcia, loro avogadori, quindi ai conti di Colfosco, ma tali ipotesi non sono suffragate da documenti.
Il primo dato certo é che Sofia di Colfosco, all'atto del suo matrimonio con Guecello da Camino nel 1154, gli portò in dote e, in seguito, in eredità il feudo di Colfosco, la Valmareno e la contea di Zumelle. Quindi il fatto che Sofia portasse in dote la Valmareno significa che l'ipotesi di una infeudazione della Valmareno ai Colfoso non é poi così priva di fondamento.
L'arrivo dei monaci Cistercensi, nel 1146, e l'erezione del loro cenobio al centro della valle, con la conseguente bonifica delle paludi circostanti e l'inizio della lavorazione della lana, crearono le condizioni favorevoli per un maggiore popolamento della zona. Favorito dai da Camino, il cenobio si sviluppò e tra il 1260 e il 1268 l'abate Tarino vi eresse una chiesa dedicata a santa Maria, della quale possiamo ammirare ancora lo splendido chiostro. L'attuale basilica fu iniziata nel 1305 dall'abate Gualtiero da Lodi e portata a termine, nel 1330, dall'abate Nordio da Treviso.
Non sappiamo in quale anno i da Camino costruirono, su un contrafforte del col dei Moi, a 370 metri d'altezza, il castello di Cison, detto allora "Castrum Costae".
Certamente esso fu edificato verso la metà del XII secolo, essendo documentato già nel 1198.
Gabriele da Camino, nel suo testamento del 1224, lasciava al monastero di Follina il "castrum de Costa" con tutte le sue pertinenze ed il suo castello di Soligo con i poderi. Ma la dipendenza del fortilizio di Cison dall'abbazia

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cistercense era solo una misura cautelativa e temporanea, atta a garantire l'esecuzione dei legati "pro anima" da parte degli eredi del caminese (G. B. Verci: Storia della Marca Trivigiana e Veronese, I - XX, Venezia 1786 1791, vol. I, p. 65, doc. LI).
Della struttura medievale del complesso caminese fortificato rimangono ora solo le imponenti opere murarie e i segni delle fondazioni sulla roccia, riutilizzate durante le sistemazioni cinquecentesche. E dubbio se l'arco di finestra recante la data 1240 appartenga alla costruzione caminese o sia un elemento di riporto da altra struttura esistente nel circondano.
Da alcuni dipinti di epoche successive possiamo dedurre l'aspetto primitivo del castello arroccato sulla sporgenza montuosa, con torre e chiesa castrense.
Per circa due secoli e mezzo i da Camino dominarono la Valmareno pur tra lotte politiche ed episodi di belligeranza.
Negli ultimi anni del XII secolo i Trevigiani invasero la Vallata e trent'anni dopo essa veniva occupata dai fratelli da Romano. In tale frangente, nel 1236, i Caminesi posero i loro castelli, tra cui anche quello di Cison, sotto la protezione dell'imperatore Federico Il giurando fedeltà al suo vicario Ezzelino da Romano.
Dopo l'estinzione degli Ezzelini e durante la signoria dei Caminesi sulla città di Treviso, la Valmareno godette di alcuni anni di pace e prosperità. Sebbene nel 1312 Guecellone, figlio di Gherardo da Camino, fosse stato cacciato da Treviso e il Comune in questione rivendicasse la sua sovranità sulla Valmareno, questa rimase nelle mani dei Caminesi.
Tra il 1313 e il 1316, per scongiurare il pericolo che Cangrande della
Scala, dopo aver conquistato Feltre e Belluno si impossessasse anche di
Ceneda e Serravalle, Rizzardo Novello fu obbligato, dal padre, a sposare
Verde, nipote di Cangrande.
Nel 1319 i trevigiani si allearono al conte di Gorizia contro i Caminesi e occuparono la Valmareno, mentre Guecellone, figlio di Gherardo, si ritirava a Feltre. In seguito, avendo chiesto perdono al vescovo di Ceneda, Manfredo di Collalto, egli ebbe il rinnovo delle investiture della Valmareno, di Serravalle e di Zumelle.
Nel 1320 fu eletto, quale presule cenedese, Francesco Ramponi che si stabilì a Serravalle, essendo Ceneda occupata dalle truppe del conte di Gorizia, rinnovando a Rizzardo da Camino l'infeudazione della Valmareno.
Dopo alterne vicende militari contro il Patriarca di Aquileia, Rizzardo Novello mori a Serravalle il 3 settembre 1335, lasciando due figlie minorenni e la moglie Verde della Scala, in attesa di un terzo figlio. La vedova, appoggiata dal fratello Mastino Il, che nel 1336 fece occupare la Valmareno e Serravalle, assunse la reggenza a nome delle figlie e del futuro erede, ma la nascita di una terza femmina rinfocolò le pretese di quanti rivendicavano la successione al feudo: i Caminesi del ramo di sotto e il Patriarcato del Friuli.

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Il vescovo di Ceneda dichiarò il feudo libero per mancanza di eredi maschi e il 20 ottobre 1337 ne concesse l'investitura ai Procuratori di San Marco, Marco Morosini, Marco Giustiniani e Giustiniano Giustiniani.
In seguito il Ramponi infeudò la Valmareno a Rizzardo e Gherardo da Camino del ramo di Sotto. Il Rizzardo in questione, oberato di debiti, vendette il castello di Costa e la curia della Valmareno al patrizio veneto Marin Falier.
Dopo la decapitazione per tradimento del doge Falier, il vescovo di Ceneda e Tolberto dei Caminesi di Sotto, chiesero di essere reintegrati nel possesso della Valmareno, ma Venezia ignorò tali richieste ed inviò un proprio podestà a governarla.
Dal 1355 al 1413 la Valmareno e il castello di Cison furono contesi dalle armate in lotta nella zona: ungheresi, carraresi, patriarchini, truppe della Serenissima se ne impadronirono a seconda delle alterne fortune della guerra.
Nel 1411 Carraresi, Scaligeri, caminesi e ungheresi comandati da Filippo Spano (Filippo Scolari) la saccheggiarono ed Ercole da Camino se ne impossessò, quindi si sottomise a Venezia, ne riconobbe la sovranità e la nominò sua erede universale. Così 4 anni dopo, alla morte del caminese, Venezia riprese il pieno dominio della Valmareno.
Nei primi anni del XIV secolo la Serenissima aveva iniziato la sua espansione in Terraferma, potenziata sotto il dogado di Francesco Foscani. Essenziale per questa espansione era il controllo delle vie di comunicazione e dei passi, principalmente della via d'Alemagna che collegava l'Oltralpe con Venezia e l'Adriatico attraverso la stretta di Serravalle e i due passi del S. Boldo e del Praderadego che univano la valle al Cadore.
Il castello di Cison e la contea della Valmareno erano, quindi, di rilevante importanza strategica per la Serenissima, la quale essendo, nel 1436, a corto di fondi per pagare due suoi fedelissimi condottieri, Erasmo da Narni detto il Gattamelata, e Conte Brandolini, li ricompenserà concedendo loro il feudo della Valmareno.
Il 5 dicembre 1439 il Gattamelata vendette la sua metà del feudo al Brandolini per la somma di 3000 ducati d'oro.
Conte Brandolini, non meravigli il suo nome abbastanza comune nel '400 e '500 come il femminile Contessina, divenne quindi unico signore della contea della Valmareno e della gastaldia di Solighetto. E pur vero che i Brandolini non erano nuovi a infeudazioni in terra veneta, poiché lo zio del primo signore della Valmareno era stato, a suo tempo, conte di Zumelle. Il personaggio in questione, Brandolino III Brandolini, fu capitano valoroso al servizio di Galeazzo Visconti il quale, per il suo valore nella guerra contro gli scaligeri, gli concesse il castello di Montorio Veronese e successivamente, per le sue imprese nelle campagne militari contro i da Carrara nel 1388, la contea di Zumelle. Egli mori a Treviso 1'8 ottobre 1396 e fu sepolto nella

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chiesa di San Francesco. Che l'investitura di questo Brandolino a conte di Zumelle corrisponda a realtà storica é dimostrato dalla scritta presente sulla lastra tombale ove é detto "comes gemellarum", nonché da una frase contenuta in una "informazione per i Provveditori sopra Feudi" del 23 dicembre 1671, redatta dal conte Guido VIII nella quale si afferma che"... la Brandolina famiglia ... si rese gloriosa con le armi e meritevole di molti feudi e giurisdizioni, tanto appresso l 'Imperatore stesso, quanto appresso la Francia, Sede Apostolica, Milanesi ed altri Potentati. Certezza di ciò è lasciata ai posteri dalle istorie, nelle quali si leggono i dominii di Novara, d'Alessandria, d'Arquato, Benevento, Zumelle ed altri luoghi goduti dai miei ascendenti . . .
Si ribadisce che la citata informazione era un atto ufficiale diretto ai Provveditori Veneziani e quanto in esso affermato era niscontrabile mediante l'esame dei documenti custoditi negli stessi archivi della Serenissima.
Il conte Guido, anch'esso condottiero al servizio di Venezia, nel 1686, non potendo partecipare alla guerra contro i turchi perché infermo, nè inviare i figli ancora troppo giovani, offrì alla Repubblica ben 100.000 ducati, dei quali 60.000 in dono e 40.000 in prestito al tasso del 4%.
Per tanta generosità il Senato e il Maggior Consiglio concessero a lui e ai suoi discendenti, in perpetuo, il patriziato veneto.
La fedeltà a Venezia fu una costante della famiglia Brandolini e altrettanti duraturi rapporti mantenne con molte delle famiglie ad essa soggette e che, in epoche recenti, vantavano le loro dipendenza dai conti da ben 500 anni. Ricorderemo a Cison i Cecchinel, i Possamai Buso, i Frozza, i Marian e, a Solighetto, i Mazzero.
La famiglia de Brandoli, divenuta Brandolini in terra veneta, proveniva da Bagnacavallo (RA) e i suoi componenti erano, da sempre, dediti al mestiere delle armi, in qualità di capitani di ventura e condottieri.
Conte Brandolini, che da Signore della Valmareno si farà chiamare Brandolino IV Brandolini, ebbe tre figli maschi:
Tiberto VIII avuto da Giovanna dei signori della Tela;
Cecco (o Francesco come risulta dai documenti veneziani) avuto dalla seconda moglie Filippa degli Alidosi;
e l'illegittimo Ettore.
Tiberto, rimasto orfano di madre in tenera età, crebbe tra i soldati e fu, come suo padre, capitano della Serenissima. Era genero del Gattamelata avendone sposato la figlia Romagnola. Passato al servizio di Francesco Sforza, come condottiero, ricevette dal duca la signoria di Castellarquato.
Per la sua defezione dalla fedeltà alla Serenissima, il padre lo privò del diritto di successione alla signoria della Valmareno (1456) che destinò al secondogenito Cecco, essendo già morto l'altro figlio Ettore.
Il Brandolini, tuttavia, lasciò al figlio Tiberto tutti i suoi beni in Bagnacavallo e in Forlì. Pertanto dopo la morte di Conte Brandolini la casata

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continuò dividendosi in due rami: quello di Tiberto VIII a Bagnacavallo e quello di Cecco Il a Cison di Valmanino. All'estinguersi, nel 1783, del ramo romagnolo, per antico e mutuo accordo, i loro possessi confluirono nel ramo veneto della famiglia.
Le due branche della casata furono sempre unite e i Brandolini veneti arruolarono costantemente, come soldati nella loro formazione militare detta banda Brandolina, uomini di Bagnacavallo. Questa compagine militare fu operante, come i suoi condottieri i conti Brandolini di Cison, sino al 1700.
Il complesso fortificato di epoca caminese fu trasformato dai conti Brandolini nella prima metà del Cinquecento, con l'aggiunta dell'ala rinascimentale e l'innalzamento delle mura e dei bastioni esterni.
Fu il conte Antonio Maria Brandolini (+ 1530) che volle la caratteristica facciata da elegante dimora di patrizio veneto, scandita da bifore e tnifore a doppio ordine e la sistemazione del bel parco con fontana, negli spalti antistanti, all'interno dei bastioni. La raffinatezza regnante alla corte di Antonio Maria ci appare evidente anche dalle balaustre, finemente lavorate, dei balconi, dall'elegante statua del satiro della fontana e, all'interno, dai grandi camini del salone principale con le iniziali del committente AMB e il grande stemma della famiglia sormontato dalla corona regale dei Lusignano, per privilegio di Caterina Cornaro (1454 - 1510) regina di Cipro.
Purtroppo gli stemmi affrescati sulla facciata dell'ala cinquecentesca, a causa del degrado stanno scomparendo e, in mancanza di un sollecito restauro, diverranno sempre meno leggibili. Sembrano tuttavia corrispondere ai blasoni del ramo della famiglia proseguito a Bagnacavallo che ornavano il loro palazzo in quella città e attualmente sono custoditi presso il Municipio di Bagnacavallo.
Sebbene sia da scartare l'ipotesi che il progetto dell'ala cinquecentesca del castello di Cison sia opera di Jacopo Sansovino, che all'epoca della costruzione (ca. 1510 - 1525) non era ancora giunto a Venezia, tuttavia l'armonia e l'eleganza della fronte cinquecentesca ci parlano di un progettista di notevole livello.
I conti, al di qua del ponte e ai piedi del castello, avevano strutturato il borgo. Quest'ultimo era la sede dei servizi civili, sociali e religiosi; attorno alla piazza si trovano la chiesa, la loggia del tribunale, il palazzo di rappresentanza, i magazzini e le scuderie.
La loggia, ora adibita a teatro e centro sociale, fu voluta da Brandolino VIII al suo rientro dalla guerra di Candia (1643), allo scopo di suscitare, nell'animo dei suoi sudditi, la passione per le leggi, poco rispettate a quei tempi; da tale luogo il Cavalier di Corte leggeva i proclami del suo signore al popolo.
É bene ricordare che i Brandolini furono, come buona parte dei condottieri e capitani di ventura, amanti della cultura e dell'arte, quindi mecenati e committenti di pittori, scultori e architetti.

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Le case, i palazzetti, la chiesa di Cison di Valmarino conservano tuttora un che di aulico, ma improntato ad una sobria eleganza; c'é il rococò, ma non é mai sovrabbondante o indisponente.
Le lastre tombali che si trovano all'esterno e all'interno della cappella di San Martino nel castello, sono di notevole pregio artistico.
Il bassorilievo di Brandolino III Brandolini, conte di Zumelle é uno dei più ragguardevoli monumenti sepolcrali del Trecento, espressione del gotico fiorito veneziano, ma di autore ignoto. Splendidi i particolari dell'armatura e finemente cesellati lo stemma e il vestiario.
Interessante anche la lastra tombale della seconda moglie di Conte Brandolini, Filippa degli Alidosi, con incisi il blasone della defunta e del marito.
Il castello subì una nuova e significativa ristrutturazione con l'aggiunta dell'ala barocca edificata nel XVIII secolo. Un primo progetto fu redatto da Gerolamo Fnigimelica ripreso, verso il 1710, dal conte Ottavio Scotti, architetto trevigiano. Lo Scotti, esponente di rilievo della cosiddetta "scuola di Treviso" operò in maniera rilevante nella sinistra Piave, e di lui ricorderemo anche il progetto per la cattedrale di Ceneda e la loggia Comunale di Conegliano.
L'architetto Scotti rispettò le strutture preesistenti nella parte alta del castello, utilizzò i vari dislivelli e concepì un corpo a "C" posto a Sud dell'ala rinascimentale e strutturato in modo da delimitare il cortile d'onore. Di particolare effetto il monumentale scalone d'onore. La cappella comitale, di chiaro influsso francese, é stata preda di successive spoliazioni che vi hanno lasciato solo gli affreschi di Egidio Dall'Oglio.
Nel castello si possono ammirare stucchi e decorazioni di epoca barocca e neoclassica. Nel salone principale e nel corridoio dell'ala settecentesca si trovano dipinti, olio su tela, stemmi bipartiti che ricordano i matrimoni della casata e, sebbene le date non siano sempre esatte, il loro interesse dal punto di vista araldico é indiscutibile.
Il primo di questi blasoni che riporta, nel cartiglio, la data errata 1435 mentre dovrebbe essere 1432, ricorda le nozze di Tiberto Brandolini con Romagnola Gattamelata, figli dei primi conti della Valmareno: Conte Brandolini ed Erasmo da Narni detto il Gattamelata.
Lo stemma, bipartito, reca alla destra le tre cavezze o trecce del Gattamelata e sulla sinistra lo stemma del Brandolini:
di rosso con tre bande d'argento caricate di scorpioni, al capo del secondo di tre trecce di rosso ordinate in fascia.
Ricorderemo che lo stemma dei Brandolini, prima della fratellanza d'armi di Conte Brandolini con il Gattamelata, era solo "di rosso con tre bande d'argento caricate di scorpioni". L'unico dei molti Brandolini che userà l'antico stemma del ramo di Bagnacavallo, senza le trecce del Gattamelata, sarà il Vescovo di Ceneda Sigismondo Brandolini Rota (1823

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- 1908) che ne farà apporre un esemplare sopra il portone d'ingresso del seminario di Vittorio Veneto. in piazza della Cattedrale a Ceneda.
Tra i grandi artisti che, ospiti del castello di Cison vi lasciarono le loro opere, ricorderemo il pittore fiammingo Anton van Dyck (1599 - 1641) che stabilitosi a Genova, dal 1623 al 1627, viaggiò per le corti italiche toccando i vari centri accademici del paese sino a Palermo.
Poiché i critici sono concordi nel ritenere Tiziano il grande ispiratore del ritrattista delle Fiandre, é plausibile ritenere che il ritratto del condottiero Brandolini da lui dipinto sia stato eseguito a Venezia o nel castello di Cison, in occasione di un soggiorno dell'artista nella città lagunare.
Purtroppo oggi non é possibile ammirare tale capolavoro poiché, misteriosamente, é finito in una collezione privata americana.
L'altro grande artista che dipinse, nel 1585, una pala d'altare per la cappella di famiglia del castello, fu Jacopo Ponte detto il Bassano.
La tela ad olio rappresentai il notissimo episodio di San Martino, cui, come già detto, é intitolata la chiesetta comitale, che dona il suo mantello al mendicante. Il dipinto ha una singolare valenza iconografica, poiché sembra che nel Santo a cavallo e nel guerriero inginocchiato a destra, siano ravvisabili Francesco Maria Brandolini e suo padre Brandolino V, che alcuni storici definiscono VII.
La complessità dell'albero genealogico di questa famiglia e la mancanza di dati certi su taluni suoi membri prima del 1400, rendono difficile stabilire una successione esatta. Inoltre, i pochi storici che ne hanno scritto sono spesso in contrasto nel numerare i componenti della casata aventi lo stesso nome.
Un altro pittore che, dai libri operai, risulta agli stipendi di casa Brandolini é l'austriaco Mathias Gremsel di Graz, del quale ricordiamo il quadro raffigurante "San Giorgio che uccide il drago, la Sacra Famiglia e i ritratti di Guido VIII (o IX) e Brandolina", dipinto forse nel 1686.
Brandolino VII Brandolini (1687 - 1765) fu il mecenate di Egidio Dall'Oglio, l'artista di Cison formatosi alla scuola del Piazzetta, assieme a Tiepolo e Maggiotto, che decorò in stile rococò l'arcipretale di Cison, la chiesetta di San Martino nel castello, il palazzo dei Zuliani a Ceneda, ora sede della Curia Vescovile e la cattedrale di Belluno.
Altro artista che eseguì committenze artistiche per i Brandolini, fu Marco Casagrande (1804- 1893) che scolpì, in stile neoclassico, statue, busti e bassorilievi raffiguranti membri della casata.
Ricorderemo inoltre lo stupendo mausoleo di Guido VIII Brandolini eseguito dallo scultore Pietro Baratta che si può ancora ammirare nell'arcipretale di Cison di Valmarino.
Il castello subì danni notevoli nell'incendio divampato nell'ala cinquecentesca, il 5 luglio 1872, che ne lasciò in piedi solo le mura. In quell'incendio bruciò anche il teatro barocco fatto costruire, nel 1683, dal conte Guido

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VIII e del quale Egidio Dall'Oglio aveva decorato il sipario e la scena.
Negli anni 1868 - 1869 subirono trasformazioni il cortile centrale, il giardino e la collina della quale si provvide al rimboschimento.
All'epoca dell'invasione austriaca nel 1917 il castello fu adibito ad ospedale militare per gli Austriaci.
Durante il ventennio l'edificio fu spogliato degli arredi, delle opere d'arte e della biblioteca ed adibito a colonia elioterapica. In seguito i conti Brandolini vendettero il castello che ora é proprietà dei Reverendi padri Salesiani.
Per quanti desiderassero approfondire l'argomento Brandolini, si rinvia al volume degli Atti, pubblicato dal Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche in occasione del Convegno "I Brandolini, da capitani di Ventura a nobili feudatari", e dal quale sono tratte le notizie del presente articolo.


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